5- i soli tennisti ad aver accumulato da fine aprile in poi più punti di Matteo Berrettini. Questa settimana il ventitreenne romano è per la prima volta numero 1 azzurro e soprattutto occupa il best career ranking di 11 ATP (ha mancato per soli 10 punti l’accesso nella top ten). Nella Race il nostro giocatore è all’ottavo posto, un piazzamento che come noto gli garantirebbe una storica partecipazione alle ATP Finals. Sarebbe un traguardo meritato per quanto fatto vedere in questi ultimi sei mesi, durante i quali, giocando bene su tutte le superfici del circuito (erba, terra rossa e cemento) Matteo ha immagazinato 2250 punti, più di quelli raccolti nello stesso lasso temporale da tennisti attualmente più in alto in classifica di lui, come Tsitsipas (2180) e Zverev (2210). Subito dopo Montecarlo, Berrettini era del resto solo 55 ATP e veniva da una prima parte di 2019 piuttosto deludente: aveva rimediato quattro eliminazioni al primo turno e la sola semifinale a Sofia e la vittoria del Challenger di Phoenix non potevano certo farlo essere soddisfatto per la propria classifica, non migliorata rispetto a quella di fine 2018. In quei mesi, ancora Matteo si considerava soprattutto un terraiolo, come ci diceva quando lo intervistammo nel corso del torneo di Dubai. I due titoli vinti a Budapest e Stoccarda, la finale raggiunta a Monaco di Baviera e la semi ad Halle gli consentivano però un grande balzo in classifica: l’ingresso nella top 20 si confermava un giusto riconoscimento del livello raggiunto dal suo tennis, certificato anche dagli ottavi conquistati a Wimbledon. Una distorsione alla caviglia destra gli ha poi impedito di giocare dopo Londra, posticipando di settimana in settimana il suo rientro, avvenuto solo a metà agosto a Cincinnati: quando è arrivato agli Us Open, su una superficie e in condizioni sulle quali in carriera non aveva mai fatto bene -in nessun torneo ATP giocato sul cemento all’aperto aveva mai raggiunto i quarti- quasi nessuno poteva immaginare l’exploit che avrebbe compiuto, issandosi sino alle semifinali dello Slam newyorkese. Un risultato non casuale, come visto la scorsa settimana a Shanghai, dove Matteo non ha perso un set per raggiungere le prime semifinali in un Masters 1000: prima eliminando due top 40 come Struff (6-2 6-1) e Garin (duplice 6-3), poi superando per la quarta volta (tutte nel 2019) un top 10, in questo caso Bautista Agut (7-6 6-4) e poi un top 5 come Thiem (7-6 6-4). La sconfitta piuttosto netta patita contro Zverev nella semifinale di Shanghai nulla toglie ai suoi enormi meriti.
6- i tornei giocati in estate da Fabio Fognini. Come noto, dopo gli ottavi raggiunti al Roland Garros il ligure era entrato nella top 10: lo scorso giugno è stato il primo italiano ad accedervi negli ultimi quaranta anni (l’ultimo era stato nel 1979 Barazzutti, secondo italiano di sempre dopo Adriano Panatta). A trentadue anni compiuti il mese precedente, Fabio è divenuto il tennista più anziano nell’era Open a entrare per la prima volta tra i primi dieci del ranking (per la precisione, meno giovani di lui a farlo per la prima volta furono il 38enne Rosewall e il 35 Laver nell’agosto 1973, quando fu inaugurata la classifica ATP). Salito sino al nono posto della classifica, l’azzurro ha però sofferto un’estate deludente, anche a causa dei problemi fisici che lo hanno accompagnato (prima un fastidio alla gamba destra a Umago, quando si è ritirato contro Travaglia e poi alla caviglia a Cincinnati, dove ha dato forfait). Fognini è riuscito così tra Wimbledon e Us Open a giocare appena sei tornei, nel corso dei quali ha vinto appena sette partite (l’unica buona performance è arrivata a Montreal, dove si è qualificato nei quarti, perdendo in tre set contro Nadal). L’estate è poi terminata per lui con l’orgoglio di scendere in campo alla Laver Cup giocata a Ginevra, ma è sembrato un amaro contentino per un finale di stagione da vivere senza grandi stimoli. Prima della trasferta asiatica le sue chances di partecipare alle ATP Finals sembravano infatti piuttosto compromesse, considerato il trend negativo degli ultimi mesi: invece, le cinque vittorie complessive tra Pechino e Shanghai e i due quarti conseguiti in questi due tornei -sconfiggendo clienti ostici come Querrey e Rublev, un campione in ripresa come Murray e un top ten come Khachanov- hanno lasciato la porta aperta a una clamorosa rimonta da parte del ligure: Zverev, settimo nella Race, è lontano 620 punti, Berrettini, ottavo, lo è 310. Iscritto a Stoccolma, Basilea (dove la settimana giocherà per la prima volta in carriera) e Bercy ha ancora 1750 potenziali punti da rincorrere per mettere la ciliegina sulla torta su una stagione comunque resa memorabile dalla conquista del titolo di Monte Carlo.
8- i top 20 battuti da Daniil Medvedev da quando lo scorso agosto ha partecipato ai Canadian Open. Arrivato a Montreal reduce dalla finale persa a Washington contro Kyrgios, da quel punto in poi ha inanellato 25 vittorie nelle successive 27 partite giocate: successi che hanno permesso al russo la vittoria di due Masters 1000 (Cincinnati e Shanghai) e di un ATP 250 (San Pietroburgo), oltre che il raggiungimento di due finali (US Open e Montreal). Questi piazzamenti hanno garantito al russo un assegno complessivo di 5.123.640 dollari di soli montepremi (corrispondenti al 53% di quanto incassato sinora in tutta la sua giovane carriera) e la conquista del relativo bottino di 4050 punti che gli ha permesso di salire dal nono al quarto posto del ranking, con ottime prospettive di occupare anche la terza posizione, già detenuta da questa settimana nella Race, dove ha scalzato Federer. Alzando sempre più il livello del suo tennis e contestualmente la fiducia nei suoi mezzi, il russo classe ’96 da Montreal in poi ha perso solo da Nadal: nettamente nella finale dei Canadian Open, di un soffio in quella (splendida) di New York. Eccezion fatta per colui che dal 4 novembre tornerà al numero 1 del mondo, Medevedev ha avuto un rendimento così elevato da sconfiggere in questi tre mesi Zverev, Tsitsipas, Fognini, Coric, Goffin, Djokovic, Khachanov e Thiem e di farlo in maniera anche netta: ad eccezione del serbo, non ha mai perso nemmeno un set per superarli. La sua corsa al numero 3 del mondo sembra ben avviata, considerando anche il personale stato di forma che lo vede, dopo la seminfinale agli Us Open, in serie utile da dieci partite, tutte vinte senza lasciare per strada un set (a Shanghai si sono arresi inermi Norrie, Pospisil, Fognini, Tsitsipas e Zverev). Risulta per lui ancora impossibile, per quanto concerne questo 2019, la rincorsa ai primi due posti del ranking ATP, distanti oltre tremila punti: dal 2005 la classifica del tennis maschile termina ininterrottamente con due a rotazione dei quattro Fab Four a occupare i primi due gradini del podio e bisognerà aspettare almeno un altro anno per sapere se la loro egemonia terminerà o meno.
11- i tennisti italiani tra i primi 128 giocatori al mondo. Quest’ultimo numero è molto ricorrente e importante nel tennis: corrisponde ai giocatori presenti nel main draw di uno Slam, sebbene come noto entrino per diritto di classifica solo i primi 104 al momento della chiusura delle iscrizioni. Per capire quanto sia eccellente dal punto di vista quantitativo -e qualitativamente abbiamo due tennisti tra i primi dodici, e solo la Russia fa in tal senso un pò meglio, con Khachanov e Medvedev- il momento vissuto dal nostro settore maschile, basti pensare che lo stesso numero di tennisti tra i primi 128 al mondo lo ha una scuola che negli ultimi vent’anni ha primeggiato come quella spagnola. Solo due potenze imparagonabili per bacini di utenza e tradizione tennistica come Francia e Stati Uniti fanno appena meglio di noi, con dodici rappresentanti. In questa particolare fascia di classifica considerata, dallo scorso lunedì abbiamo guadagnato un giocatore, grazie alle semifinali nel challenger francese di Yannick Sinner, il quale, da nemmeno due mesi maggiorenne, continua la sua scalata verso la top 100, nonostante un 2019 iniziato fuori dai primi 500 del mondo.Risulta sempre maggiore la differenza con l’attuale decadenza del settore femminile, nel quale, se Giorgi ha un raffreddore, nessuna tennista azzurra partecipa a un torneo importante del circuito: e con la stagione falcidiata di infortuni della maceratese, costretta a giocare solo sedici tornei nel 2019 (tra inizio febbraio e l’estate ha giocato solo a Miami) troviamo la prima tennista italiana appena al novantaduesimo posto. Impietoso, ma doveroso notare che nella classifica WTA di questa settimana ben trenta nazioni attualmente fanno meglio di noi, con almeno una propria giocatrice con una classifica migliore della Giorgi (e addirittura venti ne hanno almeno due con un ranking migliore di quello di Camila). In un circuito WTA nel quale quattro top ten e altre quattro top 20 non hanno ancora compiuto 24 anni, la nostra unica under 23 tra le prime 250 del mondo è Jasmine Paolini. Senza metterle pressioni addosso, l’unico raggio di luce tra le nostre donne arriva da Elisabetta Cocciaretto: entrata nella top 300 da qualche settimana, dopo aver iniziato il 2019 fuori dalle prime 700, la diciottenne anconetana che l’anno scorso agli Australian Open Juniores arrivava in semifinale dopo aver sconfitto Gauff al primo turno, sta facendo un gran lavoro, i cui frutti sono ancora tuttavia imprevedibili.
71- la posizione nel ranking di Cori Gauff, a 15 anni e mezzo unica tennista non maggiorenne nella top 100 WTA. Che la giocatrice nata ad Atlanta ma cresciuta tennisticamente in Florida fosse destinata a un precoce ingresso nel grande tennis era ipotizzabile vedendo quanto di brillante da lei fatto tra gli Juniores: nel 2017 ha raggiunto la finale degli US Open, divenendo a tredici anni la più giovane finalista dello Slam newyorkese; l’anno scorso ha vinto il Roland Garros ed è divenuta, quattordicenne, numero 1 al mondo tra le under 18. Nel mondo delle pro, Gauff ha incominciato ad approciarsi solo quest’anno: a Miami ha ottenuto la prima vittoria a livello WTA, ma è a Wimbledon che ha davvero iniziato a far parlare di sè. Ai Championships, da 313 WTA, è divenuta la più giovane qualificata nell’Era Open ed è poi arrivata agli ottavi, sconfiggendo anche Venus Williams al primo turno: un successo che, all’età di 15 anni e 122 giorni, ha fatto diventare la Gauff la più giovane tennista a vincere un match in uno Slam dai tempi di Anna Kournikova. La carriera tra le pro è poi continuata in estate col successo in doppio a Wahington con la diciassettenne connazionale McNally (anch’ella sulle soglie della top 100 e con la quale Coco nel 2018 aveva vinto gli Us Open Juniores) e soprattutto con l’ottimo terzo turno raggiunto nello Slam newyorkese. Il regolamento della WTA riguardo alle tenniste della sua fascia d’età non le permette di giocare con continuità nel circuito, ma Gauff la settimana scorsa era comunque salita sino al 110 WTA. A Linz, come accade a tutti i campioni, per una volta ha avuto bisogno anche della mano della Dea Bendata: eliminata nel turno decisivo delle quali dalla tedesca Korpatsch, 130 WTA, Gauff è stata ripescata nel tabellone principale per il forfait della testa di serie numero 3 Sevastova e da quel momento in poi ha cambiato marcia. La giovanissima statunitense ha iniziato conquistando i primi quarti nel circuito WTA, sconfiggendo due tenniste dalla classifica mediocre come Voegele (6-3 7-6) e Kozlova ( 6-4 4-6 2-0 RET.). A quel punto ha ottenuto la vittoria sin qui più prestigiosa della carriera contro Bertens (7-6 6-4) prima top 10 sconfitta: un successo che ha fatto da apripista a quelli contro due top 80 dal grande passato come Petkovic in semifinale (ex 9 WTA, superata con un duplice 6-4) e Ostapenko in finale (due anni fa vincitrice del Roland Garros, superata con un 6-3 1-6 6-2).