La settimana della Rogers Cup è il momento dell’anno nel quale il tennis in Canada conosce il suo maggiore momento di popolarità: i canali sportivi trasmettono tennis quasi non-stop, le foto dei tennisti canadesi sono ovunque e per il breve volgere della Rogers Cup i nomi degli assi della racchetta bianco-rossi diventano mainstream. “L’altro giorno sono andato al mio primo allenamento, mi aspettavo non ci fosse nessuno – ha raccontato Felix Auger-Aliassime, 19 anni tra qualche giorno e un brillante futuro da grande campione davanti a lui – e invece sono iniziate ad arrivare persone una dopo l’altra fino a che il campo era circondato. Certo fa piacere, ma rende più complicato rimanere concentrati sul lavoro da fare”.
Per Felix è la prima volta al torneo di casa, dal momento che nel 2017 era stato fermato da un infortunio che gli aveva impedito di accettare la wild card assegnatagli da Tennis Canada. Il suo “BFF” Denis Shapovalov invece ritorna sul luogo della sua ‘esplosione’ due anni fa, quando sconfisse Nadal e Del Potro per raggiungere alla semifinale, e sembra molto sicuro del fatto che il suo amico Felix saprà gestire la pressione nella maniera ottimale: “Sta facendo benissimo da solo, non ha nessun bisogno dei miei consigli”. Una delle sue missioni è convincere quanti più giovani canadesi possibile a giocare a tennis invece che a hockey (che da queste parti è quasi una religione) e mentre si trova in Patria trova sempre il modo di partecipare a eventi promozionali, oltre a parlare come motivatore agli allievi della scuola tennis di sua madre: “Voglio cercare di mettere una racchetta in mano a quanti più bambini possibile, non importa quale sia la loro etnia o provenienza, o se siano ricchi o poveri”.
Un altro tennista canadese ad approfittare della “settimana al sole” del suo sport in Canada è Vasek Pospisil, ultimamente alle prese con un infortunio al polso sinistro, l’ultimo della lunga lista di problemi fisici che hanno martoriato la sua carriera. Pospisil è anche un rappresentante nel Player’s Council, ed uno degli argomenti che gli stanno più a cuore è quello dell’aumento della percentuale degli introiti dei tornei che vengono distribuiti ai tennisti. Una “battaglia del grano” che a prima vista può sembrare una frivola querelle di gusto discutibile combattuta da un milionario che insegue una pallina come mestiere.
Ma noi che conosciamo il tennis sappiamo che non è così, che sono ben pochi i giocatori che riescono ad arricchirsi con il tennis professionistico, questo nonostante i più importanti tornei continuino a produrre utili da capogiro. Pospisil ha quindi sfruttato questa “settimana del tennis” per scrivere di suo pugno un articolo per il Globe and Mail, importante quotidiano anglofono di Toronto letto e apprezzato in tutto il Canada, per far conoscere meglio la sua causa al grande pubblico e spiegare la sua missione. “Lo US Open investe il 14% dei suoi introiti nel montepremi, 7% per gli uomini e 7% per le donne. Nelle leghe professionistiche americane quella cifra è di solito intorno al 50%. Senza tenere presente che i tennisti devono loro stessi far fronte alle spese relative all’attività, mentre gli sportivi professionisti degli sport di squadra hanno viaggi, allenatori, spese mediche e quant’altro pagate dalle loro franchigie”.
Si tratta spesso e volentieri di investimenti notevoli, a cui i genitori dei giovani tennisti alla ricerca di un futuro professionistico devono far fronte come possono: “I miei genitori vendettero la loro casa per permettermi di viaggiare per tornei e terminare la scuola a distanza – scrive Pospisil – mio padre lasciò il suo lavoro per accompagnarmi in giro per il mondo alla conquista di punti, ma le prospettive di poter aspirare ad una vita agiata giocando il tennis sono sempre piuttosto scarse. Nel 2018, i giocatori classificati tra la 51esima e la 100esima posizione della classifica mondiale hanno guadagnato in media 583.235 dollari USA, al lordo di tasse e spese. Nella NHL [la lega professionistica di hockey, n.d.r.] la scorsa stagione ci sono stati più di 450 giocatori che hanno guadagnato più di un milione di dollari, al netto di tutte le spese”.
I numeri sembrano raccontare di un sistema che non funziona, ma che è molto difficile da cambiare. “L’attuale governance, che vede giocatori e tornei con ugual peso nell’ATP Tour Board, è uno strumento molto efficace da parte dei tornei per mantenere il loro monopolio – prosegue Pospisil nel suo articolo – e i giocatori non possono nemmeno formare un sindacato per proteggere i propri interessi, dal momento che i tennisti sono prestatori d’opera indipendenti e non possono sindacalizzarsi senza rischiare una causa legale da parte dell’ATP”.
Si ricorderà come lo scorso anno in Australia Novak Djokovic, presidente dell’ATP Players Council, avesse presentato durante il meeting di Melbourne a gennaio un progetto di uno studio legale americano per un potenziale sindacato giocatori, ma di come la cosa non abbia più avuto seguito a causa del “complicato scenario legale” in cui questo sindacato andrebbe a inserirsi, con giocatori che provengono da decine di Paesi diversi, con giurisdizioni e leggi molto diverse tra loro. Il n.1 del mondo non aveva però mai parlato di potenziali azioni legali da parte dell’ATP nei confronti di giocatori che vogliono formare un sindacato.
Pospisil tuttavia sembra voler contestare il fatto che i tennisti siano liberi prestatori d’opera: “Ma lo siamo veramente? Secondo le norme interne che regolano l’ATP lo siamo, ma dipende tutto dalla valutazione che verrebbe data da un giudice in un’aula di tribunale. Sarebbe veramente possibile per un giocatore guadagnarsi da vivere al di fuori dell’ATP? Oppure in realtà siamo lavoratori dipendenti la cui sussistenza dipende dall’ATP e dai tornei del Grande Slam? […] Non ci sono tour concorrenti a quello dell’ATP, abbiamo obblighi nei confronti dell’ATP e veniamo penalizzati se non giochiamo i tornei più importanti. Scommetto che un giudice farebbe a pezzi il concetto che i tennisti sono liberi prestatori d’opera, dando via libera alla formazione di un sindacato che possa finalmente proteggere i nostri interessi”.
Il ragionamento di Pospisil sembra piuttosto chiaro: i giocatori potrebbero essere pronti ad “andare a vedere le carte” dell’ATP perché la loro attuale condizione non è più compatibile con quella dei liberi prestatori d’opera. Effettivamente, chi vuole giocare a tennis professionalmente non ha molte alternative a diventare membro dell’ATP: è l’ATP che gestisce il tour, le opportunità di guadagno al di fuori del tour sono pochissime (le leghe nazionali come la Bundesliga, e le esibizioni come il World Team Tennis o la ormai defunta ITPL), ma in ogni caso il “cachet” dei tennisti viene quasi univocamente stabilito dal loro ranking ATP che richiede la partecipazione ai tornei ATP per essere mantenuto.
Questa posizione di monopolio di fatto potrebbe risultare di particolare interesse da parte della Commissione Antitrust degli Stati Uniti (l’ATP è un’azienda americana incorporata in Delaware con sede a Ponte Vedra in Florida), e per evitare una sentenza che potrebbe avere effetti deflagranti e ignoti sull’establishment attuale, l’ATP potrebbe essere pronta a fare concessioni ai giocatori in modo da non andare a discutere gli affari propri in tribunale.
L’idea di avere i tennisti “di un certo livello” (bisognerebbe definire un ranking al di sopra del quale si applica questa definizione) come salariati dell’ATP con bonus a seconda dei risultati non è totalmente peregrina e nemmeno totalmente inedita, ma si scontra con la realtà frammentata del tennis attuale, dove i maggiori generatori di fatturato, ovvero i tornei dello Slam, sono entità indipendenti su cui l’ATP ha ben poco controllo.
In questo contesto l’aumento quasi esponenziale del prize money di primo turno registrato negli ultimi anni è uno dei pochissimi meccanismi possibili di “reddito di cittadinanza” per i tennisti: siccome sono gli Slam a generare gran parte del surplus, ma l’ATP non ha il potere di indirizzare quei proventi nelle direzioni più opportune, si è riusciti a far sì che i giocatori con ingresso diretto nei quattro majors possano avere abbastanza guadagni “garantiti” da coprire le spese di una stagione. Ma è un meccanismo altamente imperfetto, che porta a storture quali la partecipazione di giocatori infortunati o non in condizione e le relative multe (vedi casi Tatishvili e Tomic negli ultimi due Slam).
“Il tennis ha bisogno di un cambiamento”: così ha chiuso Vasek Pospisil il suo articolo sul Globe and Mail. La situazione attuale, sebbene apparentemente foriera di traguardi economici e di popolarità mai raggiunti, sembra non essere sostenibile a lungo, con i tre pilastri dello sport al maschile vicini al ritiro e le emittenti detentrici dei diritti televisivi dei grandi tornei (ormai principale fonte di reddito di qualunque evento sportivo) che cominciano a dubitare delle cifre promesse. Difficile dire che direzione prenderà il cambiamento, ma non ci sarebbe da sorprendersi se tra cinque anni l’assetto del tennis mondiale dovesse essere molto diverso da quello attuale.
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