2- i giocatori entrati questa settimana nella top ten della Race to London: Zverev e Goffin (subentrati a Nishikori e Monfils). Il tedesco vi era uscito appena sette giorni prima, simboleggiando l’involuzione – paradossale per un ventiduenne – subita in questo 2019: basti pensare che nei due anni precedenti il classe ’97 a inizio ottobre era saldamente tra i primi cinque nella Race. Il belga ha invece coronato una grande rimonta iniziata a metà giugno, quando si era già superato il giro di boa della stagione tennistica. Prima della finale raggiunta ad Halle, Goffin era infatti fuori dalla top 40 della Race: dopo il grande torneo vissuto sull’erba tedesca, i successivi quarti a Wimbledon e la finale a Cincinnati hanno consentito al belga nato nel dicembre del 1990 di avere concrete chance di partecipare per la seconda volta alle ATP Finals, dove appena due anni fa giunse in finale sorprendendo in semifinale Federer.
Goffin – che nel primo turno di Tokyo ha annullato tre match point a Carreno Busta, prima di sconfiggere con un duplice tie-break Shapovalov e con un doppio 6-2 Chung- e Zverev – che non vince quattro partite di fila dal Roland Garros, ma che a Pechino è parso in ripresa non perdendo nemmeno un set contro avversari insidiosi come Tiafoe, Querrey e Auger Auliassime – hanno raggiunto entrambi la semifinale la scorsa settimana, prima di essere fermati in due set, rispettivamente da Djokovic e Tsitispas. Con i 180 punti garantiti da tali piazzamenti, purtroppo per le speranze dei due tennisti italiani impegnati nella stessa corsa,Berrettini e Fognini, hanno reso autorevole la candidatura per Londra per gli ultimi due posti ancora effettivamente vacanti (il sesto attuale nella Race, Tsitsipas, ha un vantaggio di circa 100 punti sul settimo, Bautista Agut).
10 – la serie aperta di partite vinte da Naomi Osaka. La quasi 22enne giapponese (compie gli anni il prossimo 16 ottobre) ha conquistato gli ultimi due tornei ai quali ha partecipato: il Premier di Osaka e il Mandatory di Pechino. Nella sua ancora giovanissima carriera solo l’anno scorso, in occasione della vittoria degli US Open e della successiva finale raggiunta a Tokyo, Naomi aveva trovato la continuità per inanellare un’uguale striscia di partite vinte, che si interruppe con la sconfitta subita contro Karolina Pliskova nell’atto conclusivo del torneo di casa. Sebbene i due titoli messi in bacheca questo mese non siano paragonabili al valore del primo Major conquistato da Osaka, i responsi ricevuti dalla scorsa settimana vogliono dire molto per una tennista che sembrava in una fase piuttosto delicata della sua giovane carriera. L’anno scorso, nell’arco di quelle dieci partite, furono da lei sconfitte due sole top 20 e una campionessa eccelsa – ma pur sempre 37enne e incapace di vincere un torneo dal momento del suo rientro nel circuito – come Serena Williams.
Se due settimane fa in Giappone per aggiudicarsi il Premier giapponese era stato necessario sconfiggere una sola top 30 (Mertens), è in Cina che Osaka ha dimostrato di essere sulla strada per poter tornare a competere per quel numero 1 del mondo detenuto sino agli ultimi US Open. Per vincere il Mandatory di Pechino, Naomi non solo ha avuto la meglio su due top 100 come Pegula (6-3 7-6) e Petkovic (6-2 6-0) e su una top 30 in gran forma come Riske (6-4 6-0), reduce dalla finale del Premier 5 di Wuhan. Dai quarti in poi Osaka ha superato (5-7 6-3 6-4) la vincitrice degli ultimi US Open, Andreescu, al suo primo torneo post New York; in semi la detentrice del titolo (e top 20) Wozniacki (6-2 6-4) e in finale, la numero 1 al mondo Barty, rimontandole un set di svantaggio, come accaduto con la canadese (3-6 6-2 6-2).
65 – la percentuale di partite vinte giocate non sulla terra rossa da Dominic Thiem nel 2019. Un incremento molto netto per un campione riuscito negli anni scorsi a salire sino al quarto posto del ranking ATP – la prima volta accadde nel novembre 2017 – sfruttando la sua grande abilità sul rosso, ma che aveva denotato sino a circa un anno fa palesi limiti sulle altre superfici. Sino a fine 2018, il finalista degli ultimi due Roland Garros aveva vinto solo il 53% dei match non giocati sul rosso: basti pensare che prima del suo successo all’ATP 250 di San Pietroburgo di un anno fa, l’austriaco classe ’93, dopo la finale persa a Metz nel 2016 aveva dovuto giocare 34 tornei su superfici diverse dalla terra per tornare nuovamente a giocare una finale.
I miglioramenti sul duro palesati nell’ultima parte della scorsa stagione (oltre al titolo in Russia, molti ricorderanno la splendida partita persa di un soffio contro Nadal nei quarti agli US Open e la semifinale raggiunta al Masters 1000 di Parigi- Bercy) non potevano tuttavia far pensare che Thiem fosse quest’anno capace di raggiungere i picchi raggiunti sul cemento all’aperto: il titolo di Indian Wells, vinto con una bellissima cavalcata ai danni di Simon e di due top 20 come Raonic e Monfils, era stato suggellato dalla bellissima finale vinta contro Federer. Se qualcuno poteva però pensare si fosse trattato di un episodio sporadico, i residui dubbi sono stati spazzati via dal successo della scorsa settimana a Pechino: Dominic non ha perso nemmeno un set per eliminare avversari scomodi come Gasquet (6-4 6-1) e Murray (6-2 7-6) e ha saputo soffrire per portare a casa l’incontro rimontando un parziale di svantaggio contro due top ten come Khachanov (2-6 7-6 7-5) in semifinale e Tsitsipas in finale (3-6 6-4 6-1). Un campione sempre più completo.
131 – la classifica di Reillly Opelka cinquantadue settimane fa. Il ventiduenne statunitense sta vivendo una lenta ma continua scalata nel ranking ATP: dallo scorso lunedì è entrato per la prima volta nella top 40, grazie alla semifinale (la prima in un ATP 500) raggiunta a Tokyo, dove si è arreso a Millman (6-3 7-6) non prima di aver sconfitto senza perdere un set il connazionale e caro amico (è stato il suo testimone di nozze nel 2016) Taylor Fritz (6-3 6-4), Simon (duplice tie-break) e Uchiyama (6-3 6-3). Il 22enne del Michigan, campione di Wimbledon Juniores nel 2015 (quando fu anche finalista in doppio) si era mostrato nel circuito maggiore già tre anni fa, quando ad Atlanta raggiunse le semi sconfiggendo Anderson e Young. Sino all’anno scorso erano però rimaste appena otto in totale le vittorie nel circuito maggiore e se il 2018 è stato chiuso da 99 ATP il lungagnone del Michigan (è alto 211 cm, tre in più di Isner, che all’età attuale di Opelka non era ancora entrato nella top 100) lo deve ai risultati nel circuito Challenger, dove Reilly ha raccolto tre titoli, due finali e quattro semi.
Proprio contro Isner, l’attuale 40 ATP a inizio 2019 ha ottenuto due importanti vittorie (erano la seconda e la terza contro un top ten) che servirono da trampolino di lancio per il primo titolo conquistato lo scorso febbraio all’ATP 250 di New York. L’anno è continuato con vittorie prestigiose (Wawrinka a Wimbledon, Fognini agli US Open, Coric a Cincinnati), suggellate dalle semifinali di Atlanta e, come detto, di Tokyo la scorsa settimana. Il nuovo piazzamento nel ranking ha consentito a Opelka di divenire il numero tre di una nazione che attualmente conta nove tennisti attualmente nella top 100, di cui ben quattro under 23 (gli altri sono Tiafoe, Fritz e Paul).
1450 – i punti di vantaggio nella Race di Rafael Nadal su Novak Djokovic. Un mese fa, dopo la vittoria degli US Open da parte del maiorchino sembrava più che probabile la sua quinta chiusura da numero 1 del mondo (dopo quelle avvenute nel 2008, 2010, 2013 e 2017), anche perché circolavano voci su una possibile chiusura anticipata di stagione da parte del serbo. In poche settimane sono invece cambiate tante cose: nei giorni scorsi Djokovic ha partecipato per la prima volta in carriera all’ATP 500 di Tokyo – vinto a mani basse, senza perdere un set e impiegando sei ore e 21 minuti, durante i quali ha lasciato 29 giochi a Popyrin, Soeda, Pouille, Goffin e Millman – e Nadal ha invece annunciato il suo forfait a Shanghai. Con ogni probabilità lo spagnolo rientrerà solo per giocare il Masters 1000 di Bercy e le ATP Finals (e la finale di Coppa Davis, che però non assegna punti). Tornei che in totale ai vincitori assegnano 2500 punti, ma nei quali il campione maiorchino non ha mai brillato: a Parigi indoor ha raggiunto una sola volta la finale in sei partecipazioni, al Masters di fine anno in tredici presenze ha accumulato solo due finali.
Djokovic ha ben altro feeling con questi due grandi tornei: ha vinto a Bercy quattro volte (e fatto una finale, quella persa l’anno scorso contro Khachanov) in tredici iscrizioni al torneo e ha giocato undici volte le ATP Finals, vincendole in cinque occasioni e facendo altre due finali. La corsa del serbo al sesto anno chiuso da numero 1 al mondo (già c’è riuscito nel 2011, 2012, 2014, 2015 e 2018, solo Sampras al momento lo ha del resto fatto sei volte, chiudendo la classifica in testa dal 1993 al 1998), che gli permetterebbe in tal senso di staccare Federer (l’ultima delle cinque volte per lo svizzero è stata nel 2009) è più che aperta. Molto si capirà anche dalla misura nella quale diminuirà il suo distacco da Nadal al termine del Masters 1000 di Shanghai in corso in questi giorni.