Le semifinaliste: Elina Svitolina
Da quando occupa posizioni di prestigio del ranking WTA, per diversi anni Svitolina ha dovuto subire la critica di essere una tennista di vertice con un grosso limite: l‘incapacità di essere protagonista negli Slam. I quarti di finale (raggiunti in Francia e in Australia) sembravano un confine per lei invalicabile, e spesso nei Major andava incontro a profonde delusioni. Non si contavano le volte in cui negli Slam, bloccata dalla tensione e dalla responsabilità, aveva perso contro avversarie che normalmente avrebbe regolato senza problemi.
Nel corso della sua carriera, però, Elina ha dimostrato di essere un esempio di applicazione e caparbietà: senza mai darsi per vinta, ha costantemente provato a superare i limiti che molti consideravano per lei definitivi. Per quanto riguarda il rendimento nei tornei più importanti, un primo progresso significativo l’aveva compiuto lo scorso anno quando aveva vinto il Masters 2018 di Singapore. Un torneo ben più importante rispetto ai Premier 5, il livello massimo che sino a quel momento era riuscita ad aggiudicarsi.
Nel 2019 un passo avanti negli Slam, con la semifinale raggiunta a Wimbledon, a cui ha fatto seguito nel giro di poche settimane la replica dello stesso traguardo anche agli US Open. E se a Londra va riconosciuto che le cose le erano girate per il verso giusto (l’infortunio occorso a Gasparyan quando Elina era sotto di un set, la partita nei quarti contro Muchova reduce da una maratona senza giorno di riposo), a New York tutto è stato più lineare e senza particolari fortune.
Anzi: difficile trovare un cammino più complesso del suo. Come testa di serie numero 5, avrebbe dovuto cominciare ad affrontare avversarie di una certo livello dal terzo turno in poi; invece, dopo aver superato all’esordio la giovane wild card Osuigwe, già al secondo ha trovato una cliente difficile come Venus Williams (battuta 6-4, 6-4). E siccome nella sua parte di tabellone le teste di serie sono quasi tutte andate avanti, da lì in poi non è stato per nulla semplice.
Prima il derby ucraino contro la numero 32 Yastremska, regolata lasciandole appena due game (6-2, 6-0). Poi la finalista del 2017 e numero 10 Madison Keys, che l’aveva battuta due volte su tre nei precedenti confronti diretti. Ma di nuovo Svitolina ha avuto la meglio in due set (7-5, 6-4) in un match in cui non solo non ha mai perso il servizio, ma addirittura non ha concesso palle break.
Poi nei quarti il successo contro la numero 16 Johanna Konta (6-4, 6-4), che aveva sconfitto la terza testa di serie Pliskova. A conti fatti Elina è approdata in semifinale con un percorso netto: dieci set vinti e nessuno perso.
I confronti degli US Open hanno avuto un chiaro leitmotiv: le sue avversarie erano tutte molto più attaccanti di lei; dunque per vincere i match Svitolina ha puntato soprattutto sull’allungamento dello scambio, in modo che le avversarie prima o poi sbagliassero. La forza difensiva di Elina ha così determinato le statistiche fra vincenti ed errori non forzati.
Le giocatrici battute hanno tutte chiuso con valori negativi: -18 Venus (29/47), -30 Yastremska (6/36), -8 Keys (32/40), -11 Konta (24/35). Questi invece i saldi di Svitolina: contro Venus -8 (14/22), contro Yastremska -6 (7/13), contro Keys -3 (10/13), contro Konta +3 (16/13). A conti fatti Elina ha chiuso con un saldo positivo un solo match, ma è comunque bastato per vincere senza grandi affanni i primi cinque turni dello Slam.
Questa tattica di rimessa poteva, sulla carta, anche risultare efficace contro Serena, che però si è dimostrata di un livello ben diverso, come testimonia il punteggio (6-3, 6-1). La Williams più giovane ha chiuso con un ottimo +14 (34/20), a cui Elina non ha saputo rispondere, visto che ha totalizzato un altro saldo negativo: -6 (11/17).
Sia chiaro: considerando le caratteristiche fisico-tecniche delle due contendenti non si poteva pretendere che l’andamento del match fosse sostanzialmente diverso, ma resta il fatto che Svitolina, a mio avviso, è stata troppo passiva, accontentandosi di tenere la palla in gioco profonda e centrale, senza provare ad aprire gli angoli durante lo scambio. Naturalmente allargando e variando le geometrie si rende di fatto il campo più grande e difficile da coprire per chi sta in difesa; ma questo è anche il miglior modo di provare a mettere in difficoltà l’attuale Serena, che ha nella mobilità il suo tallone di Achille. Se invece Williams ha la possibilità di colpire da ferma è ben difficile che possa perdere i match.
A questi aspetti tattici ne aggiungerei uno più sfuggente, ma che è andato nella stessa direzione: il cosiddetto linguaggio del corpo. Apparso dimesso, quasi rassegnato già dopo i primissimi game. Come se Elina fosse scesa in campo con poca convinzione e sostanzialmente convinta che la partita non potesse avere esito diverso. In fondo è una caratteristica di molte giocatrici della stessa generazione (sopra i 25 anni), che si sono formate nel periodo della Williams dominante; così dominante da determinare un imprinting sulle avversarie che a volte ha fatto vincere a Serena le partite quasi prima di scendere in campo. Un aspetto che forse manca alle più giovani (come Osaka o Andreescu) che contro Serena possono vincere o perdere, ma dopo aver provato a dare comunque il massimo possibile, e con meno timore reverenziale.
La semifinale deludente non può però cancellare tutto quanto fatto di buono in precedenza del torneo. Anzi, considerando la mentalità di Svitolina sono sicuro che ci ragionerà sopra e proverà a migliorarsi nel futuro. Perché questo è il suo modo di intendere il tennis e la sua prima, vera grande forza. Ricordo infine che, Serena a parte, tutte le altre Top 10 hanno fatto peggio di Svitolina, venendo eliminate entro i primi quattro match del torneo.
a pagina 3: Osaka e Barty