Semifinali femminili: la preview da Londra (AGF)
Barbora Zahlavova Strycova è un fenotipo particolare. Da uno sguardo distratto alla sua condotta in campo la si potrebbe intuire come una ragazza spigolosa, se può essere sufficiente una volée imperfetta per indurla a sbattere la racchetta per terra ed esibirsi nel suo marchio di fabbrica, l’urlo ad ultrasuoni in grado di restituire vigore anche allo spettatore più annoiato. Nessuna iperbole né generalizzazione, fu esattamente così che ‘Bara’ gestì un particolare momento dell’ultima sfida contro Serena Williams, agli ottavi dell’Australian Open 2017.
In realtà la 33enne di Plzen, che proprio contro Serena disputerà oggi la partita più importante della sua carriera, nonché la sua prima semifinale in uno Slam, sembra una persona diversa fuori dal campo. Il tono di voce è persino conciliante, i suoi occhi sorridono spesso e non sembra esserci alcuna volontà di provocazione. Quando c’è da contendere un ‘quindici’ Barbora è una piccola furia, semplicemente perché è così che ha imparato a scaricare la tensione agonistica, “ma in un certo senso è tennis, colpiamo solo una pallina da tennis, insomma stiamo giocando” per usare le sue stesse parole. Parlando della sua sfida con Serena, Strycova ha espresso un altro concetto semplice quanto cruciale. “Pensare che sia soltanto un gioco mi aiuta a realizzare che non è niente di così importante. Certo è un grande traguardo, ma nella vita ci sono tante, davvero tante cose più importanti di questa partita“.
Non lasciatevi ingannare, non siamo in ‘orbita Tomic’ né sul pianeta Kyrgios (non che ci sarebbe qualcosa di male, anzi). A Barbora Strycova non piace perdere. “Non sono una persona molto paziente, ma sono una ‘fighter’. Mi piace lottare per quello che voglio davvero. Ho dovuto attendere molto per questo, è stata un’attesa di ben 27 anni (si riferisce all’età in cui ha imbracciato la racchetta, circa 6 anni, ndr). Ma non voglio pensare di aver raggiunto la semifinale. Sono ancora in tabellone, posso andare avanti e credo in me stessa. Non ho paura: scenderò in campo e farò il mio gioco. Ovviamente non ho la potenza di Serena, ma ho altre armi. Cercherò di usarle nel modo migliore. E mi divertirò, non ho davvero nulla da perdere a questo punto“.
Un punto che in realtà è doppio, perché a ricordarci come Barbora sia anche una grande doppista – ex n.3 del mondo, semifinalista in tutti gli Slam e alle Finals – c’è il suo nome accanto a quello di Su-Wei Hsieh nel tabellone femminile della disciplina tanto bistrattata. Hsieh e Strycova affronteranno Babos e Mladenovic in semifinale, circostanza che conferisce alla giocatrice ceca la possibilità di una doppia finale. Sarebbe la prima tanto in singolare quanto in doppio, in un torneo dello Slam.
CARRIERA – In doppio, Barbora ha vinto ben 26 titoli con undici partner diverse (l’ultima, Hsieh, è subentrata alla grande amica Sestini Hlavackova che a febbraio ha annunciato di essere incinta). In singolare le vittorie sono due a fronte di sei finali perse (due delle quali sull’erba); è stata a un passo dalla top 15 (numero 16 a inizio 2017) ma ha trascorso cinque anni senza interruzioni in top 50 uscendone peraltro subito prima dell’inizio di Wimbledon. Non c’è bisogno di sottolineare che vi farà prepotente rientro: sarà numero 32 in caso di sconfitta in semifinale, n.22 in caso di finale, addirittura n.11 qualora dovesse vincere il titolo.
In ogni caso questo torneo costituirà la vetta della sua ‘nuova’ carriera, quella cominciata nella seconda metà del 2013 dopo la squalifica di sei mesi per assunzione di Sibutramina. Barbora aveva già vinto un torneo, a Quebec City nel 2011, facendo più di qualche comparsata in top 50, ma avrebbe trovato una vera continuità soltanto a partire da Wimbledon 2014, Slam nel quale centrò il suo miglior risultato (fu sconfitta ai quarti da Kvitova) prima di queste due nobili settimane.
“La vittoria è una prospettiva ancora lontana. Questo torneo mi ha dimostrato che posso vincere contro me stessa, posso battere le mie emozioni. Sono una giocatrice molto emotiva, una persona molto emotiva. In passato non sono stato in grado di controllarlo, ma in queste due settimane ho potuto realizzare quello per cui ho lavorato negli ultimi anni con i miei mental coach“. Il quadro che ne viene fuori è quello di una lottatrice, un personaggio genuino e sanguigno ma senza concessioni all’arroganza. Se non ha troppe amiche nel Tour, come ha più volte ribadito, è solo perché ritiene che il tennis sia uno sport individuale nel quale non c’è molto spazio per l’amicizia.
Amicizie poche, simpatie (sembrerebbe) non troppe di più. Se è vero – ed è vero, ammettiamolo: i poli sono seducenti – che il tennis femminile si è più o meno equamente diviso tra ‘Sharapoviane‘ e ‘Sereniane‘, Barbora è una delle poche che non ha mai aderito a nessuna delle due fazioni. Non le è andato per nulla giù il trattamento di favore ricevuto da Maria dopo la squalifica – sono entrambe rientrate in campo nel torneo di Stoccarda: Maria (2017) con wild card e lustrini, Barbora (2013) con una misera sconfitta nelle qualificazioni, e senza alcun invito – così come ha condannato pubblicamente la sceneggiata di Serena durante la finale dello scorso US Open invitando i maître à penser a smetterla di scomodare il sessismo. Alcuni arcigni sostenitori (?) di Serena l’avrebbero in seguito minacciata di morte, in forma anonima come si conviene a queste dimostrazioni di coraggio.
Il campo, e questo forse non dovrebbe confortare Barbora, ha però denunciato una grave disparità nei tre confronti diretti. La ceca ha incrociato Serena tre volte e il suo cammino si è sempre concluso lì: due volte all’Australian Open, 2012 e 2017, e una volta proprio qui a Wimbledon sempre nel 2012 (6-2 6-4). Pensare che questa volta possa finire diversamente rimane piuttosto ardito. Se non altro, Barbora, si è guadagnata tutto il diritto di sperarci.