2 – i tornei nei quali Nicoloz Basilashivili nelle ultime cinquantadue settimane aveva vinto più di tre partite: gli ATP 500 di Amburgo e Pechino, entrambi vinti. Il georgiano classe ’92 è tornato la settimana scorsa a giocare l’Hamburg european Open, competizione che un anno fa gli aveva cambiato la carriera. Arrivato come 81 ATP nel luglio 2018 al Rothenbaum Tennis center, Nicoloz da qualificato vinse il torneo (l’ultima volta che accadeva una cosa simile in un ATP 500 fu nel 2008 con Petzschner a Vienna). Per il georgiano fu il primo titolo nel circuito maggiore della sua vita, colto in quella che era appena la sua terza finale. Dopo un buon US Open (ottavi, miglior piazzamento di sempre in uno Slam, sinora da lui ineguagliato) Basilashvili aveva lo scorso ottobre ancora alzato l’asticella del suo rendimento e trovato la migliore settimana della carriera a Pechino, dove aveva sconfitto Del Potro e altri due top 20 per aggiudicarsi il torneo. A seguito del successo in Cina, per Nicoloz si era però spenta la luce: solo in cinque circostanze nei diciannove tornei successivi aveva vinto due partite consecutive, raccogliendo ben sei sconfitte contro tennisti non presenti nella top 50.
Ad Amburgo si è riaccesa la luce: non solo nei quarti ha ottenuto contro Zverev la seconda vittoria contro un top 5 (annullando due match point, prima di vincere 6-4 4-6 7-6), ma ha anche trovato la necessaria continuità per sconfiggere ben quattro giocatori, sebbene dalla classifica non eccezionale (tra la top 60 e la top 90). Per confermare il titolo, Basilashvili ha, oltre al campione tedesco, infatti sconfitto nell’ordine, Dellien (6-4 6-3), Londero (6-4 3-6 6-3), Chardy (6-2 6-3) e, in finale, Rublev (7-5 4-6 6-3).
3 – il best career ranking nel doppio juniores di Jil Belen Teichman. Nel circuito giovanile la 22enne vincitrice del Ladies Open di Palermo, torneo tornato nel calendario WTA dopo sei anni di assenza, aveva avuto successo in singolare, mettendosi in evidenza solo in doppio, dove aveva vinto nel 2014 anche gli US Open. Sino a qualche mese fa non era dunque conosciuta al grande pubblico: dalla primavera 2017 costantemente nella top 200, non era mai stata nelle prime 100 e aveva vinto appena sei partite nel circuito maggiore. La svolta per la mancina svizzera è arrivata lo scorso aprile a Praga, quando, partendo dalle quali e sconfiggendo la prima top 50 della carriera (Strycova in semifinale) ha vinto il primo titolo della carriera, imponendosi in finale in tre set su Muchova.
Tra il successo in terra ceca e Palermo, per Jil c’era poi stato un periodo di assestamento, nel quale l’unico buon risultato erano stati i quarti a Losanna due settimane fa. In Sicilia Teichmann ha vinto il titolo senza perdere nemmeno un set (e in cinque parziali ha lasciato al massimo tre giochi) per imporsi prima su una top 100 come Gavrilova (7-6 7-5) e poi superare tre turni contro tenniste dalla classifica mediocre come Ce, Friedsam e Samsonova. In finale, il successo su Bertens, primo della carriera contro una top ten, oltre a regalarle il secondo titolo del 2019 (nessuna ha fatto in tal senso meglio di lei, che ha eguagliato la stessa olandese, Barty, Karolina Pliskova, Kvitova, Yastremska e Kenin) le ha permesso un balzo di 28 posizioni, sino alla 54° del ranking WTA.
5 – i tennisti statunitensi presenti nella top 50 del ranking ATP. A Isner, Fritz, Querrey e Tiafoe, grazie all’ascesa di ben quattordici posizioni da parte di Reilly Opelka con i punti guadagnati con le semifinali raggiunte ad Atlanta, il tennis maschile a stelle e strisce dal punto di vista quantitativo torna a vivere un buon momento: nell’ultima classifica, solo la Francia fa meglio degli USA, con ben sei suoi rappresentanti in tale fascia di classifica. Per capire come questa scuola – che negli scorsi decenni ha dominato il tennis vincendo ben 32 volte la Coppa Davis e contando ben sei numeri 1 al mondo nella sola Era Open – viva un momento di ripresa rispetto alle ultime stagioni, basti pensare che, ad eccezione del 2017, dal 2006 in poi mai un’annata è stata conclusa con cinque tennisti statunitensi nella top 50 (nel 2013 erano addirittura solo due i rappresentati tra i primi 50).
Per vedere far meglio il tennis yankee bisogna così risalire al 2005, annata conclusa con ben cinque tennisti nella top 30 (Roddick, Agassi, Ginepri, Blake , Dent) e, soprattutto, al 2003, quando furono addirittura in sette a chiudere tra i primi 40 (Roddick, Agassi, Fish, Spadea, Ginepri, Dent e Blake). Dell’attuale momento del tennis statunitense (che tra l’altro vede dieci suoi atleti tra i primi 100 nell’ultima classifica) lascia fiducia il futuro, in attesa dell’arrivo di un campione che rinverdisca i vecchi fasti: ben tre suoi tennisti tra i primi 50 sono ancora 21enni e con, quindi, ampi margini di miglioramento
8 – le sconfitte consecutive al primo turno rimediate da Thomas Fabbiano dopo il terzo turno raggiunto lo scorso gennaio agli Australian Open. A metà giugno, a seguito della sconfitta a S’Hertognebosh contro Seppi, il 30enne pugliese era addirittura fuori dai primi 150 della Race, a causa di un 2019 che dal punto di vista delle vittorie si era fermato al successo di Melbourne contro Opelka. Il tennis è però uno sport strano e, da una settimana all’altra, può cambiare tutto: Thomas in carriera non aveva mai sconfitto un top 30 e a Eastbourne pensava bene di sconfiggerne due (Djere e Simon) per raggiungere la prima semifinale della carriera a livello ATP. Una netta inversione di marcia continuata a Wimbledon, dove ha confermato il terzo turno dell’anno precedente, sconfiggendo Tsitsipas al primo turno. Anche su una superficie a lui ostica come la terra battuta, la settimana scorsa a Gstaad è continuato l’inerzia positiva: il pugliese ha raggiunto per la quarta volta (e seconda sul rosso) i quarti in un torneo ATP. Dopo aver superato la modesta wild card locale Ehrat (6-4 7-5) Fabbiano ha sconfitto l’amico e connazionale Sonego (7-6 3-6 6-1) per poi arrendersi a Stebe (6-4 2-6 6-4). Un piazzamento che l’ha portato all’82° posto della classifica, sebbene la sconfitta al primo turno di Kitzbuhel gli costerà (almeno) una posizione nel prossimo aggiornamento.
11 – le vittorie di Andrey Rublev negli ultimi diciotto tornei giocati nel circuito maggiore (e ben sei delle sconfitte rimediate in tale periodo le aveva subite contro tennisti non presenti nella top 50). Con questo mediocre bottino, causa della caduta in classifica sino ai margini della top 80 – assieme all’assenza dai tornei tra maggio e metà giugno per un infortunio al polso – il 21enne russo si è presentato per la seconda volta all’ATP 500 di Amburgo. Una involuzione netta per Andrey, che nel 2017 riusciva a vincere il primo titolo a Umago da lucky loser e ad essere il più giovane tennista nei quarti degli US Open dal 2001 in poi, risultati che lo portavano nel febbraio 2018 a guadagnare il best career ranking di 31 ATP.
Nei successivi venticinque tornei giocati alla semifinale raggiunta a Washington un anno fa, però, Andrey solo a Marsiglia e Miami vinceva almeno due partite di seguito in un torneo del circuito maggiore. Nel nord della Germania e in un torneo storico -sebbene decaduto – del calendario tennistico, Rublev è riuscito a riproporsi ai livelli di un tempo, conquistando una finale che lo riproietta nella top 50, zona di classifica già frequentata in passato per cinquantatré settimane. Per riuscirci, il russo ha superato un top 40 come Garin (6-4 7-6), un top 70 come Ruud (3-6 7-5 6-3) e sconfitto nei quarti per la seconda volta in carriera un top ten, Thiem (con un duplice tie-break, vendicando la rimonta subita a Monte Carlo 2018, con match point annullato, da parte dell’austriaco). In semifinale Rublev ha eliminato Carreno Busta (4-6 7-5 6-1), prima di arrendersi, dopo poco più di due ore di partita, a Basilashvili (7-5 4-6 6-3), che bissava così il titolo dello scorso anno. Una giovane promessa ritrovata.
20 – le partite vinte da Fabio Fognini nel 2019. Il ligure, tornato questa settimana a occupare un prestigiosissimo numero 9 nel ranking ATP, sta ottenendo tale traguardo, meritato in anni di carriera ad alto livello, proprio in una stagione nella quale, paradossalmente, non è riuscito a trovare continuità nel suo tennis. Se si esclude la meravigliosa settimana di Montecarlo, capace di far emozionare tutti gli appassionati italiani grazie ai successi su tennisti come Coric, Zverev e Nadal (allora, rispettivamente, numero 3 e 2 del mondo) e coronata con il titolo del Masters 1000 monegasco, Fabio ha giocato quattoridici tornei, vincendo altrettante partite. Anche dopo il torneo del Principato, il ligure non è riuscito del tutto a invertire il suo pessimo inizio di stagione (tra Melbourne e Marrakech aveva vinto un solo match in otto tornei): ha sempre perso nelle tre occasioni nelle quali ha affrontato top 10 ed è incappato in tre sconfitte, le ultime, contro tennisti nemmeno tra i primi 50 al mondo: Sandgren, Travaglia (sebbene contro il connazionale si sia dovuto ritirare per problemi fisici) e Carreno Busta ad Amburgo.
Proprio il susseguirsi di piccoli fastidi di carattere fisico preoccupa per il prosieguo della stagione del 32enne tennista azzurro: da questa settimana sino al termine dell’anno, Fabio giocherà su campi duri (outdoor o indoor), quelli che tendenzialmente più sollecitano il corpo (e in particolare le articolazioni) di un tennista. La speranza è che Fabio sia al meglio delle sue grandi potenzialità, visto che anche su quel tipo di campi ha dimostrato di poter fare molto bene. Quel che è certo è che da quando sei anni fa è entrato in pianta semi stabile nella top 20, il ligure non aveva mai vinto da gennaio a fine luglio un numero così basso di partite: nel 2013 furono 32, nel 2018 31, nel 2014 30 e nel 2017 27. Fognini in tal senso ha fatto peggio solo nel suo anno meno fortunato da quando è esploso ai vertici del ranking: nel 2016, terminato quasi fuori dalla top 50, nei primi sette mesi dell’anno vinse solo sedici partite. Se non dovesse confermare il titolo a Los Cabos questa settimana, Fognini rischia seriamente di uscire, dopo otto settimane, dalla top 10: nulla sarebbe perduto, considerato che lo sarà con ogni probabilità tra sette giorni nella Race, a testimonianza delle buone chance che il numero 1 azzurro ancora conserva per andare alle ATP Finals di novembre.
215 – la posizione di classifica nella quale era sprofondata Jasmine Paolini nel marzo scorso. Salita sino al 132° posto del ranking WTA nel giugno 2017, dopo aver vinto l’ITF da 100.000$ di Marsiglia (il titolo sinora più importante della carriera) la 23enne toscana due anni fa esordì, sebbene in doppio, anche in Fed Cup, una competizione nella quale non ha al momento un brillante bilancio (una vittoria in otto incontri complessivi). Solo nell’aprile del 2018, però, Jasmine è riuscita a vincere una partita di un tabellone principale WTA, a Bogotà, dove si è spinta sino ai quarti. Poco meno di due mesi dopo, a Praga, era poi arrivata la vittoria più importante della carriera, contro Kasatkina, allora top 20: sembrava il trampolino di lancio per il definitivo salto nella top 100, ma Paolini incappava invece in una deludente seconda parte di stagione (così come lo sono stati i primi due mesi dell’anno in corso) che le costava l’uscita dalle prime 200.
Jasmine è stata però brava a ripartire con umiltà dai piccoli tornei: a marzo vinceva un piccolo ITF da 25000 in Brasile, poi si qualificava e raggiungeva il secondo turno ai suoi due International “fortunati”, Bogotà e Praga e, soprattutto, riusciva e centrare l’accesso al primo tabellone slam della carriera, a Parigi. Progressi poi confermati con la vittoria del 60.000 dollari di Brescia e dal secondo turno raggiunto, sempre passando dalle quali, a Losanna due settimane fa. A Palermo la toscana ha per la seconda volta in carriera sconfitto due top 100 nel corso dello stesso torneo- Siegemund col punteggio di 6-1 6-4 e Begu con lo score di 6-4 5-7 7-6 – confermando di stare vivendo il miglior momento della carriera, come testimonia l’attuale 132°WTA, ad appena due posizioni dal best career ranking.