da Londra, il nostro inviato
Numeri alla mano, Stefanos Tsitsipas è il sesto vincitore nella storia delle Finals privo di uno Slam, il terzo consecutivo dopo Dimitrov (2017) e Zverev (2018). A riprova del fatto che il greco abbia tutta l’intenzione di abbandonare questo limbo di ‘Maestri senza Slam’ – Corretja, Nalbadian e Davydenko tali rimarranno per forza di cose, Dimitrov e soprattutto Zverev hanno ancora speranze di uscirvi – ci sono le sue dichiarazioni poco dopo aver sollevato la pesante coppa che gli è stata consegnata da Hideo Takasaki, presidente della Nitto (title sponsor del torneo). A dare ulteriore vigore alle sue ambizioni c’è una statistica che accomuna Stefanos al più giovane vincitore esordiente del Masters di fine anno, il 19enne McEnroe del 1978: entrambi hanno vinto le Finals come quinto torneo della carriera, quindi molto ‘presto’ nel loro sviluppo come tennisti. A John sarebbero serviti altri sette titoli (vinti in appena otto mesi) per vincere il primo Slam, a New York. Adesso la palla sta a Tsitsipas.
Stefanos riesci a crederci? Puoi dirci cosa ha significato per te il 2019 e quanto sei emozionato in questo momento?
Prima di tutto lo ero già per il semplice fatto di essere qui. Ora che sono il campione non so neppure come spiegarlo. Sono così emozionato che quasi non riesco a sentire nulla. Avere in mano questo trofeo è pazzesco. Ricordo quando guardavo alla TV questo evento e pensavo a quanto erano stati bravi ad arrivarci. E ora sono io il campione. Incredibile.
Puoi fare un confronto tra la vittoria dello scorso anno alle NextGen e questa? Pensi sia una buona iniziativa quella di un torneo riservato agli under 21?
Sì, perché mi diede la possibilità di fare un Masters alla fine di un anno per me eccezionale. Arrivai a quel torneo molto carico, convinto di essere uno dei migliori e di poter fare bene. Mi diede la carica per questa stagione perché battei tutti i miei coetanei più forti. Fu un modo per prendere confidenza su come vanno le cose in un Masters. Una bella coincidenza, no?
Tre anni fa dopo la tua vittoria al Bonfiglio ti intervistai per Ubitennis e ti chiesi quali fossero i tuoi obiettivi. Mi dicesti che volevi vincere uno Slam in tempi rapidi. Possibilmente Wimbledon. È ancora Wimbledon il tuo sogno?
Sai una cosa? Non mi interessa più. Tutti gli Slam sono grandiosi, unici. Certo Wimbledon ha un fascino speciale per via della tradizione e se chiedi a un qualunque giocatore ti risponderà che sogna di vincerlo. Ma per me qualunque Slam è straordinario. Sento che il mio tennis migliora continuamente e credo di essere vicino a essere incoronato vincitore di un Major. So di dire parole forti ma io credo che quello sia il mio posto. Affronto i migliori giocatori del mondo e per lo sforzo e l’impegno che ci metto ogni giorno mi merito questi risultati.
Pensi che la vittoria di un giovane in uno Slam possa capitare il prossimo anno? Pensi di poterci riuscire? E in che modo?
Il problema in questi anni è stato rappresentato dai tre primi della classe. Devi buttarli fuori ai primi turni perché più si va avanti nel torneo e più diventano forti e sicuri di sé. Negli Slam la formula tre su cinque gli da più opportunità di rimanere attaccati al match e questo rende molto dura batterli. Se si disputassero al meglio dei tre set sarebbe più facile. È un bel problema perché in tre hanno conquistato quasi 60 Slam e per noi ragazzi è una questione di tempo. Però non so quanto.