Serena Williams
Ormai la statistica è nota a tutti gli appassionati: dopo la maternità, da quando è tornata a giocare (marzo 2018), Serena Williams non ha ancora vinto un torneo. Ma per lei il dato che brucia di più riguarda gli Slam: quattro finali raggiunte e quattro sconfitte subite, con un bilancio di otto set persi e nessuno vinto. Anche gli US Open 2019 sembrano proseguire nello stesso solco tracciato di recente: Serena raggiunge la finale ma al dunque, a un passo dal record di 24 Slam di Margaret Smith Court, inciampa e cade.
Eppure rispetto alla finale persa a Wimbledon contro Simona Halep a mio avviso ci sono state differenze; novità che meritano di essere sottolineate. Mi rendo conto che è un aspetto non quantificabile, ma penso che nella qualità di gioco Williams abbia mostrato sensibili progressi sin da Toronto. La vittoria contro Osaka in Canada era arrivata dopo una ottima partita, con evidenti miglioramenti fisici sotto forma di una superiore copertura del campo e di una rapidità negli spostamenti che erano mancati nei tornei precedenti.
Nei match dello Slam si è avuta la conferma del nuovo livello che Serena era in grado di offrire con regolarità. 6-1, 6-1 a Sharapova all’esordio, un set perso contro McNally, ma poi vittorie senza seri problemi contro Muchova, Martic, Wang e Svitolina. Avere lasciato appena un game alla testa di serie numero 18 Wang (6-1, 6-0) e quattro game alla numero 5 Svitolina (6-3, 6-1) confortava sulla sua condizione. E così è stata considerata favorita alla vigilia della finale contro Andreescu.
Va detto però che la Andreescu di oggi rappresentava, secondo me, un ostacolo di livello superiore rispetto a tutte le avversarie affrontate fino a quel momento, Svitolina inclusa. Elina infatti era scesa in campo dando l’impressione di credere solo fino a un certo punto alla vittoria. E senza convinzione profonda non era realmente possibile mettere in difficoltà una avversaria come Williams, in crescendo sul piano fisico e mentale.
Per questo dopo la quarta finale Slam persa la domanda che un po’ tutti si sono fatti è questa: quanto la sconfitta è dipesa da una giornata-no di Williams e quanto invece dai meriti di Andreescu? È difficilissimo dirimere con certezza gli elementi in gioco e arrivare a una risposto convincente. Ma ci provo.
Per quanto mi riguarda penso che la finale sia stata una partita che ha attraversato diverse fasi. Nel primo set credo siano stati più determinanti i meriti di Andreescu. Dopo tre finali disputate (e perse) anche a causa di avvii di match incerti e titubanti, questa volta Serena mi è sembrata affrontare la situazione con piglio diverso: tonica, decisa, con la cattiveria dei tempi d’oro. Per esempio: alla prima palla corta giocata da Andreescu, Williams non si è fatta problemi nello scegliere la soluzione più aggressiva possibile (e, a scanso di equivoci, perfettamente lecita): ha mirato al corpo dell’avversaria concludendo il punto con un corpo a corpo vincente.
Il problema però è che di fronte a sé Serena ha trovato una Andreescu ispiratissima, che le ha proposto un livello di gioco mai affrontato prima nella stagione sul cemento. Di questo sono convinto: un conto era la Svitolina della semifinale, che si accontentava di stare nel palleggio con una palla mediamente profonda e centrale, un altro la Andreescu che giocava con un anticipo impressionante e che di fronte alla palla pesante di Serena riusciva comunque ad attuare cambi di geometrie (da diagonali a lungolinea) quasi impossibili per la maggior parte delle altre giocatrici.
Grazie a queste doti di Bianca, Williams si è trovata sotto 3-5 nel primo set. La mia sensazione è che da quel momento nella mente di Serena siano riaffiorati i fantasmi, che rimandavano alle cattive finali precedenti. E allora si è avviata la spirale negativa, che si è tradotta nel nuovo break subito: il set point deciso da un doppio fallo è stato il segno dei problemi che cominciavano a ripresentarsi.
Eppure, malgrado quel nono game mal giocato, Williams ha concluso il primo set con un saldo vincenti/errori non forzati di +2 (16/14). E per gli standard molto severi dei valutatori degli US Open questo è un dato molto positivo. In compenso Andreescu aveva concluso il set con un eccezionale +6 (12/6), a dimostrazione di un avvio di partita quasi perfetto.
La crisi di Serena iniziata alla fine del primo set ha poi determinato la fase nerissima del secondo set, sino all’1-5, in cui davvero della qualità mostrata nei turni precedenti non c’era più traccia. Se ci si riferisce solo a quel periodo, credo si possa concordare con l’affermazione di Williams in conferenza stampa, quando ha detto: “Mi piace molto Bianca, penso che sia grande, ma questo è stato il peggior match che ho disputato in tutto il torneo”.
Sul 6-3, 5-1 per Andreescu, la finale ha vissuto una terza fase, in cui si sono rovesciate le dinamiche psicologiche e mentali attraversate fino a quel momento. Forse Bianca ha avuto la colpa di abbandonare per un istante la presa sul match. Chissà se per braccino o per troppa sicurezza, ha lasciato da parte la durezza con cui aveva condotto il match fino ad allora e ha perso un quindici a seguito di uno scambio giocato di fioretto.
Ha infatti scelto una combinazione palla corta+lob, che ha sollecitato l’orgoglio della campionessa ferita. Serena ha vinto quel quindici sulla continuazione dello scambio dopo il recupero difensivo, e questo ha fatto ribollire lo stadio. Il pubblico si è scatenato ed è entrato da protagonista nell’andamento del match. In più, perso per perso, Williams ha cominciato a giocare a mente e braccio libero, risalendo la corrente sino al 5 pari.
Ma a quel punto Andreescu ha dimostrato di essere in un momento di grande forza mentale: nella quarta fase ha saputo chiudere il confronto a suo favore grazie ai due game vinti consecutivamente, che hanno determinato il 7-5 del secondo set.
Il 6-3 7-5 definitivo è stato quindi il risultato di fasi diverse. A mio avviso nelle tre conclusive l’aspetto mentale è stato determinante, ma nella prima, sino al 5-3 primo set per Bianca, penso siano stati fondamentali gli aspetti più strettamente tecnici.
Se così fosse, per Serena potrebbe essere allo stesso tempo una cattiva e una buona notizia. Da una parte significa che finalmente le era riuscito un avvio di finale di livello superiore, all’altezza delle sue reali possibilità. Dall’altra significa però che nel circuito è arrivata una giocatrice che, se saprà mantenere il livello di tennis di New York, potrebbe darle altri dispiaceri in futuro.
a pagina 3: Bianca Andreescu