da New York, il direttore
Gli immortali non muoiono mai, per definizione. Però forse si infortunano. Soprattutto a una certa età, l’anagrafe presenta il conto. La spalla sinistra di Djokovic, 32 anni, fa il paio con la schiena di Federer (nella parte più alta, a ridosso del collo). Ora Rafa Nadal fa gli scongiuri. Nella notte Federer ha perso in maniera strana, quasi bizzarra, da Dimitrov in cinque set. Seguendolo sull’Ashe non si capiva che cosa avesse. Ma ne parlo dopo.
Intanto la situazione dice che due dei tre big sono usciti di scena e Rafa Nadal, che deve affrontate Schwartzman che ha battuto 7 volte su 7, probabilmente tocca legno perché anche Federer aveva battuto 7 volte su 7 Dimitrov. Il primo dei big, Djokovic stando al ranking ATP, si è ritirato. Il terzo, sempre stando alla classifica – meglio precisare perché so di avere lettori ipersuscettibili – non lo ha fatto, ma è come se. Forse, come era capitato a Djokovic con Londero e Kudla, Roger sperava di farcela lo stesso. Cioè di vincere un match in più e vedere. Magari Medvedev stava peggio di lui, a giudicare da quel che si era visto poche ore prima quando il russo era riuscito comunque a battere Wawrinka in quattro set, dopo aver minacciato – in cuor suo – di ritirarsi. Così ha parlato il russo:
“Sentivo che avrei perso il match per via della gamba, pensavo che mi sarei dovuto ritirare o che in un’oretta mi sarei trovato negli spogliatoi da perdente. Il modo in cui ho vinto è stato piuttosto brutto… mi fa davvero male la gamba anche ora, dovevo giocare colpi forti e improvvisi, poi palle corte pur di non correre”
Roger era comunque riuscito a conquistarsi un vantaggio di due set a uno, e magari con un po’ di riposo, massaggi, antidolorifici e ben due giorni di riposo prima delle semifinali di venerdì, il mezzo miracolo terapeutico poteva riuscire se lui ce l’avesse fatta a sfangarla sull’Ashe. Ma si è rivelata vana speranza.
Così i primi due semifinalisti dell’US Open, entrambi giustizieri di uno svizzero – che brutta giornata per la Confederazione, altro che una semifinale tutta rossocrociata – sono due tennisti dell’Est, un russo e un bulgaro, Daniil Medvedev, 23 anni e Grigor Dimitrov 28. Entrambi giocheranno per la prima volta una semifinale all’US Open. Per Medvedev è la prima semifinale Slam in assoluto, mentre per Dimitrov sarà la terza dopo quella di Wimbledon 2014 (quando sembrava destinato a grandi cose) e di Melbourne 2017.
Ora Medvedev, che sogna in cuor suo di imitare Marat Safin, qui campione nel 2000 quando distrusse Pete Sampras in finale, sa di aver già scavalcato Thiem, soffiandogli il quarto posto nel ranking dopo questa estate straordinaria. Mentre partendo da molto più indietro, la sua peggior classifica in anni e anni, n.78, Dimitrov ha fatto già un gran balzo in avanti, 53 posti. Se dovesse perdere con Medvedev sarà come minimo n.25. Ma ovviamente può salire ancora se dovesse arrivare in finale o addirittura vincere. In quest’ultimo caso salirebbe addirittura a n.10.
Insomma, dopo tutte le previsioni dei giorni scorsi il grande duello Federer-Nadal, che l’US Open è l’unico Slam a non aver mai vissuto, è saltato ancora, non ci sarà neppure quest’anno. E chissà se a New York lo vedranno mai. Solo due giorni fa pareva a tutti, proprio a tutti (e non solo a chi scrive, a Steve Flink, a tutta la sala stampa) l’epilogo più probabile. Ma così è il tennis, così è la vita. Non esistono verdetti preconfezionati. È il bello dello sport. E quando i giocatori lo dicono in conferenza stampa appaiono ambasciatori di banalità, ma a pensarci bene hanno ragione.
Due giorni fa Roger aveva detto: “Se continuo a giocare così bene e pain-free (senza infortuni) non è impossibile che io giochi fino a 40 anni”. Bum, guarda cosa gli è capitato fra capo e collo – è proprio il caso di dire, no? – quando nessuno se lo aspettava. Ieri pomeriggio Roger è sceso in campo per fare un piccolo allenamento di riscaldamento, ma già aveva avvertito che qualcosa non andava. Una lunga seduta di massaggio non lo ha miracolato. Il dolorino dietro la schiena, sulla parte alta vicino al collo, non se ne è andato. Già, può capitare anche agli immortali. E più facilmente quando si ha 38 anni invece che 23.
Per la verità anche al russo che ancora immortale non è, ma che ha proprio 23 anni ed è il più giovane semifinalista all’US Open da quando già nel 2008 lo fu un Novak Djokovic ventunenne, non è davvero sembrato in gran salute nonostante la vittoria ottenuta in 4 set a spese di Wawrinka. Stan rimpiangerà di non essere riuscito a far suo il setpoint del primo set. Contro il russo che avrebbe dichiarato poi di aver pensato addirittura a ritirarsi quando era a poco più di metà del primo set – problemi alle gambe; se Wawrinka fosse riuscito a portarsi avanti per due set a uno, anziché sotto due set a zero e poi due set a uno, avrebbe probabilmente portato a casa il match.
Ora invece Medvedev, giovanotto certamente intelligente a giudicare dalle risposte che dà, e per la saggia decisione di voler riconquistare il pubblico newyorkese dopo i buuh dei giorni scorsi, ringrazia il cielo di poter godere di due giorni di riposo. Ha 23 anni lui, non 32, non 38. Magari due giorni possono bastare. E forse, oltre al cielo, ringrazia pure di non trovarsi di fronte la leggenda Federer: ci aveva perso tre volte su tre. Meglio vedersela con Dimitrov, per quanto in progresso.
Daniil, che da anni si allena in Francia e parla correntemente il francese – “Meglio dei francesi e lo ha imparato in meno di due anni” ha raccontato il suo coach – ha giocato 21 partite in un mese, quasi una ogni giorno e mezzo. I ritmi di Stakhanov Thiem…e ne ha perse solo 2! L’avesse immaginato avrebbe giocato qualche torneo in meno. “A Cincinnati sono arriato così stanco che pensavo avrei perso subito… invece ho vinto il torneo”. Chissà, magari vincerà pure questo.
Contro un Federer assai poco convincente, Dimitrov ha dimostrato di non valere l’attuale classifica, n.78, ma nemmeno quel n.3 che era riuscito a costruirsi vincendo in particolare le finali ATP a Londra 2017. Tant’è che, pur scambiando certo meglio di quando aveva collezionato 7 sconfitte in 8 incontri, era comunque finito sotto 2 set a uno contro un Federer tutt’altro che trascendentale.
Ma la cronaca del match l’ha già fatta Vanni Gibertini. Dico solo che sugli spalti non si riusciva a capire che cosa avesse Federer. Perché ogni tanto sbarellava, 61 errori gratuiti non sono certo da lui, ma giocava anche scambi bellissimi e serviva anche a velocità più che dignitose, tali da negare – apparentemente – un qualsiasi mal di schiena. Sembrava più un problema di gambe, era lento, costretto spesso a giocare in demi-volée.
CHE SUCCEDE ORA? – Vabbè, la situazione ora è la seguente: Nadal è il solo superstite in tabellone ad aver già vinto uno Slam, un po’ come Serena Williams fra le donne dopo le sconfitte di Osaka e socie. Ma ora chi si azzarda a dire che contro Schwartzman deve vincere per forza solo perché lo ha già battuto 7 volte su 7? Mi sento però di assicurare che l’argentino, anche se dovesse andargli male e nel peggiore dei modi, almeno un vincente lo farà. Alla povera cinese Qiang Wang contro Serena, 61 60, non è riuscito neppur quello e non ricordo mi fosse mai capitato di vedere nella casella delle statistiche, set per set, soltanto degli 0 accanto ai vincenti. Neppure quando, nella finale del Roland Garros ’88, vidi Steffi Graf battere 60 60 la malcapitata Natalia Zvereva in soli 34 minuti. La ragazza cinese è riuscita a stare in campo 10 minuti di più, ma quella casella dei vincenti l’ha lasciata immacolata. Ora Serena se la vedrà con la compagna di Monfils, Elina Svitolina, con la quale vanta un bilancio di 4 vittorie a fronte di una sola sconfitta, peraltro dolorosa: avvenne alle Olimpiadi di Rio, 2016.
Ma oggi è la giornata di Berrettini che, per sua fortuna non si trova in Italia, dove mi pare che fra paginate di giornali e servizi televisivi si stia forse esagerando un po’ in entusiasmo. Anche Ubitennis ha dedicato a lui, al suo team, alle dichiarazioni di altri tennisti incentrate su Matteo tanto, tanto spazio. Era forse inevitabile che ciò accadesse, un po’ come per Cecchinato in semifinale a Parigi un anno fa e dopo 40 anni di digiuno, ma giusto per raccomandare a tutti di tenere i piedi per terra – come sembrano fare lo stesso Matteo, Vincenzo, Umberto, Stefano, Tschabusnig e chi gli sta attorno – subito l’altro giorno ho voluto ricordare che gli avversari fin qui battuti da Matteo non sono i 3 big. Già riuscire a battere anche Gael Monfils, 10 anni più di Matteo, assai più esperto e collaudato da mille battaglie, semifinali e finali di grandi tornei, sarebbe uno straordinario exploit. In bocca al lupo Matteo.