Elina Svitolina
Numero 8 fra le ammesse al Masters, quando sono circolate le prime interviste delle giocatrici che avevano definito il campo di Shenzhen “lento”, è diventato quasi automatico considerarla tra le favorite. Tra le attuali giocatrici di vertice, infatti, forse nessuna si avvantaggia quanto lei dai campi lenti, perché Elina offre un mix di resistenza fisica e qualità nel gioco di contenimento che spesso finisce per farla prevalere contro tenniste dalle caratteristiche differenti, meno atletiche e più offensive.
Le partite del Gruppo viola hanno confermato queste ipotesi. Vittoria in due set contro Pliskova (7-6, 6-4), in due set contro Halep (7-5, 6-3) e in due set contro Kenin (7-5, 7-6). Anche quando le avversarie si sono trovate in vantaggio (Kenin ha servito per il set sia nel primo che nel secondo set), Elina ha sempre trovato il modo di risalire e vincere il parziale.
A quel punto è approdata in semifinale da unica imbattuta, e ha superato lo scoglio Bencic, come detto, lasciando per strada il primo set di tutto il suo torneo. Ma il ritiro di Belinda le aperto le porte della finale, che ha raggiunto sull’onda di numeri straordinariamente positivi.
Precedenti contro Barty: 5 vittorie e zero sconfitte. Dieci vittorie consecutive alle Finals dal 2017 al 2019 (1 nell’ultimo match del round robin 2017, 5 in quello del 2018 e 4 nel 2019) e una serie positiva aperta anche nelle finali in carriera: 9 successi dal 2017 in poi.
Ricordo che prima della finale di Shenzhen Elina aveva un record nelle finali a livello WTA di 14 vittorie e appena 2 sconfitte (l’ultima delle quali nel 2016 al Masterino di Zhuhai contro Kvitova). In più, avesse vinto il match contro Barty si sarebbe aggiudicata il massimo del montepremi previsto: 4.725.000 dollari. In questi numeri favorevoli c’era forse un solo dato negativo: nel 2019 Svitolina non aveva ancora vinto alcun torneo.
Chissà, forse tutti questi aspetti hanno finito per metterle troppa pressione; fatto sta che in finale la sua avversaria Barty mi ha dato la sensazione di essere sempre in controllo del match, riuscendo a fare la partita senza però dover esagerare. I 30 vincenti a 8 a favore di Ashleigh compensano ampiamente il dato degli errori non forzati che altrimenti favorirebbero Elina (26 a 13). E così il match si è concluso in due set (6-4, 6-3) in cui Svitolina ha condotto solo nel secondo set sul 2-1 e servizio, ma non è riuscita a confermare il break, subendo un parziale di 1-5.
Ashleigh Barty
Come detto, dopo aver seguito i match dei round robin ero convinto che il campo di Shenzhen si adattasse alle caratteristiche di Ashleigh ancora più che a quelle di Svitolina. Perché quel tipo di superficie richiedeva notevole potenza al servizio e nei colpi da fondo per produrre vincenti: e sappiamo che sia il servizio che il dritto di Barty possono essere davvero incisivi. Ma soprattutto il campo valorizzava le doti difensive e, a sorpresa, anche la pericolosità dello slice: altre qualità di primissimo livello nel tennis di Ashleigh.
Oltre a questo Barty ha messo in mostra la sua solita, ottima mano nelle voleè e nei corpo a corpo nei pressi della rete, a conferma di quanto sia completa sul piano tecnico. In più nel corso del torneo, se si esclude la giornata-no al servizio contro Bertens (appena il 47% di prime), ha sempre offerto prestazioni estremamente solide alla battuta, partendo quindi da una base fondamentale per mettere pressione alle avversarie.
Nella fase a gironi (dopo il successo contro Bencic) la sconfitta contro Bertens ha trasformato il match contro Kvitova in una partita da dentro o fuori. E Ashleigh ha dominato di fronte a una spenta Kvitova: 6-4, 6-2 senza mai perdere il servizio e senza addirittura concedere palle break nel secondo set. Si è così conquistata la semifinale: e dopo il primo set perso contro Pliskova, ha veleggiato negli ultimi quattro set giocati, vincendo il torneo.
E così Barty ha vinto le Finals 2019 da esordiente, come era accaduto in questo millennio solo a Serena Williams (2001), Sharapova (2004), Kvitova (2011) e Cibulkova (2016). Altro dato significativo: l’ultima giocatrice capace di vincere il Masters da numero 1 del mondo era stata Williams nel 2014.
Non solo. Il successo a Shenzhen ha definitivamente sancito il primato in classifica di Barty, e l’ha resa la prima numero 1 del mondo di fine anno che non sia di nazionalità statunitense o europea. In pratica da quando esiste la classifica WTA al computer (1975), è la prima volta che il tennis femminile trova la sua leader in un terzo continente. E anche questo è un dato storico.
Eppure malgrado tutti questi primati, alcuni storcono il naso di fronte alla leadership di Barty. Una delle critiche più diffuse è che non ha il carattere per diventare un “personaggio” fuori dal campo. Certo, anche questo può influire, ma personalmente vedo le cose in modo un po’ differente.
Sono convinto che a lungo andare ciò che davvero costruisce il carisma di una grande tennista siano le imprese sul campo. Contano i risultati, il ranking, e in questo Barty è sulla buona strada. Ma per imprese intendo anche le partite che emozionano in modo particolare. Match speciali che cambiano lo status delle giocatrici, le fanno crescere nella considerazione degli appassionati incidendosi nella loro memoria.
In questo Barty è stata sfortunata, perché non ha avuto ancora l’occasione di esserne protagonista: le partite memorabili nascono da alchimie imprevedibili, nelle quali il ruolo della avversaria è altrettanto importante.
Faccio un esempio concreto: le ultime quattro campionesse Slam sono Osaka, Barty, Halep e Andreescu. Quale è la differenza? Osaka, Halep e Andreescu hanno vinto almeno un Major battendo in finale una leggenda vivente come Serena Williams. Barty ha superato in finale Marketa Vondrousova.
Lo ricordo senza volere minimamente sminuire i meriti di Ashleigh né quelli di Marketa, giocatrici che apprezzo molto (e l’ho scritto già da parecchio tempo). Ma Marketa non è Serena. Consideriamo la ammirazione che è nata attorno a Osaka dopo la sua vittoria contro Williams agli US Open 2018. Per quanto si sia criticato Serena per come ha “invaso il campo” delle attenzioni normalmente riservate alla vincitrice (a causa delle sue polemiche con il giudice di sedia), il tutto ha finito per regalare a Naomi un surplus di considerazione speciale.
Sotto questo aspetto la partita dominata da Barty al Roland Garros 2019 non è paragonabile a quella sera newyorkese. In un certo senso avere stravinto il match (6-1, 6-3) per Ashleigh è stato peggio che strapparlo al termine di una partita sofferta ed equilibratissima. Ha avuto la “colpa” di essere troppo forte quel giorno. Paradossale, ma è così.
Ultimo esempio. Quest’anno Barty ha giocato sei finali, vincendone quattro e perdendone solo due. I successi (Miami, Roland Garros, Birmingham, Shenzhen) sono arrivati contro Pliskova, Vondrousova, Goerges e Svitolina, e tutti in due set. Le sconfitte (Sydney e Pechino) sono state in tre set, contro Kvitova e Osaka: 1-6 7-5 7-6 da Petra e 3-6 6-3 6-2 da Naomi. E quali sono le finali con più intensità emotiva? Proprio queste ultime.
E allora? Penso si tratti solo di tempo, e di combinazioni giuste, sempre che Barty riesca a mantenere anche in futuro questa notevole qualità di tennis. Ecco, sono sicuro che se Ashleigh continuerà a giocare sui livelli attuali anche per lei arriveranno le imprese memorabili, e allora crescerà automaticamente nella considerazione di tutti, media e appassionati inclusi.