È un Federer parecchio ciarliero quello che si presenta in conferenza stampa dopo l’esordio vincente di Cincinnati contro l’argentino Londero. “Le condizioni di gioco sono rapide“, dice lo svizzero con una punta di soddisfazione. “Nel primo set abbiamo scambiato pochissimo, è stato un tennis ‘bang-bang’. Come saranno i campi a New York? Non ho sentito ancora testimonianze dirette, alcune voci dicono che non saranno lenti come lo scorso anno. Non credo saranno mai rapidi come questi, ma un po’ più rapidi dello scorso anno sì. Credo che lo scorso anno, per essere lo US Open, fossero davvero troppo lenti“. Su Londero: “Non l’avevo mai affrontato, ma credo che possa giocare bene sui campi veloci. Si muove bene, può colpire in anticipo. Poi è un gran lottatore, l’abbiamo visto contro Rafa a Parigi: è una qualità che apprezzo molto in un giocatore“.
Roger ha scelto di saltare l’Open del Canada per tornare in campo direttamente a Cincinnati, dopo Wimbledon: non una novità, se consideriamo che nelle ultime otto stagioni ha giocato la Rogers Cup soltanto due volte (2014 e 2017, due finali perse). “Sarebbe stato un cambiamento repentino, perché di solito prendo da una settimana a nove giorni di riposo dopo Wimbledon, e se vuoi allenarti per almeno due settimane non puoi materialmente riuscirci. Certo, puoi andare direttamente in Canada, ma insomma… Sono in un momento diverso della mia carriera; Wimbledon è un grande obiettivo, è importante lasciar ‘decantare’ un po’ e prendersi il tempo necessario per preparare il resto della stagione“.
La stessa scelta, del resto, che ha fatto il giocatore che l’ha sconfitto nell’ormai iconica finale di Wimbledon. L’esordio di Novak Djokovic ha immediatamente preceduto quello di Federer, e si è rivelato appena un pizzico più complicato, quantomeno nel primo set. Un po’ di ruggine si è vista; comprensibile dunque la domanda su come è solito trascorrere periodi come questo, circa un mese senza competizioni. “Inizio con un po’ di allenamento senza racchetta, per qualche giorno o per una settimana, poi prendo in mano la racchetta e comincio a basso ritmo. Dipende, ovviamente, da quanto è lungo il periodo senza tornei: durante l’off-season sai di avere cinque-sei settimane di pausa e hai libertà di prenderti il tuo tempo, senza affrettare gli allenamenti. Durante la stagione il temo si riduce, perché non vuoi rischiare di perdere certe sensazioni sul campo“.
Il numero uno del mondo è sceso in campo contro Querrey da campione in carica, una circostanza che nel 2016 a Wimbledon gli era stata fatale. Questa volta ha gestito la pratica, pur con qualche sbavatura. “Ad essere onesto, essere il detentore del titolo non mi ha condizionato negativamente o positivamente, né avevo pressioni aggiuntive o cose simili. Ero felice di essere tornato a competere, ma al tempo stesso all’inizio ero nervoso perché non giocavo da quattro settimane. Ci ho messo un po’ ad adattarmi, anche a colpire servizi oltre i 200 km/h. Ho fatto tre doppi falli nel game iniziale, non la migliore delle partenze. Non avevo ritmo al servizio, poi inizi a pensare troppo perché non è positivo essere sotto di un break contro un ottimo servitore. È stato un match complesso contro un avversario forte, una grande sfida. Sono felice di essere stato in difficoltà sin dal primo match e spero che la prossima prestazione sarà ancora migliore“.
TENNIS E POLITICA – Come spesso accade, di recente, le conferenze di Djokovic e Federer a un certo punto escono dall’argomento-campo per finire nel più grigio (ma non per questo meno importante) territorio della politica di gestione del circuito. Lo svizzero, inoltre, è appena entrato a far parte del Player Council: “Credo che le cose stiano andando nella direzione giusta, abbiamo buoni numeri in termini di pubblico e montepremi. Potrebbe andare meglio? Sì, forse, ma non mi piace parlare male del nostro sport. Ci sono persone che amano il gioco, lavorano per pochi spicci ma a loro non interessa, sono soltanto felici di essere parte dello show. Dobbiamo prenderci cura di queste persone. Questo, a volte, può impedirci di avere il super imprenditore a capo di certi tornei, ma allo stesso tempo mi piace così, devo essere onesto, quando non è tutto soltanto business ma anche un po’… amatoriale. Mi sembra più a misura d’uomo. Il gioco deve crescere, ne sono consapevole, e forse entrando a far parte del council potrò dare una mano in questo. Credo però che il tennis sia uno sport migliore di 20 anni fa; ci sono alti e bassi, ma non mi sentirete mai parlare male del nostro sport“.
Federer suggerisce poi un imperativo ‘morale’: dare una maggiore (e migliore) consapevolezza ai giocatori che non sostano ai piani altissimi della classifica. “Devi poter fare quello che sai fare meglio e può rendere orgogliosi te, la tua famiglia e il tuo paese. Qualsiasi cosa sia. Prendiamo un altro sport: se sei il 100simo miglior atleta vieni considerato un campione. Nel tennis si direbbe ‘Oh, è soltanto il numero 100’, e io non sono d’accordo“. Il parere di Djokovic non è troppo dissimile. Il serbo crede che ai giovani si finisca per chiedere troppo: “Penso che ci sia troppa pressione sulle spalle dei giovani: devono essere campioni Slam, devono entrare in top 10. Il fatto è che solo lo 0.5% dei tennisti del mondo entrano in top 100. E il restante 99.5%? È la vita, devi affrontarlo. Ma credo che come società e sport dovremmo vedere queste cose in modo più sereno e con maggiore vicinanza emotiva per i ragazzi che non riescono, perché puoi sempre avere successo nella vita. Non è la fine del mondo“.
Federer e Djokovic potrebbero affrontarsi in semifinale, ma per nessuno dei due sarà una passeggiata. Lo svizzero attende il vincitore della sfida tra Wawrinka e Rublev e poi, verosimilmente, uno tra Medvedev e Tsitsipas; Nole ha invece Carreno Busta e quindi, nell’eventuale quarto di finale, chi saprà vincere le prossime due partite tra Kyrgios, Khachanov, Shapovalov e Pouille. In rigoroso ordine di pericolosità.
Con la collaborazione di Lorenzo Fattorini