Johanna Konta
Sul piano strettamente tecnico penso che Johanna Konta sia stata la maggiore sorpresa della stagione 2019 sul rosso. Questi i suoi risultati: finale a Rabat, secondo turno a Madrid (sconfitta da Halep) finale a Roma, semifinale a Parigi. Eppure fino allo scorso anno il rendimento in carriera su terra era ampiamente inferiore rispetto a quello su tutte le altre superfici: una percentuale di vittorie del 56,9% (58 vinte, 44 perse) contro il 65,0% (267/144). Invece quest’anno su terra ha vinto 15 match a fronte di solo 4 sconfitte, per una percentuale del 78,4%. Come si può passare dal 56,9% al 78,4% a 28 anni compiuti?
Fatico a trovare una spiegazione certa e convincente. In attesa di scoprire se si confermerà anche nei prossimi anni, l’ipotesi che mi sembra più plausibile è che Konta abbia compiuto un processo simile a quello di Sharapova, che con il passare delle stagioni ha saputo affrontare la terra rossa facendo leva non solo sulla proverbiale intensità agonistica ma anche sulla potenza. Konta ha trovato a Roma e Parigi condizioni umide e piovose che hanno reso il campo pesante e in quei tornei ha vinto tre volte contro Top 10 (Bertens e due volte Stephens). La forza fisica e la capacità di spingere la palla non sono mai mancate a Johanna, che ha ottenuto la più importante vittoria della carriera a Miami 2017, su un campo in cemento lento, che ugualmente richiede la capacità di spingere in proprio per ottenere vincenti. En passant: anche Ashleigh Barty prima del successo a Parigi aveva vinto nel 2019 proprio a Miami. Forse è un caso, forse no.
A queste doti fisico-tecniche che definirei strutturali, Konta ha aggiunto un periodo in cui il servizio ha funzionato a livelli molto alti: non solo con la prima ma anche con la seconda palla, e in questo modo ha governato lo scambio con una frequenza superiore a quella che normalmente associamo al tennis su terra. Grazie a questi punti di forza si è fatta strada a Parigi. Superati i primi due turni (Lottner e Davis), ha poi stupito non tanto per le vittorie in sé, ma per lo scarto con cui ha sconfitto Kuzmova e Vekic lasciando appena nove game totali alle avversarie (6-2 6-1 e 6-2 6-4).
Il picco di gioco è stato senza dubbio il quarto di finale, nel quale ha lasciato solo cinque giochi alla finalista dello scorso anno Sloane Stephens (6-1 6-4). Sei ace, due doppi falli e un saldo finale tra vincenti/errori non forzati di +12 (25/13). Ma forse il dato più impressionante è questo: i 25 vincenti ottenuti sono il 41% dei 61 punti totali che sono occorsi a Johanna per vincere il match; una percentuale ben oltre la media di una normale partita. Come dire che era in una di quelle giornate di grazia in cui è quasi impossibile perdere.
Una prestazione del genere è stata sicuramente una grande iniezione di fiducia, ma nascondeva una insidia: trasformava Konta nella chiara favorita della semifinale contro Vondrousova, ribaltando lo schema psicologico dei match precedenti. Ricordo che Konta era testa di serie numero 26 e quindi non le veniva chiesto di vincere per forza contro avversarie classificate davanti a lei come Vekic (tds 21) e soprattutto Stephens (tds 7).
Dopo l’exploit contro Sloane, la situazione di Johanna è dunque diventata più impegnativa; aveva tutto da perdere nel confronto con Vondrousova, che oltre tutto aveva già battuto a Roma qualche settimana prima. Alla lunga questa situazione ha pesato sul piano mentale: in vantaggio in tutte e due i set (sul 5-3), Johanna ha faticato a mantenere la stessa qualità di gioco nei game decisivi. La conseguenza è stato un aumento degli errori non forzati: il rovescio è diventato più strappato e meno preciso, mentre il dritto ha lasciato trasparire il fatto che sia il colpo più costruito e un po’ meno affidabile del suo repertorio. Risultato: Vondrousova ha rimontato in entrambi i set (7-5, 7-6), concludendo così il torneo di Konta al penultimo atto.
Dopo questo rendimento su terra così positivo, ora Johanna trova l’erba, una superficie sulla carta ben più favorevole, ed è quindi una delle giocatrici da tenere d’occhio in vista di Wimbledon.
a pagina 3: Petra Martic