1- il solo top 30 arrivato alle semifinali dei due tornei asiatici in programma la scorsa settimana nel circuito maschile, gli ATP 250 di Chengdu (alla quarta edizione) e di Zhuhai (quest’anno all’esordio nel circuito maggiore). Erano le prime tappe della stagione asiatica che occupa una ventina di giorni del calendario tennistico maschile, il cui culmine è rappresentato dal Masters 1000 di Shanghai in partenza la prossima domenica: nonostante i vari sforzi, anche economici – entrambi i tornei cinesi superavano il milione di dollari nel montepremi, davvero tanto per due ATP 250- l’impressione ricevuta dall’inizio della parte orientale della stagione è che ci sia ancora molto da fare. Tanti ottimi giocatori hanno deciso di iniziare subito in campo la trasferta cinese, dando ai tabelloni un importante campo di partecipazione per tornei di questa categoria: erano presenti due top 10 come Tsitsipas e Bautista Agut, tre top 20 come Monfils, Coric e Insner e sei top 30 (Paire, Dimitrov, Lajovic, Fritz, Pouille e Kyrgios), senza contare il ritorno in campo in singolare di un pluri campione Slam e ex numero 1 come Murray. Questo periodo della stagione continua però a non sembrare il migliore per promuovere il tennis in Oriente: tra fine settembre e inizio ottobre i migliori arrivano o stanchi dopo nove mesi di circuito o in fase di carico di preparazione per l’ultimo rush finale rappresentato dalle ATP Finals e dalla lotta per accedervi. Non sembra essere un caso: di tutti i tennisti elencati, il solo Bautista Agut è arrivato quantomeno alle semifinali e gli altri sette posti sono stati occupati da outsider.
2- i tornei, successivi alla vittoria del torneo di Shenzhen a inizio gennaio, nei quali Aryna Sabalenka nel 2019 aveva vinto tre partite. La bielorussa nata nel maggio 1998, a febbraio conquistava il suo attuale best career ranking, 9 WTA, grazie a uno sprint iniziato a metà agosto dell’anno scorso: da Cincinnati, dove raggiungeva le semifinali, in nove tornei giocati vinceva ventotto partite che le consentivano, grazie anche a sei vittorie contro top 10, di vincere i primi titoli della carriera, il Premier di New Haven e il Premier 5 di Wuhan. La vittoria del titolo a Shenzhen nella prima settimana della stagione in corso sembrava solo la naturale prosecuzione del 2018: Aryna balzava in quattro mesi dalla top 40 alla top ten. Invece Sabalenka, che durante l’anno per un breve periodo si è anche allontanata dal coach Tursunov, ha vissuto nel 2019 mesi di assestamento, facendo male negli Slam (il miglior risultato è stato un misero terzo turno a Melbourne) e raggiungendo come buoni piazzamenti solo la semi all’International di Strasburgo e la finale al Premier di San Josè. Tornata la scorsa settimana a Wuhan a difendere il titolo e i relativi 900 punti che, qualora persi quasi integralmente, l’avrebbero fatta uscire dalla top 20, ha ritrovato ottime sensazioni e ha vinto il torneo, lasciando per strada due soli set e tornando a vincere contro le prime dieci, dopo cinque sconfitte rimediate in altrettante partite in cui le aveva affrontate nel 2019. Nell’ordine, Sabalenka ha sconfitto Sasnovich (6-1 6-2), Collins (6-1 6-0), Bertens (6-1 7-6), Rybakina (6-3 1-6 6-1), Barty (7-5 6-4, prima vittoria contro una numero 1 WTA) e in finale ha avuto al meglio su Riske (6-3 3-6 6-1).
9- i tennisti della “Next Gen” attualmente presenti nella top 100 del ranking ATP: Tsitsipas, Auger-Auliassime, De Minaur, Shapovalov, Tiafoe, Ruud, Kecmanovic, Humbert e Ymer. Un dato sostanzialmente in linea con quello delle due precedenti edizioni delle ATP Next Gen Finals di Milano, quando erano dieci gli under 21 a essere tra i primi 100 al mondo: l’unica vera differenza, tra l’altro in positivo, è col 2017. Due anni fa, infatti, tra i primi 30 c’era solo uno Zverev gia top 10 e figuravano appena altri tre “giovani” nella top 50: invece, sia l’anno scorso che quest’anno troviamo un Next Gen nella top 10, un’altro nella top 20 e una ulteriore presenza nella top 30, alla quale si aggiungono poi anche altri due top 50. Questa settimana tra i primi cento tennisti al mondo, grazie alla vittoria di Mikael Ymer del ricco challenger di Orleans, sono rimasti in nove i Next Gen (lo svedese è subentrato a Moutet, intanto sceso al 101°ATP). Ymer nel circuito maggiore ha sinora vinto appena cinque partite (tra cui il primo turno al Roland Garros di quest’anno, contro Rola) e prima del torneo francese aveva sconfitto solo otto tennisti nella top 100. La settimana scorsa, invece, ne ha battuti ben tre di fila per arrivare a conquistare il terzo titolo Challenger del 2019 (e della carriera): dai quarti in poi ha sconfitto i due finalisti della precedente settimana all’ATP 250 di Metz, Bedene e Tsonga (avversario con la migliore classfica sinora mai sconfitto) e, in finale, ha avuto la meglio su Barrere.
16- le tenniste statunitensi nell’ultima top 100 del ranking WTA: un imponente numero, aumentato a inizio dello scorso mese, grazie agli ingressi in tale fascia di classifica di Taylor Townsend e Kristie Ahn, entrambe reduci dagli ottavi di finale agli US Open. Questa settimana poi è arrivata la sedicesima rappresentante del tennis a stelle e strisce tra le prime cento del mondo, Cristina McHale, entrata, grazie al secondo turno (dopo aver super superato le quali) al Premier 5 di Wuhan, che ha permesso alla tennista nata in New Jersey di tornare dopo oltre un anno in tale fascia del ranking WTA. In una relativa speciale classifica di quantità di presenze di giocatrici per nazione, troviamo al secondo posto la Russia, che dallo scorso lunedì, con l’ingresso per la prima volta in carriera della ventenne Kalinskaya nella top 100, porta a dieci le sue giocatrici: se però le statunitensi possono vantare una top 10 e altre tre top 20, la federazione russa ha la sua prima tennista, Pavlyuchenkova, solo al quarantesimo posto del ranking WTA. Davvero ragguardevole anche la qualità e quantità del movimento tennistico della Repubblica Ceca: una nazione di circa dieci milioni di abitanti riesce infatti a posizionare tra le prime cento ben otto tenniste (tra cui due top ten e ben altre quattro top 50). Quel che soprattutto impressiona è come quest’ultima nazione, assieme a Stati Uniti e Russia sommi trentaquattro giocatrici tra le prime cento: più di un terzo del totale delle giocatrici nella top 100.
31- la classifica di Alex De Minaur quando è arrivato la scorsa settimana a giocare la prima edizione dell’ATP 250 di Zhuhai. Curiosamente era la stessa posizione nel ranking che il 20enne australiano occupava a inizio stagione, nonostante in questo 2019 fossero giunti per lui i primi due titoli della carriera. Il primo era arrivato nel torneo di casa di Sydney -di padre uruguaiano e mamma spagnola, Alex è nato nella metropoli australiana, crescendo poi tennisticamente tra Spagna e Australia- dove si era imposto in finale sul nostro Seppi, vincendo a vent’anni non ancora compiuti il primo torneo della carriera a livello ATP. Un successo poi bissato con maggiore autorità ad Atlanta, dove nelle tre partite e mezzo (uno dei suoi avversari in Georgia, Tomic, si è ritirato poco dopo aver perso il primo set) necessarie per vincere il BB&T Atlanta Open, non ha mai ceduto il servizio. Tuttavia, il Next Gen australiano -l’anno scorso a Milano perse in finale da Tsitsipas, attualmente è il terzo nella classifica Race to Milan, dietro al greco e a Auger-Auliassime- nel 2019 aveva vinto tre partite nello stesso torneo, oltre ovviamente che a Sydney e Atlanta, solo a New York. Agli Us Open contro Nishikori aveva anche trovato la prima vittoria della carriera su un tennista tra i primi 10 del mondo, ma i suoi risultati complessivi nei primi nove mesi del 2019 fanno capire perchè, nonostante la vittoria dei primi due titoli in carriera, non avesse migliorato la sua classifica. A Zhuhai il terzo trofeo della carriera è arrivato superando un tabellone per nulla semplice: Alex ha archiviato il successo grazie alle vittorie su un ex numero 1 del mondo come Murray (4-6 6-2 6-4), un top ten come Bautista Agut in semi (duplice 6-2) e un top 20 (Coric, superato nei quarti 6-2 2-6 6-4), oltre che superando il connazionale Millman (6-1 6-3 al primo turno) e, in finale, Mannarino, tennista la scorsa settimana fuori dalla top 60 (7-6 6-4).
69- la posizione in classifica occupata da Carreno Busta un mese fa, la più bassa da novembre 2015 per il 28enne spagnolo. Colpa innanzitutto dei due mesi e mezzo saltati tra i tornei di Cordoba e di Estoril, a causa di un infortunio alla spalla destra patito nel torneo argentino. Tuttavia, anche quando era riuscito a disimpegnarsi nel circuito, quest’anno i risultati erano stati per lui poco confortanti (due sole semifinali, ad Amburgo sulla terra rossa e ad Antalya, primo piazzamento di rilievo sull’erba della carriera, dove non aveva mai raggiunto nemmeno i quarti). Sembravano testimoniare una crisi nera per un atleta che chiudeva il 2017 tra i primi 10 e capace di terminare un’altra stagione in top 20 e altre tre in top 50. Carreno, bravo nel 2013 a essere votato il Most improved player of ATP grazie a una scalata in classifica di oltre 600 posizioni (aveva trascorso gran parte del 2012 in infermeria per curarsi un’ernia al disco) era arrivato a giocare per la seconda volta in carriera a Chengdu avendo vinto nel 2019 solo diciannove partite, lui che da tre anni chiudeva le stagioni con almeno trenta successi a livello ATP. Nel torneo cinese nato nel 2016 ha dato una decisa sterzata a un’annata sinora deludente andando a vincere il quarto titolo nel circuito maggiore (secondo sul cemento all’aperto dopo quello conquistato a Winston Salem, a cui vanno aggiunti il titolo a Mosca sul duro indoor e il successo a Rio sulla terra, la superficie che continua a ritenere la sua preferita). Per riuscirci Carreno ha superato un top 30 (Paire al secondo turno, per 6-3 3-6 6-3) due top 40 (Garin e Shapovalov, sempre in due set, rispettivamente in quarti e semi) e un top 50 (Albot, al primo turno, col punteggio di 6-3 6-4). In finale ha incontrato le maggiori difficoltà per portare a casa il titolo: dopo non aver convertito due set point nel primo parziale, è dovuto ricorrere al tie- break del terzo per avere la meglio su Bublik, archiviando la vittoria col punetggio di 6-7 6-4 7-6. Lo spagnolo torna nella top 40, dalla quale mancava da fine aprile.
271- le settimane di Novak Djokovic al numero 1 del ranking ATP. Dallo scorso lunedì il serbo ha così staccato Lendl, ponendosi in solitaria sul terzo gradino del podio di tale classifica, che vede primo con 310 settimane da miglior tennista al mondo per il computer, Federer, seguito da Sampras, secondo con 280. Nole sinora è stato in cima alla classifica maschile in quattro fasi della carriera: la prima, durata cinquantatre settimane, era iniziata il 4 luglio 2011, subito dopo aver vinto il suo terzo Major a Wimbledon (era per lui il primo titolo londinese, conquistato in finale su Nadal, che faceva seguito ai due Australian Open già vinti). Il serbo, che aveva perso il comando della classifica nel luglio dell’anno successivo, riprendeva la corona da Federer già a novembre 2012, legittimando il suo ritorno al numero 1 con la vittoria in finale al Masters di Londra, proprio contro lo svizzero: la conserverà sino a ottobre 2013. Sei anni fa fu Nadal a spodestarlo, grazie a una stagione in cui fu vincitore di due Slam (Roland Garros e Us Open) e ben cinque Masters 1000 (di cui tre sul cemento all’aperto). Il terzo interregno del serbo, sinora il più lungo per lui, è durato invece 122 settimane, precisamente quelle che separano il 7 luglio 2014 – quando vinse il suo secondo Wimbledon (e settimo Major complessivo) battendo Federer in una lunga finale durata cinque set- e il 6 novembre 2016, l’indomani della sconfitta nell’atto conclusivo delle ATP Finals contro Murray, a cui cedette il comando della classifica. Infine, l’attuale vetta del ranking ATP è stata conquistata lo scorso novembre, risalendo in pochissimi mesi dal 21°posto del ranking cui era scivolato nel giugno del 2018: ci riuscì grazie a una incredibile striscia di 35 vittorie e 3 sconfitte che gli fruttarono Wimbledon, US Open e due Masters 1000 (Cincinnati e Shanghai). Se conservasse il numero 1 sino al luglio prossimo supererebbe anche Federer nel numero complessivo di settimane da numero 1 del mondo, ma deve intanto difendersi dalla più che concreta possibilità di sorpasso da parte di Nadal, lontano appena 660 punti (con il serbo che deve difenderne da qui a fine anno la bellezza di 2600, mentre il maiorchino, invece, non ha punti in scadenza sino a gennaio). In ogni caso il serbo, più giovane rispetto ai suoi storici competitors (è nato nel 1987, il maiorchino nel 1986, Federer nel 1981) sembra avere buone chances di trascorrere ancora una buona manciata di settimane al numero 1 nelle prossime stagioni e soprattutto di incrementare una fantastica bacheca contenente ad oggi settantaquattro titoli, tra cui 16 Slam (e nove finali), 33 Masters 1000 (e sedici finali). Una carriera che sin qui gli ha regalato la soddisfazione di avere gli head to head favorevoli sia con Nadal (28-26) che con Federer (26-22) e, soprattutto, di essere l’unico negli ultimi quarant’anni ad essere stato contemporaneamente detentore dei quattro Major (accadde dopo la vittoria del Roland Garros ne 2016).