Dinara Safina si racconta a Behind The Racquet. Come il celebre fratello Marat, anche la 33enne moscovita è salita in vetta alla classifica mondiale, dove è rimasta da aprile a ottobre del 2009. Sebbene dotata di un gioco regolare e potente da fondo campo, Dinara è una delle ex campionesse ad essere state n. 1 del mondo senza mai vincere una prova dello Slam. La fragilità mentale nei momenti topici delle finali le ha spesso impedito di esprimersi al meglio, allontanando inesorabilmente il sogno Slam. Ci è andata vicino ben tre volte, disputando due finali al Roland Garros (nel 2008 perde con Ana Ivanovic e nel 2009 con la connazionale Svetlana Kuznetsova) e una all’Australian Open (nel 2009 viene superata da Serena Williams). Ha sollevato tuttavia un trofeo Major in doppio, allo US Open 2007, in coppia con Nathalie Dechy. In singolare, a conferma della sua completezza, ha raggiunto la semifinale in tutti gli slam. All’età di 25 anni è stata costretta a fermarsi per un serio infortunio alla schiena che non riuscirà mai a superare del tutto. Nel 2014, quando ha annunciato ufficialmente il ritiro dalle gare, Dinara ha lasciato il tennis con 12 titoli in bacheca e altre 12 finali disputate, tra qui quella olimpica di Pechino contro Elena Dementieva.
“Sono stati dieci anni di esperienza che si sono conclusi nel momento difficile del mio incidente alla schiena” dice Dinara a Behind the Racquet, “nonostante il duro lavoro e la pressione di tutti i giorni, ero felicissima quando potevo alzarmi e scendere in campo. Mi manca l’adrenalina che ti dà il tennis ed è stato difficile trovare qualcosa che potesse sostituirlo e che potesse motivarmi. Sono fiera di quello che ho realizzato“.
C’è ancora un futuro nel tennis per Dinara? “Non potrei rientrare nel circuito come hanno fatto Kim Kljisters o Tatiana Golovin ma considero l’opzione di diventare coach e poter condividere le mie esperienze con altri giocatori. Ho terminato la laurea in giurisprudenza ma i miei progetti ora sono ancora rivolti al tennis. Quando ero n. 1 del mondo tutti mi stavano intorno, tutti volevano far parte del mio mondo. Poi, quando smetti, finiscono di interessarsi a te. Ho cercato più volte di contattare il presidente della nostra federazione per proporgli il mio aiuto con le nuove generazioni di tennisti ma non mi ha mai contattata. Sono rimasta confusa e dispiaciuta. Si ha l’impressione che non abbiano più bisogno di te. E allora realizzi che bisogna prendersi cura di sé, da soli; mi sono adoperata per ritrovare la felicità e ora mi rivolgo direttamente ai giocatori o ai loro agenti facendo sapere loro che sono disponibile come coach. Nonostante ciò che riusciamo a realizzare, per la nostra felicità dobbiamo contare su noi stessi e non sugli altri“.