La stagione appena conclusa di Ashleigh Barty è da incorniciare: prima vittoria in un torneo Premier Mandatory, primo titolo Slam, prima posizione nel ranking, primo titolo alle Finals, prima finale di Fed Cup con l’Australia. E con gli $ 11.307.587 vinti nel 2019 una bella cornice per contenere il tutto ci esce di sicuro. A inizio novembre infatti Barty ha vinto le Finals e ha alzato al cielo il trofeo di “Maestra” assieme a un assegno di $4.420.000, il montepremi più alto mai assegnato al vincitore di un torneo, tennis maschile incluso. Questa ragguardevole cifra l’ha fatta balzare in testa anche nella classifica degli incassi stagionali, che ha concluso davanti a Simona Halep ferma a $6.962.442.
Facendo un paragone con lo scorso anno si osserva che in cima alla lista delle più ricche del 2018 c’era proprio la romena con $ 7.409.564, mentre Ash era undicesima con $2.823.371 di cui quasi un milione vinti in doppio. Il muro dei 10 milioni stagionali era stato superato anche nel 2016 e nel 2015, rispettivamente da Angelique Kerber e Serena Williams, mentre per trovare una tennista che ha guadagnato più di Barty in una stagione si deve tornare indietro al 2013, l’anno del Grande Slam sfiorato da parte di Serena la quale si dovette ‘accontentare’ di $ 12.385.572 (chissà a quale parte di quella cifra avrebbe rinunciato pur di disputare la finale dello US Open quell’anno).
SHENZHEN: UNA SPROPORZIONE? – Come detto gran parte del bottino vinto da Barty proviene dalle Finals di Shenzhen, che nel 2019 si sono disputate per la prima volta in Cina dopo il quinquennio di Singapore e hanno nettamente superato gli emolumenti promessi dal corrispettivo torneo maschile. Le Finals di Londra offrono infatti al campione imbattuto un montepremi da $ 2.871.000, sebbene questa eventualità non si sia verificata in questa edizione: il vincitore Stefanos Tsitsipas, sconfitto nel round robin da Nadal, ha portato a casa, oltre a tanta fiducia per la prossima stagione, $2.6 milioni. Il finalista Dominic Thiem ha vinto circa la metà, $1.302.000, cifra considerevolmente inferiore a quella portata a casa dalla finalista di Shenzen, Elina Svitolina: ben $2.400.000.
Per quel che riguarda i tornei nella loro totalità, sono ovviamente gli Slam i più ricchi e tra questi l’Australian Open, che ha assegnato quest’anno 4.1 milioni di dollari al vincitore e alla vincitrice, seguito dagli US Open con 3.85 milioni e dai circa 3 milioni di Wimbledon. Chiude, più staccato, il Roland Garros con €2.300.000.
La cifra di Shenzhen è quindi elevatissima per un torneo di una sola settimana, soprattutto se si considera che le partite giocate dall’australiana sono state solamente cinque – tre di girone più semifinale e finale – ma il livello delle avversarie non sarebbe potuto essere più alto, almeno sulla carta. Le Finals infatti sono riservate alle migliori otto del ranking, ma a torneo in corso ci sono state le defezioni di Naomi Osaka e Bianca Andreescu, che hanno lasciato spazio a Kiki Bertens e Sofia Kenin anche loro tornate a casa con le mani tutt’altro che vuote. L’olandese con una sconfitta e una vittoria (proprio su Barty) ha guadagnato $515.000 (un ottavo dei suoi introiti stagionali!), mentre la giovane statunitense dopo la sconfitta con Svitolina ha ricevuto $165.000 come compenso per la partecipazione.
IL FENOMENO ASIA – L’intenzione della WTA di abbracciare con sempre maggiore ‘affetto’ il mercato asiatico va avanti da diversi anni ormai e forse proprio lo scarso appeal delle Finals negli ultimi anni ha spinto gli organizzatori a una scelta del genere. Tentare i tennisti con montepremi così importanti non sembra una cattiva idea, basti vedere cosa è successo in Coppa Davis quest’anno: nonostante le incertezze sul nuovo formato, il roster dei partecipanti è stato comunque elevato proprio per questo motivo. Le prossime edizioni delle Finals di Shenzhen ci diranno fin dove all’aumento quasi sproporzionato dei montepremi corrisponderà l’innalzamento della qualità del tennis, quest’anno penalizzata dalla scelta di una superficie molto difficile da padroneggiare. Va poi aggiunto che durante quella settimana le giocatrici sono chiamate a un lavoro promozionale maggiore degli altri eventi, trattandosi di fatto del torneo di riferimento per la WTA sotto l’aspetto economico.
In ogni caso l’aumento degli stipendi è un fenomeno diffuso in tutti gli sport, non solo nel tennis dove ogni anno gli Slam si compiacciono tra loro per l’aumento del prize money totale, ma in questo caso l’ulteriore elemento di analisi – che in passato ha creato non pochi dibattiti – è quello dell’uguaglianza di montepremi tra uomini e donne. Nel tennis molte le giocatrici hanno lottato in questa direzione, a partire dalla pioniera Billie Jean King, fondatrice della WTA; negli anni recenti si ricordano soprattutto le voci di Serena Williams e Johanna Konta. Tra gli uomini i pareri non sono omogenei: nettamente dalla parte delle donne Andy Murray, più sfumate le posizioni ad esempio di Nadal e Djokovic, che nel 2016 si espresse a riguardo in maniera non troppo chiara e le polemiche furono immediate. L’argomento è evidentemente scottante e tutto sembra ruotare attorno all’affermazione “lo stesso lavoro va ricompensato con lo stesso denaro”, ma il problema sta proprio nel fatto che non è sempre possibile quantificare “il lavoro” svolto durante una partita di tennis.
Diventa tutto più chiaro se si considera il fatto che i tornei sono divisi per categorie e secondo queste vengono assegnati i montepremi. Ad esempio un tennista può vincere cinque partite e portare a casa un torneo da 500 punti, ma con lo stesso numero di partite si può anche vincere un 250; ecco che la stessa quantità di lavoro, almeno in apparenza, porta a un “incasso” differente. Se poi si tiene conto del fatto che ATP e WTA sono due associazioni distinte e separate, sebbene di recente ci siano stati dei tentativi inconsueti di avvicinamento, questo rende il tema ulteriormente complicato da affrontare. Un tema che si ripresenta ciclicamente durante lo svolgimento di tornei combined e ancor di più quando il combined non è simmetrico come accade negli Slam, a Indian Wells, Miami e Madrid.
Nel recente torneo di Mosca la differenza nel montepremi in favore delle donne era del tutto giustificata dal fatto che il torneo appartiene alla categoria Premier per la WTA mentre è solamente un 250 per gli uomini. A Roma accade l’opposto, poiché il torneo maschile è un 1000 – con circa un milione assegnato al vincitore – e quello femminile un Premier 5 – con poco più di mezzo milione alla vincitrice. Insomma la disparità di montepremi in certi casi è giustificata dalla logica con la quale vengono classificati i tornei, laddove i combined che abbinano tornei ‘gemelli’ propongono ormai tutti una perfetta parità di montepremi.
Quanto alla cifra quasi spaventosa vinta da Barty, più che evidenziare la sproporzione confrontando il torneo con il corrispettivo maschile sembra corretto ragionare sulla qualità del torneo in sé, che si svolge a fine stagione con tenniste provate da dieci mesi di sforzi e in un contesto discutibile dal punto di vista dell’atmosfera e del pubblico. In questo senso, sembra davvero eccessivo che alla vincitrice delle Finals debbano spettare più dei soldi vinti da Osaka al termine dell’Australian Open, che già di per sé ha altra storia e prestigio e in più si snoda su sette incontri nei quali si deve aver ragione di avversarie fresche di riposo e off-season. Per dare uno spunto di riflessione, viene difficile da credere che, a parità di ‘infortunio’, Osaka e Andreescu avrebbero preso con la stessa leggerezza la decisione di abbandonare l’Australian Open. A Shenzhen lo hanno fatto quasi senza battere ciglio, nonostante – appunto – le enormi possibilità di guadagno.
Certo non è colpa di Barty, che ha coronato una splendida stagione con un altro grande trofeo. Come divertissement, se l’australiana è appassionata di auto, con quella cifra ci si possono procurare due esemplari di Lamborghini FKP37 Sian – l’ultimo modello della casa automobilistica bolognese, il primo con motore ibrido – mentre restando in tema ambientalista con la stessa cifra si possono acquistare almeno 110 automobili Tesla Model 3. Da regalare ad amici e parenti eco-friendly per smorzare sul nascere ogni polemica.