da New York, il direttore
Un ottavo di finale e un quarto, fra Wimbledon e US Open, non si raggiungono per caso. I sette giocatori battuti: Bedene (85 ATP), Baghdatis (135), Schwartzman (24), Gasquet (36), Thompson (55), Popyrin (105), Rublev (43). Uno con Bedene e due con Schwartzman a Londra, uno con i primi tre qua a New York: totale set vinti 21, persi 6. È stato bravo, bravissimo. E non sfortunato nei sorteggi, almeno con il senno di poi.
Ecco: più che i nomi dei giocatori, con Schwartzman che qual n.24 è stato la più alta “vittima” nel ranking ATP (e non è proprio un “erbivoro”) e che quindi in fondo sulla carta Matteo era quasi tenuto a battere, sono altre ragioni che mi infondono fiducia sulle sue possibilità e prospettive, a prescindere dal fatto che almeno un giocatore, Rublev, dominato per due set e mezzo, vale molto più della sua classifica ed è certamente il risultato più probante fra i sette realizzati da “Berretto”. Informarsi presso Federer, Tsitsipas, Kyrgios. Non dei pisquani qualsiasi. La sua è stata una prestazione quasi perfetta, almeno per due set e mezzo.
Ho accennato ad altre ragioni che mi infondono fiducia e provo ad elencarle in ordine sparso, non fate caso alle lettere alfabetiche:
a) L’autorevolezza con la quale ha vinto la stragrande maggioranza delle partite.
b) La qualità del tennis espresso che ha impressionato tutti i media: servizio e dritto devastanti, rovescio (anche slice) enormemente migliorato, timing eccellente nella scelta dei drop-shot accompagnata anche da un’ottima mano tanto di dritto che di rovescio, buona copertura a rete nelle rare discese di cui ha avuto relativo bisogno soltanto perché il punto lo fa quasi sempre o con il servizio o con il dritto, senza vere necessità di scendere a rete, anche se talvolta potrebbe provare a sfruttare l’effetto sorpresa.
c) Un buon approccio strategico alla partita e all’avversario. Diversamente da Camila Giorgi non si limita a dire “faccio il mio gioco”, anche se certamente esso è basato – come detto – principalmente su servizio e dritto. Difatti ha colto cinque punti importanti con Rublev grazie alla palla corta, e cinque punti non meno importanti su sei discese a rete. Infine al servizio ha variato costantemente angoli, più che le velocità. Ha sempre, infatti, cercato di tirare la prima. Nove ace non sono troppi, ma a quelli vanno aggiunte anche diverse “prime” vincenti o immediatamente o con il colpo successivo. Soltanto in sei o sette occasioni – ma sto cercando il pelo nell’uovo – ha scelto male. Era quando non era condizione di angolare o tenere profonda la palla e giocava il dritto, da destra, verso il centro, offrendosi in modo scoperto al dritto di Rublev che aveva gioco facile a chiudere il punto sul lato del dritto di Matteo che, nel tornare inevitabilmente verso il centro, lasciava scoperto l’angolo alla sua destra. Quelle volte Matteo avrebbe invece dovuto giocare o sul rovescio di Rublev oppure un colpo più interlocutorio, maggiormente liftato, che gli consentisse di recuperare il centro del campo.
d) La classifica: Matteo è virtualmente n.17, anche se i prossimi risultati di Wawrinka e Dimitrov potrebbero farlo retrocedere di uno o due posti. Comunque sia se uno è n.17 significa che risultati importanti li ha fatti anche in altri tornei e non solo in questi due ultimi Slam. Motivo per cui non ci si deve soffermare soltanto sui sette avversari battuti fra Wimbledon e US Open.
e) L’aspetto mentale, con la recente solidità mostrata nei frangenti decisivi. Salvo magari quelli immediatamente prima della fine, quando la prima di servizio lo abbandona un po’: è successo con Popyrin sul 5 pari del quarto set, con Rublev quando ha servito per il match sul 6-5 nel terzo e ha messo una sola prima su cinque perdendo il game di battuta a 15, e infine quando avanti prima di tre punti, poi di due nel tiebreak sul 5-4 con il servizio a favore e a due punti dal match ha messo in rete un dritto fiacco, facile facile, che non aveva mai sbagliato prima e non avrebbe sbagliato se non si fosse trovato in quella situazione. Ma, sia chiaro, se perde 23 partite con il matchpoint Federer, non tutti “regalati” sia chiaro, a maggior ragione può tremare il braccio di Matteo. Il quale, peraltro, con grande coraggio ha giocato tutto il resto del tiebreak, fin dalla smorzata vincente che gli ha dato il primo minibreak, ma davvero non dai primi due punti giocati con il servizio a favore, persi entrambi.
f) Il divario manifestato piuttosto chiaramente dal numero dei set vinti a confronto di quelli persi, segno di una sostanziale marcata superiorità.
g) L’età. Se a 23 anni i risultati sono questi, si può ragionevolmente supporre che migliorerà ancora. Quasi tutti i tennisti raggiungono l’apice della loro condizione, atletica e tecnica, intorno ai 27 anni. Non si vede perché lui dovrebbe rappresentare un’eccezione negativa, visto che ha oltretutto una più che discreta attitudine ad ascoltare e ad apprendere. E ha un’ottimo team attorno a lui. Non so, al riguardo dell’età, se possa o debba essere considerata un fattore significativo anche la circostanza che tutti i tennisti italiani siano per solito maturati tardi e che Matteo abbia raggiunto già questi risultati prima di chiunque altro nella storia del tennis italiano. Oltretutto mentre si profila all’orizzonte un Sinner che pare in grado di battere tutti i record di precocità nazionale, lui ha invece avuto – anche per via di un ginocchio ballerino – uno stop di sette mesi che ha rallentato la sua progressione. Non è neppure stato il miglior junior italiano. Ce n’era più d’uno migliore di lui. Quindi, senza essere stato un enfant-prodige, la sua progressione – sotto tutti i profili – è stata costante, rapida, quattro anni di… ”cottura” ma non rapidissima.
h) Il team. L’ho già accennato, ma non abbastanza. Il tennis resta sport individuale, ma oggi più di un tempo, la consistenza e compattezza di un team è assolutamente fondamentale. Non è piaggeria quella dei giocatori che, durante una premiazione, ringraziano la squadra che li sorregge. Ebbene non so se sia stato più intelligente o più fortunato, ma Matteo è circondato da persone molto, ma molto serie, preparate e motivate, affezionate, disponibili a tutto tondo. E direi anche più per simpatia umana che per interesse professionale. È partito bene, certo, perché sorretto da una famiglia di persone perbene, padre, madre, fratello, nonno (fiorentino e viola di affetti…), tutti di bei principi, di sicura educazione. Bastava sentirlo parlare già anni fa per capirlo. E la famiglia lo ha incoraggiato, seguito, con la giusta partecipazione, senza eccessi. Poi c’è il coach Vincenzo Santopadre che lo segue da nove anni, da quando lui aveva 14 anni.
La loro scommessa, perché a 14 anni, altro non è se ragazzino e coach puntano rischiosamente al professionismo, la stanno vincendo insieme. Non mi risulta abbiano mai pensato a divorziare. Una fiducia reciproca immensa, profonda. Non so poi chi abbia deciso per primo (la famiglia? Santopadre?) di fargli incontrare un uomo maturo capace di fargli da coach mentale, Stefano Massari (che oggi Matteo definisce uno dei suoi migliori amici anche se ha un trentina d’anni di più) già a 17 anni. Non è mica tanto normale – o almeno non lo era fino a pochi anni fa – che già a 17 anni un ragazzino avesse chi si occupava della sua psiche, del suo rapporto con la vita, anche fuori dal tennis, prima del tennis che ovviamente recita una parte importante e va saputo gestire fuori dal campo e dentro il campo. Ricordo di aver letto che a Matteo sono stati fatti leggere certi libri, Hemingway (Il Vecchio e il Mare), vedere certi film (Tarantino e altri) e si è cercato di costruirgli una cultura e una sensibilità per tutto quel che lo circonda. Magari questo fosse stato fatto in passato con altri giocatori italiani che si sono rivelati di una ignoranza abissale.
Mi chiedo infatti: quanti giocatori italiani hanno compiuto questo tipo di percorso? Forse d’ora in poi lo faranno, ma fino a ora l’hanno fatto in pochi. Certo, ci vogliono anche mezzi di partenza per potersi permettere tutto ciò. Ma anche una sana cultura, Oggi il problema dei mezzi economici per Berrettini, che comunque di famiglia non credo sia stato mai stato in severe difficoltà, è superato: solo in questo torneo il premio dei quarti è 500.000 dollari, 424.000 euro. C’è chi non li guadagna in una vita. Anche se ho deviato dalla questione tecnica per accennare al “mentale” un sicuro contributo ai risultati di Matteo lo sta dando anche Umberto Rianna, da tempo uno dei migliori coach in forza alla federazione. Era cresciuto da Bollettieri, si era occupato di Starace, ha fatto tante esperienze, è bravo. E’ serio, E in questo caso occorre dare merito anche alla FIT che lo ha messo a disposizione del team Berrettini. Va dato a Cesare (leggi FIT) quel che è di Cesare.
Last but not least mi sembra proprio una persona carina, oltre che una bella ragazza, anche l’attuale ragazza di Matteo, Ajla Tomljanovic che ho incontrato poco dopo l’exploit di Matteo e mi ha detto “ha vinto lui, non io, quando vinco io rispondo a tutte le tue domande”, dopo di che mi ha detto soltanto che nel frattempo una quindicina di parole italiane le ha imparate. Molte sono quelle che possono servirle a ordinare il menu a un ristorante italiano, ma naturalmente c’è anche la parola “amore” e derivati. Certo, nella mia testa sarebbe frullata una domanda che non le ho fatto: ma come si può essere innamorati di uno come Kyrgios e poi di uno come Matteo? Mi sembrerebbe che due tipi più diversi di loro due non esistano al mondo. Poi mi sono detto due cose; la prima: non sono fatti miei; la seconda: vai a capire le donne!
i) Spero di non avere dimenticato nulla e di non avervi annoiato troppo. Non avevo dubbi che Monfils avrebbe dominato Andujar che fa tutto benino ma gli manca il colpo vincente. Per Matteo “La Monf” figlio di un padre delle Guadalupe e di una madre della vicina Martinica, sarà decisamente l’avversario più tosto fra tutti, perché oltre che ex top-ten (n.6 nel luglio 2016) e attuale n.13, 33 anni appena compiuti, Gael ha certamente anche una grande esperienza. Già undici anni fa (2008) era stato semifinalista al Roland Garros, nel 2016 aveva conquistato lo stesso traguardo qui. Perse un match molto discusso con Djokovic, quando fu accusato di scarso impegno. Ma era semplicemente stanco. Altre due volte qui aveva perso nei quarti. Traguardo raggiunto anche in Australia. Di Berrettini ha detto cose scontate: “Per prima cosa ha un gran servizio (cosa che Andujar non aveva… n.d.ubs), ma è anche un grande atleta per un uomo della sua altezza, si muove bene”. Conteranno di più l’esperienza o dieci anni di meno e la maggior fame di successo?
Prima di chiudere osservo che come avevo facilmente previsto Nadal ha spazzato via Cilic, anche se ci ha perso un set per la prima volta nel torneo. Ma ha dominato gli altri. Ero convinto anche, come lo stesso Nadal del resto (lo ha detto lui), che Schwartzman avrebbe avuto ragione di Zverev, ancora alle prese con troppi problemi (il vecchio agente che gli fa causa, il nuovo agente che deve gestire, il cuore che ancora soffre per la relazione mal conclusa, soprattutto il padre che ha un brutto male). L’argentino ha perso il primo set ma vinto bene gli altri. La situazione adesso è che Federer stasera gioca contro Dimitrov che ha battuto sette volte su sette e Nadal giocherà domani contro El Peque, l’argentino rappresentante principe dei super-brevilinei, dopo averlo battuto sette volte su sette. Già, anche lui. Roger e Rafa, i due grandi rivali insomma, marciano proprio su cammini paralleli. Si dice sempre che tutto può succedere, e anche Goffin dopo sette sconfitte a Londra 2017 batté finalmente Federer, ma insomma chi siano i grandi favoriti è chiaro a tutti.
Una curiosità: Schwartzman era convinto di dover affrontare Berrettini. “Sì, al 100%: sul megaschermo dell’Ashe facevano vedere i setpoint e il matchpoint di Berrettini e Rublev, ho visto che l’italiano aveva vinto e allora si sono detto: ‘Ok, il prossimo è Berrettini, ci ho perso a Wimbledon con tre matchpoint, ora ce l’ho davanti di nuovo…’. Invece ho Rafa. Cosa fare per batterlo? Beh, basta tirare molto forte sulle righe!”. Mi sa proprio che El Peque, il piccoletto, avrebbe preferito incontrare Berrettini.
Due parole infine sul torneo femminile, orfano a metà settimana dei commenti del nostro esperto AGF che è tipo bello testardo e non c’è verso di convincerlo che un commento potrebbe – anzi dovrebbe – essere fatto anche a metà Slam a mo’ di bilancio di metà percorso.
La sconfitta di Naomi Osaka con la sua bestia nera Bencic che l’aveva già battuta due volte quest’anno era, se non prevedibile, quantomeno ipotizzabile. Così la piccola, piccolissima Svizzera, un Paese che non è più grande di Lombardia e Piemonte, ha tre giocatori nei quarti, Bencic e i soliti due, Federer e Wawrinka. Tutti, anche Bencic che giocherà con Vekic sopravvissuta a un matchpoint con Goerges, hanno buone chances di raggiungere le semifinali. Wawrinka gioca alla pari con un Medvedev forse provato, Federer come detto ha un Dimitrov sempre battuto. Se tutto questo accadrà uno svizzero sarà certamente in finale nel maschile. E Bencic giocherà magari le sue carte, dopo Vekic, con chi vincerà fra Mertens e Andreescu (vittoriosa su Townsend 6-1 4-6 6-2).
Ma di campionesse capaci di vincere uno Slam (anzi 23) ce n’è una sola. Serena Williams che non credo possa perdere dalla cinese Wang Qiang. Serena potrebbe semmai soffrire in semifinale chi vincerà fra Svitolina e Konta con l’ucraina fidanzata di Gael Monfils nettamente favorita per aver vinto tutti e tutti i precedenti duelli. Dai tempi dei fidanzatini Connors e Evert che nel ’74 vinsero entrambi Wimbledon, non mi pare ci sia stata più una altra coppia che abbia fatto tanta strada nello stesso Slam, perché Agassi e Graf che vinsero Parigi nel ’99 non stavano ancora insieme. Ma magari mi sono perso qualcosa e conto sul fatto che i lettori ci aiuteranno a ricordare altri flirt di successo. Ma adesso la prima favorita sembra Serena. Meriterebbe lo Slam n.24. Con tanti saluti al reverendo Court.