4 – le tenniste (Kerber, Serena Williams, Georges e Hsieh) nella top 30 del ranking WTA ad aver superato i trent’anni. Solo la tedesca ex numero 1 del mondo è nell’attuale top 10, la cui età media è di circa 25 anni e mezzo (non va dimenticato che le prime due della classifica di questa settimana hanno rispettivamente 21 e 23 anni). Non solo: sono ben dodici le giocatrici tra le prime trenta della classifica a non aver superato i ventitré anni e tra loro Vondrousova, Andreescu e Anisimova non hanno nemmeno vent’anni. Un ricambio generazionale reso evidente anche dall’ultimo Roland Garros, nel quale le più “anziane” ai quarto sono state le ventottenni Konta e Martic.
Una situazione quasi opposta si riscontra invece tra gli uomini: ben cinque tennisti nella top 10 (la cui età media è di quasi 29 anni) hanno più di 32 anni e solo tre – Zverev, Tsitispas e Khachanov – sono nati dal 1996 in poi. Non va “meglio” allargando lo sguardo ai primi 20: in tale fascia di classifica, diventano undici gli over 30. La differenza con il circuito femminile diventa meno marcata se si guardano invece i primi trenta giocatori: sono nove (tra i quali il nostro Berrettini) a non aver compiuto ancora 24 anni e con Auger Auliassime, attuale 21 ATP, troviamo anche un under 20. A prescindere dalla presenza di tre campioni oramai leggendari – che con la loro età ormai matura alzano la media dei primi della classe – la diversa tendenza dell’età di maturazione tennistica tra uomini e donne sembra allargarsi sempre di più.
8 – i giocatori europei nella top 10 dell’ultima classifica ATP (e sono ben diciassette tra i primi venti). Con l’ingresso nella top 10 di Fognini e Khachanov e la contestuale uscita di Del Potro e Isner, il ranking ATP certifica sempre più un’andamento diventato più netto nell’ultimo quindicennio. Del resto, l’ultimo numero 1 non europeo è stato Andy Roddick – l’undicesimo, tra i precedenti ventidue tennisti sulla vetta del ranking, a non provenire dal Vecchio Continente – che cedette la cima della classifica nel febbraio 2004 a Federer. Inoltre, dalla vittoria di Gaston Gaudio del Roland Garros di quello stesso anno, Del Potro ha vinto nel 2009 (US Open) l’unico Slam non europeo.
Sempre dal 2004, la Coppa Davis, vinta sino a metà anni Settanta quasi esclusivamente da Australia e Stati Uniti, solo in due circostanze – dagli USA che colsero nel 2007 a Mosca la vittoria della loro trentaduesima Insalatiera d’argento e dall’Argentina nella finale di Zagabria nel 2016 – è stata vinta da nazionali non appartenenti al Vecchio Continente. Un fenomeno simile, sebbene non di così importante entità (le sorelle Williams hanno dominato gli anni Duemila e due delle attuali prime tre del ranking WTA sono tenniste non europee) e di lunga durata, avviene anche tra le donne: solo tre giocatrici nella top 10 non provengono dal Vecchio Continente e ve ne sono appena altre tre nella top 20. La stessa Fed Cup, dal 2001 in poi è sempre stata vinta da nazioni europee, ad eccezione del diciottesimo successo statunitense, avvenuto nel 2017.
9 – i tornei vinti sulla terra battuta da Dominic Thiem (i più importanti sono gli ATP 500 di Rio nel 2017 e quello di Barcellona, conquistato due mesi fa). Dal 2015, anno del suo primo titolo sulla terra battuta (a Nizza, in finale su Leo Mayer) e prima stagione terminata nella top 20, solo Nadal con tredici successi sul rosso ha fatto meglio – dopo Thiem, seguono in questa particolare classifica Djokovic e Fognini con cinque e Zverev con quattro – dell’attuale numero 4 ATP, primo al mondo tra le non leggende tennistiche ancora nel circuito. L’austriaco classe 93 ha continuato di anno in anno la sua ascesa nel ranking completandosi come tennista (il successo sinora più importante della carriera è arrivato sul cemento di Indian Wells lo scorso marzo) e raggiungendo anche importanti piazzamenti (le finali al Masters 1000 di Madrid nel 2017 e nel 2018 e, negli stessi anni, rispettivamente la semifinale e la finale al Roland Garros).
Le scorse due settimane hanno definitivamente consacrato Thiem come numero due del mondo sulla terra battuta: non solo per la seconda finale consecutiva allo Slam parigino, ma per la vittoria – sofferta ma meritata – su Djokovic, col quale si è portato sul tre pari nei confronti diretti sul rosso (ne ha tra l’altro vinti tre degli ultimi quattro). Proprio il bilancio favorevole negli head to head sul mattone tritato contro gli altri grandi protagonisti su questa superficie (4-1 contro Zverev, 2-1 su Fognini e Tsitsipas, 2-0 su Federer, 1-0 su Murray ed è sull’1-1 con Wawrinka e Nishikori) e la capacità di sconfiggere dal 2016 una volta all’anno Nadal rendono Thiem, ancora 25enne, l’attuale erede al trono del regno della terra rossa.
10 – il nuovo best career ranking di Fabio Fognini. Un traguardo giustamente molto celebrato in Italia: era addirittura dal 1978 che un italiano (Corrado Barrazzutti) non era presente nella fascia di classifica più prestigiosa del nostro sport. Il ligure la inseguiva da diversi anni: già nel 2013 era entrato per la prima volta nella top 20, una zona del ranking ATP nella quale ha fin qui chiuso tre stagioni (con una quarta, il 2015, terminata da 21 ATP). Complessivamente, è da quasi centoquaranta settimane totali uno dei primi venti tennisti al mondo. Doveva arrivare per forza il suo momento e, dopo gli ottavi al Roland Garros e i concomitanti favorevoli risultati degli altri giocatori, è arrivata anche la conquista del decimo posto del ranking. Che sia giusto quanto abbia conquistato con i risultati delle ultime cinquantadue settimane lo si evince del resto confrontando alcuni importanti parametri (vittorie contro top 10 e top 5, titoli e finali nel circuito maggiore) con quelli degli altri quattordici tennisti che, da quando nel 1973 è iniziata l’era Open, abbiano raggiunto la decima come miglior posizione nel ranking (anche il direttore si era dilettato in questo confronto).
Solo Fibak (trenta vittorie contro top 10 e quattordici contro top 5, quattordici titoli e quindici finali) e Gustafsson (rispettivamente diciannove successi contro i primi dieci e nove contro i primi cinque, quattordici titoli e dodici finali) hanno numeri migliori di Fabio in ciascuno di questi quattro parametri presi in considerazione. Felix Mantilla supera Fabio in tre di essi (come Fognini, ha battuto sette volte un top 5), mentre sono ben sei (Gorman, Tulasne, Pernforns, Costa, Carreno e Pouille) ad avere numeri peggiori del vincitore dell’ultimo Masters 1000 monegasco in tutti e quattro i parametri, senza dimenticare che altri due (Jaite e Gulbis) in ben tre hanno cifre inferiori.
Davvero adesso a Fabio manca forse solo un ultimo obiettivo da centrare prima di concludere quella che in ogni caso sarà un’ottima carriera: un risultato migliore dei quarti di finale in un torneo dello Slam. Un piazzamento che, è giusto ricordarlo, non è stato raggiunto nemmeno da altri due numeri 10 del ranking come Fibak e Gustafsson, senza dimenticare che Tulasne, Monaco e Costa non hanno mai centrato nemmeno i quarti.
11 – le volte in cui Rafa Nadal ha chiuso il Roland Garros in testa alla ATP Race. Dal 2007 a oggi solo nel 2015 e nel 2016 (quando a Parigi si imposero rispettivamente Wawrinka e Djokovic) il campione maiorchino non è arrivato all’inizio della stagione sull’erba da leader della classifica. Nel calcio un traguardo analogo a quello conquistato dal maiorchino potrebbe essere quello di “campione d’inverno”, in questo caso potrebbe forse definirsi “d’inizio estate”. Quest’anno Rafa è riuscito a confermarsi in tale obiettivo parziale recuperando i cinquecento punti che lo distaccavano, prima del secondo Major stagionale, da Djokovic: l’eliminazione in semifinale del serbo (assieme a Soderling, l’unico ad averlo mai sconfitto al Roland Garros in ben novantacinque incontri giocati dal maiorchino sul rosso parigino) e il suo dodicesimo successo francese gli hanno consentito di centrare un obiettivo che testimonia come la sua preparazione sia finalizzata per essere al meglio della condizione durante la primavera europea.
Nadal è riuscito così spesso a essere a giugno il numero 1 della Race non solo perché è il miglior terraiolo della storia: del resto sul rosso gioca ormai solo cinque tornei all’anno e per essere il primo al mondo in questo periodo dell’anno bisogna fare tanti punti anche sul cemento all’aperto nei primi tre mesi e mezzo della stagione. In particolar modo negli ultimi anni (prima della semifinale giocata nel 2018, a Wimbledon non arrivava ai quarti dal 2011) ha avuto sempre un netto calo nella seconda parte di stagione. A partire dal 2014, ha vinto appena quattro tornei tra luglio e fine stagione (ben due dei quali nel 2017, poi concluso in testa al ranking); questo non gli ha impedito, nell’intera carriera, di chiudere quattro stagioni da numero 1 al mondo (2008, 2010, 2013, 2017) e sei da numero due ATP (2005, 2006, 2007, 2009, 2011, 2018)
31 – le partite vinte nel 2019 da Ashleigh Barty. Nessuna tennista quest’anno ha fatto meglio per qualità – ha vinto uno Slam e un Mandatory su due superfici diverse e fatto finale al Premier di Sydney – e quantità di partite vinte. La nuova numero 2 del mondo, separata da appena 136 punti dalla vetta della classifica, è prima per numero di partite vinte nella prima metà dell’anno tennistico. La inseguono Bencic, Konta e Pliskova con 29, Kvitova e Vondrousova con 28, Halep e Bertens con 27, Osaka con 21. Nonostante fosse in grande ascesa, la sua scarsa esperienza sulla terra – al Roland Garros aveva vinto appena due partite in cinque partecipazioni e sul rosso, nei soli quindici tornei del circuito maggiore ai quali aveva partecipato, aveva giocato una sola semifinale, l’anno scorso nel piccolo International di Strasburgo – non la poneva tra le principali favorite della vigilia.
Invece, dopo aver perso solo sedici game complessivi contro Pegula, Collins e Petkovic, e dopo aver ceduto un set in ottavi contro Kenin (6-3 3-6 6-0), ha battuto in due set Keys (6-3 7-5) nei quarti, dando probabilmente una svolta al suo torneo. In semifinale contro Anisimova è arrivato il momento più difficile: sotto di un set e 0-3 nel secondo è però riuscita a rimontare, inanellando un parziale di dodici games a tre che le ha consegnato la vittoria. La finale vinta nettamente contro Vondrousova l’ha lanciata nell’Olimpo del tennis, dimostrando l’assoluta bontà della scelta di ritornare al tennis.
Come è infatti noto, dopo un brillante percorso tra gli Juniores (finale a Wimbledon e semi agli Us Open nel 2011) nel suo passaggio al professionismo era riuscita solo nel doppio a confermare le grandissimi aspettative che i connazionali riponevano su di lei. Una pressione troppo forte che le aveva tolto la gioia di essere in campo e che l’aveva spinta nel 2014 a ritirarsi e dedicarsi all’altra sua passione, il cricket. Dopo aver fortunatamente sentito nostalgia del tennis, Barty rientrava nel circuito nel 2016. Era poi il 2017 l’anno della svolta: partiva da 271 WTA e lo terminava nella top 20, grazie al titolo a Kuala Lumpur e due finali nei Premier di Birmingham e Wuhan, torneo nel quale sconfiggeva ben tre top 10 (Pliskova, Ostapenko e Konta). L’anno scorso continuava la sua crescita: chiudeva al 15 WTA, grazie alle vittorie al “Masters B” di Zhuhai e a Nottingham, nonché alla finale di Sydney. E ora, dopo questa prima parte brillante di 2019, sembra che il meglio possa ancora venire.
6486 – i punti di Naomi Osaka, numero 1 al mondo. Non è molto corretto il confronto con la classifica ATP, strutturata con un calendario di tornei che distribuisce in maniera leggermente diversa i punti, ma è comunque curioso notare come Djokovic ne abbia praticamente il doppio (12715) e che con i punti della giapponese, tra gli uomini, si sarebbe solo al quarto posto del ranking. Basterebbe ricordare come gli ultimi dieci Major giocati abbiano avuto nel singolare femminile nove vincitrici diverse, ma, per inquadare ancora meglio il grande equilibrio (e il livellamento verso il basso) del circuito WTA – che se da un lato favorisce l’incertezza sui vincitori e regala sempre nuove storie da raccontare, dall’altro fa venire dubbi sulle attuali capacità delle migliori giocatrici – è utile fare un confronto con le classifiche finali delle ultime stagioni e i relativi punti delle numero 1.
Del resto, da quando nel 2017 Serena Williams è momentaneamente uscita dal circuito per diventare mamma e poi rientrare come copia sbiadita di se stessa -quantomeno non come era abituata a giocare, visto che non vince un titolo dagli Australian Open di due anni e mezzo fa – Simona Halep ha chiuso da leader della classifica in entrambe le stagioni con meno di 7000 punti. Da quando il calendario WTA è stato rivoluzionato nel 2009 (e con esso l’assegnazione dei punti), mai la prima al mondo aveva chiuso l’anno con così pochi punti e solo nel 2011 Wozniacki, numero 1 con 7485, aveva finito con meno di 8000 (il record in senso opposto si è verificato nel 2013, quando Serena chiuse con 13260 punti). Con i due Slam consecutivi vinti da Osaka tra New York e Melbourne si pensava si fosse invertita la tendenza, ma la giapponese ha vinto appena dodici partite nei successivi cinque tornei disputati e deve ancora dimostrare tanto prima di poter considerare la sua una lunga cavalcata. Cercasi regina.