Anni ’70, non esistono le tv generaliste, non esiste la tv a pagamento, se vuoi vedere il tennis ti devi affidare a mamma Rai che quando può manda in avanscoperta il mitico Guido Oddo e Giampiero Galezzi più “acciughino” (allora) che “Bisteccone”. Roland Garros e Wimbledon non mancano mai nella programmazione tv, gli US Open e gli Australian Open sono una chimera, ne puoi leggere qualcosa sui giornali.
Ma gli appassionati italiani hanno di che rallegrarsi. Perché se è gradualmente terminata l’epoca dei Pietrangeli e dei Sirola, abbiamo trovato quattro tennisti che ci regalano soddisfazioni a iosa. La Coppa Davis, la vera Coppa Davis, non quella che tra qualche mese andrà in scena a Madrid, ha un seguito da stadio. Se si gioca al Foro Italico c’è sempre il pienone, è l’appuntamento più importante per gli appassionati in tv che si segnano sul calendario la data per non dimenticarsela. Tutti si ricordano (quelli che oggi naturalmente hanno tra i 40 e i 50 anni) ad esempio, le notti della finale australiana a Sydney, il doppio 6-0 rifilato da Adriano Panatta al giovane Lendl nella semifinale del 1979, le battaglie dei nostri contro il compianto McNamara e il fedele McNamee sempre al Foro.
Ma quelli erano anche gli anni della vittoria di Adriano a Parigi e a Roma, delle semifinali di Barazzutti a New York e al Roland Garros, della finale del ’76 di Bastad tra due azzurri, lo stesso Corrado e Tonino Zugarelli (con quest’ultimo vincitore), di Bertolucci che costrinse al quinto set Nastase a Roma nel 1973, che vinse ad Amburgo e che in doppio con Panatta era tra i migliori al mondo. Citarli insieme era diventato uno scioglilingua, Panatta&Bertolucci era diventato un unico assioma come Pulici&Graziani (nel calcio) o Thoeni&Gros (nello sci).
Ecco, passati quegli anni d’oro abbiamo avuto un pauroso vuoto che ha sempre lasciato un senso di amarezza all’appassionato italiano. Quante volte abbiamo sentito dire… “ma torneranno mai quei tempi?”, “quando avremo un campione da poter sostenere come Panatta e Barazzutti?”. Siamo dovuti arrivare agli anni duemila per poter avere una piccola rivincita con le nostre ragazze, da Pennetta a Schiavone, da Roberta Vinci a Sara Errani (senza dimenticare Reggi, Cecchini e Farina che hanno aperto la strada a queste ragazze). Trionfi ovunque, Slam, Career Slam in doppio, tutte e quattro nelle prime dieci al mondo almeno per una settimana.
Ma sotto sotto si aspettava sempre che arrivasse anche lo squillo nel settore maschile, perché poi volenti o nolenti, ha comunque un minimo di seguito in più. E vedere la piccola Svizzera sfornare due campioni come Federer e Wawrinka o il Canada senza particolari tradizioni mettere in campo il bombardiere Raonic e le giovani promesse Shapovalov e Auger-Aliassime, per fare due esempi scolastici, beh, ci faceva masticare amaro.
Dagli anni ’80 in poi qualche piccola soddisfazione l’avevamo raccolta, ma si trattava di briciole. I vari Cancellotti, Furlan, Nargiso, Gaudenzi, Camporese, Caratti non si erano mai avvicinati molto alla Top 10 e avevano ottenuto buoni risultati in Davis (per anni la nostra ancora di salvezza) ma poco nei tornei più importanti. Poi sono arrivati i Volandri, i Seppi, i Bolelli. Qualcosa in più si era visto, ma gli appassionati italiani volevano tornare protagonisti, volevano finalmente vincere qualcosa di importante dopo tanti anni di digiuno.
E dai e dai, finalmente sono arrivate le soddisfazioni. Cecchinato va in semifinale in uno Slam 40 anni dopo Barazzutti, Fognini vince un Masters 1000 a Montecarlo ed entra nei primi 10, arriva il giovane Berrettini che senza saper né leggere e né scrivere cresce talmente bene che vince tornei, va in semifinale a New York, fa il suo ingresso in top 10 e si avvicina a passi da gigante verso l’obiettivo delle ATP Finals di Londra. Abbiamo un Lorenzo Sonego che inizia con una certa frequenza a vedersi nei tabelloni che contano, abbiamo un 18enne, Jannik Sinner, che è passato nel 2019 dai Futures alla semifinale in un ATP 250 con tanto di ingresso in top 100 a partire da lunedì (il più giovane italiano di sempre a riuscirci). Siamo arrivati ad avere ben 8 italiani nella Top 100 (quando per decenni abbiamo fatto i conti in tasca agli spagnoli, ai francesi, agli americani).
E l’appassionato italiano? Non sta più nella pelle, non gli pare vero, praticamente ogni settimana abbiamo un nostro tennista che regala soddisfazioni. Abbiamo giocatori solidi di testa e che fisicamente incarnano il prototipo del tennista 2.0. Abbiamo giocatori talentuosi, che si sacrificano, che fanno della preparazione fisica e mentale la base del loro gioco. Che sta succedendo? Stiamo sognando?
Probabilmente no, non sappiamo se siamo all’inizio di una nuova epoca d’oro del nostro tennis che ci consenta di considerare passata quella degli anni’70, ma il nostro movimento ha gettato le basi per crearsi un futuro radioso e starà ai nostri tennisti percorrere quel solco. Ora ci è venuta fame, vogliamo Berrettini (oggi alle 14 la semifinale di Vienna contro Thiem) o Fognini al Masters (ma anche tutti e due se possibile, si deciderà tutto a Bercy la prossima settimana), vogliamo tornare a vincere uno Slam in campo maschile. Poi pazienza, ci sarà sempre chi dirà che Berrettini ha solo servizio e diritto, che Fognini se avesse avuto più testa chissà cosa avrebbe fatto, che Sinner si dovrà vedere se confermerà quanto di buono sta facendo. Perché l’italiano medio è fatto così, pronto sempre a lamentarsi, a criticare, a non accontentarsi mai.