Tempo di verdetti a New York. L’edizione 2019 degli US Open ha regalato agli appassionati due semifinali maschili davvero molto intriganti. Nella parte alta del tabellone saranno Grigor Dimitrov e Daniil Medvedev (1-1 i precedenti) a giocarsi la prima finale Slam delle rispettive carriere (a partire dalle 22 italiane di venerdì), nella metà inferiore invece (al termine della prima semi) il nostro Matteo Berrettini affronterà per la prima volta Rafael Nadal, tre volte campione su questi campi (2010, 2013 e 2017).
MISSIONE IMPOSSIBILE? – La sfida che si prospetta davanti a Berrettini è tra le più ardue che il tennis moderno possa offrire: affrontare Nadal nelle fasi finali di un Major. Il maiorchino ha un bilancio impressionante nelle semifinali Slam (26-6) e inoltre non ha sofferto particolarmente nel corso del torneo, cedendo un solo set contro Cilic e beneficiando anche del walkover di Thanasi Kokkinakis al secondo turno. Matteo invece ha dovuto affrontare partite ben più dispendiose, soprattutto sotto il profilo mentale, ultima ma non ultima la battaglia in cinque set contro Gael Monfils. Il primo obiettivo per poter sperare di essere competitivi contro Nadal è ovviamente smaltire le scorie di quel match così impegnativo. I quasi due giorni di riposi dovrebbero però essere sufficienti per permettere a Matteo di scendere in campo nelle migliori condizioni possibili.
LA SINDROME DI NADAL – L’altro elemento veramente fondamentale per potersela almeno giocare alla pari è ovviamente la tenuta mentale. Matteo ha infatti le armi tennistiche per dare fastidio a chiunque sul circuito (lo ha ammesso lo stesso Nadal), ma deve avere la freddezza e la continuità per sfruttarle al meglio per due, tre e forse anche quattro ore. Non mancano motivi per ben sperare anche sotto questo aspetto. Berrettini ha sì dimostrato, in più di un’occasione, qualche piccola distrazione al momento di chiudere, ma ha anche dato prova di una grande capacità di resettare completamente e recuperare subito il controllo di sé e della partita. Contro Nadal ogni regalo o piccolo cedimento potrebbe essere fatale e Matteo lo sa bene.
Ci sentiamo di poter escludere anche il rischio di un “blocco” da sindrome di Stendhal (o di Nadal?) simile a quello capitato negli ottavi di finale di Wimbledon contro Federer. Proprio quell’incontro è stato fondamentale per Berrettini per capire come approcciare sfide di questo livello, contro avversari blasonati e sui campi più importanti del mondo. Insomma, il pronostico è decisamente sfavorevole, ma Matteo ha tante carte da potersi giocare e, chissà, le sue settimane da sogno potrebbero non essere finite.
CEROTTI E FANTASMI – Altrettanto interessante si preannuncia l’altra semifinale, quella tra Dimitrov e Medvedev. I due vengono da percorsi molto diversi, nel torneo e nella stagione. Il russo viene da un’estate estremamente positiva, durante la quale ha vinto il suo primo Masters 1000, a Cincinnati, facendo registrare un incredibile bilancio di 19 vittorie e sole due sconfitte (entrambe in finale, con Kyrgios a Washington e con Nadal a Montreal). Questi risultati gli hanno permesso di arrampicarsi fino alla quinta posizione del ranking e di guadagnarsi con largo anticipo l’aritmetica qualificazione alle ATP Finals, la prima per lui.
Le fatiche di questo ultimo mese però hanno lasciato dei segni sul corpo di Medvedev. Lo si è visto in quasi tutti gli incontri giocati qui a New York, dai crampi contro Hugo Dellien al quasi ritiro contro Stan Wawrinka. “Ho vinto cinque partite, ma, ad essere onesti, avrei dovuto perderne quattro“, ha detto lo stesso russo a Eurosport. “Non mi piace dirlo, ma al secondo turno avevo i crampi e pensavo di non riuscire a vincere. Anche il terzo turno è stato difficile da affrontare e Feliciano Lopez ha giocato il miglior tennis che gli abbia mai visto giocare. Con Wawrinka ho giocato l’intero match con un dolore al quadricipite, ma alla fine sono comunque riuscito a vincere. Sono senza parole e sono solo felice di essere in semifinale“.
Contro un Medvedev così incerottato, salgono le possibilità di vittoria per Dimitrov, che nella Grande Mela sta vivendo una piccola rinascita. Il bulgaro aveva già dato qua e là segnali di ripresa, ma troppo flebili perché potessero lasciar presupporre un risultato del genere. Per lui si tratta di un’ottima occasione per scrollarsi di dosso un po’ di fantasmi. In una sfida “allo specchio”, è riuscito a superare il più pressante, quello di Roger Federer con la cui ombra (o luce, che dir si voglia) ha dovuto faticosamente convivere per buona parte della sua carriera. Ora all’orizzonte si profila, per la terza volta da quando è professionista, la possibilità di giocare una finale Slam. Nelle due precedenti occasioni, Dimitrov aveva giocato due signore partite (la semifinale degli Australian Open 2017 resta tutt’ora la sua miglior performance a parere di chi scrive), ma l’esito, sia a Wimbledon contro Djokovic che in Australia con Nadal, è stato lo stesso: molte chance sprecate e un’amara sconfitta.
Per Dimitrov questa partita è l’ennesima occasione, forse la migliore, di dimostrare qualcosa, lui che tante volte ha già deluso le aspettative di appassionati, addetti ai lavori e probabilmente anche di se stesso. Se la giocherà con il suo solito bagaglio di bel tennis e con una seconda di servizio che sta funzionando a meraviglia, anche nei momenti di maggiore pressione (59% di punti vinti con questo colpo).