Sembra che nell’attuale periodo di WTA non si esaurisca mai il numero delle diverse vincitrici Slam. Nove nomi differenti negli ultimi dieci Major. Eppure questa volta non credo si possa parlare di un risultato assolutamente imprevedibile, come era stato ad esempio due anni fa, nel 2017, con il successo di Jelena Ostapenko a Parigi. Allora Jelena non aveva ancora vinto alcun torneo del Tour e non era nemmeno testa di serie. Eppure conquistò il Roland Garros, a 20 anni e due giorni, partendo dal numero 47 del ranking.
Quest’anno ha vinto una Top 10 in grande crescita come Ashleigh Barty, che qualche mese fa si era già imposta a Miami. Una giocatrice con un tennis molto completo ed equilibrato, che potrebbe garantirle continuità di rendimento ad alti livelli anche in futuro. Vedremo come andranno le cose nei prossimi impegni.
Per il momento ecco la seconda parte dell’articolo dedicato al torneo; quindi, dopo le due finaliste Barty e Vondrousova, è il momento di occuparsi delle altre principali protagoniste.
Amanda Anisimova
Amanda Anisimova è stata insieme a Marketa Vondrousova la giocatrice più sorprendente del torneo. Almeno sulla carta, visto che entrambe non erano teste di serie e invece sono state capaci di spingersi fra le prime quattro partendo dal numero 51 (Amanda) e 38 (Marketa) del ranking. Eppure non si può dire che siano state del tutto inattese: sono giovanissime in ascesa, che già in passato avevano dimostrato di essere speciali. Che potessero affermarsi era probabile, solo non si poteva sapere di preciso quando.
Per quanto riguarda Anisimova ricordo che ha affrontato per la prima volta gli impegni sulla terra rossa europea, dato che lo scorso anno era stata obbligata a fermarsi nella parte centrale della stagione a causa della frattura da stress al piede, subita durante il torneo di Miami.
Del suo percorso Slam non si può che parlare bene, a parte forse per una sola, piccola ombra. È dagli Australian Open 2019 che stabilisce record di precocità nei Major: la più giovane a raggiungere gli ottavi di finale a Melbourne dal 2006, la più giovane a raggiungere i quarti a Parigi dal 2006, la più giovane a raggiungere una semifinale Slam dal 2007. Ma chi era stata la protagonista di tutte queste imprese una dozzina di anni fa? Sempre Nicole Vaidisova.
Vaidisova è nata nel 1989 (lo stesso anno, per esempio, di Azarenka) e ha compiuto 30 anni il 23 aprile scorso. Eppure la ricordiamo lontanissima, visto che l’ultimo Slam a cui ha preso parte è stato dieci anni fa (US Open 2009). Nicole, teenager prodigio, ha smesso con il tennis ad alto livello a 20 anni, “bruciata” dallo stress e dalle troppe aspettative. Ecco, ogni volta che si trova il nome di Vaidisova avvicinato a quello di Anisimova è come se ricevessimo un monito: non chiedere troppo, non pretendere che una minorenne debba essere sempre all’altezza delle aspettative come se fosse una esperta professionista di 25 anni.
Chiusa la riflessione sul passato, torniamo all’attualità. Comincio con una nota del tutto personale. Quando Anisimova aveva raccolto i primi risultati importanti a livello professionistico, nel torneo di Indian Wells 2018 (dove aveva sconfitto Pavlyuchenkova, Kvitova e Parmentier), devo confessare che non ero rimasto così colpito. Ma poi molto è cambiato all’inizio di questa stagione, sin dall’impegno pre-Slam di Auckland; la ricordo contro Viktoria Kuzmova: anche se in quel match di gennaio aveva finito per perdere, avevo avuto una impressione straordinariamente positiva; come se l’anatroccolo si fosse trasformato in cigno, mostrando un modo di colpire sempre più maturo ed elegante.
Impressione confermata agli Australian Open, in particolare nel match contro Aryna Sabalenka, dove aveva giocato a un livello altissimo. Fresca vincitrice a Shenzhen, Sabalenka era una delle favorite del torneo; eppure non era riuscita a raccogliere più di cinque game (6-3 6-2). E forse quella sconfitta inattesa potrebbe essere una delle cause delle difficoltà che Aryna sta attraversando in questo periodo.
Veniamo a Parigi, secondo Slam stagionale. Dopo l’esordio contro la wild card locale Harmony Tan, Anisimova ha di nuovo superato al secondo turno Sabalenka (testa di serie 11) e poi due avversarie non impossibili come Bagu e Bolsova. La maggiore difficoltà di questi due turni è stata l’infezione virale che l’ha colpita nei primi giorni di torneo. Una situazione che l’ha spinta a ritirarsi dal doppio e a gestire le energie nel corso dei match, in cui è sembrata più preoccupata della propria condizione fisica che della resistenza delle avversarie. Spesso si è trovata con il fiato corto nel corso degli scambi più lunghi, e per questo qualche volta è stata obbligata a rischiare chiusure anticipate. Ma alla fine se l’è cavata sempre vincendo in due set, e tornando rapidamente in salute: uno dei vantaggi dei 17 anni è che si guarisce e si recupera in fretta.
E così, sconfitte Begu, Bolsova e anche il virus, ha trovato nei quarti di finale la campionessa in carica Simona Halep. La strada sembrava sbarrata: un confronto proibitivo, specie sulla terra, una superficie poco praticata da Amanda. E invece, come era accaduto a Melbourne contro Sabalenka, Anisimova ha alzato il livello del suo tennis offrendo una prestazione eccezionale. Ha tenuto costantemente il controllo del match, sino ad arrivare a condurre per 6-2, 3-0. Poi, visto che non è una giocatrice qualunque, Halep ha reagito sino a equilibrare il set sul 4-4. Ma Anisimova ha ripreso il comando della situazione nei due game finali e ha chiuso il match in due set (6-2, 6-4), con un saldo vincenti/errori non forzati di +1 (22/21).
Faccio fatica a spiegare in poche righe la sconfitta con Barty (6-7 6-3 6-3). Non solo per l’andamento altalenante del punteggio (Barty avanti 5-0 che perde il primo set, e poi Anisimova avanti 3-0 nel secondo che perde sei game di fila), ma anche per le condizioni di gioco estreme. Pioggia, umidità, campo super-pesante e vento hanno reso le semifinali parigine quasi senza precedenti, almeno negli ultimi Slam. Altro esempio di quanto sia difficile sintetizzare questo match: Amanda ha vinto il primo set malgrado un saldo di -10 (9/19) contro il +1 di Barty (10/9). Provo a cavarmela con una ipotesi che però suona quasi come una frase fatta: probabilmente al dunque è stata determinante l’esperienza di Barty che, pur essendo ancora giovane, ha comunque cinque anni più di Anisimova.
Scrivevo la scorsa settimana della superiore facilità esecutiva che la accomunava a Vondrousova, ma questo non significa che Anisimova non abbia specificità del tutto proprie: in lei la facilità del gesto si accompagna alla asciuttezza. Ogni movimento è efficace ma molto sobrio. Colpisce la palla con le sue lunghe leve che le permettono di imprimere velocità senza sforzi apparenti, ma anche senza fronzoli o compiacimenti, all’insegna della più assoluta essenzialità. Eppure il movimento non risulta affatto scolastico, ma invece di una speciale eleganza minimalista.
a pagina 2: Johanna Konta