Il mese di settembre è quello che comprende la fine dello US Open, che per molti è la fine “ufficiosa” della stagione. È vero che dopo lo slam newyorkese il livello di tensione tende a scendere, tra i giocatori, tra i tifosi ed anche tra gli addetti ai lavori, ma c’è ancora tennis dopo Flushing Meadows, soprattutto dopo che quei demoni di Roger Federer e del suo manager Tony Godsick si sono inventati quello strepitoso successo che è la Laver Cup.
Ma andiamo con ordine. Lo US Open ha occupato solamente la prima settimana di settembre, a causa delle oscillazioni periodiche del calendario (nel 2020 invece l’ultimo Slam avrà solamente le prime due giornate di gara nel corso del mese di agosto), ma è stata quella che a noi italiani ha regalato la soddisfazione più grande a livello maschile da quarant’anni a questa parte. Matteo Berrettini è riuscito a raggiungere le semifinali di un torneo dello Slam, disputando un primo set esemplare contro Rafael Nadal per poi “rompere l’andatura” e soccombere davanti al futuro vincitore del (diciannovesimo) titolo. Tuttavia, se la semifinale con il maiorchino è durata poco più di un set, il quarto di finale che Berrettini ha dovuto vincere per arrivarci ha regalato oltre quattro ore di tennis al cardiopalmo, nel caleidoscopio dell’Arthur Ashe Stadium che durante il match è passato da stadio outdoor sotto il sole a stadio con le luci sotto un cielo plumbeo ad arena indoor più rumorosa del tennis mondiale. L’altalena di punteggio di quei cinque set ha coinvolto tutti gli spettatori in tribuna, che in poche ore sono passati da non sapere chi fossero Berrettini e Monfils a gioire o disperarsi per ogni punto in quel rocambolesco quinto set.
Prima di arrivare al weekend finale, il tabellone maschile aveva già perso due dei tre favoriti, entrambi appiedati da malanni fisici: dopo che Djokovic si era dovuto ritirare contro Wawrinka a causa di fastidi al gomito, Federer si era progressivamente spento al quinto set contro Grigor Dimitrov, cui era stato così permesso di raggiungere la sua prima semifinale a New York, per poi essere rapidamente liquidato dalla rivelazione dell’estate, Daniil Medvedev. Il “genio” moscovita (così è stato ribattezzato dal suo allenatore Cervera) ha sapientemente orchestrato una faida ad arte con il pubblico newyorkese, arrivando poi a perdonare tutti dopo l’epica finale persa contro Nadal, nella quale sicuramente ha pagato la poca esperienza e i tanti chilometri percorsi nelle cinque settimane precedenti.
Nel singolare femminile il mese è iniziato con quello che probabilmente è stato il momento più bello della stagione: il gesto di Naomi Osaka nei confronti di Coco Gauff, che dopo essere stata battuta molto nettamente nel loro incontro di terzo turno è stata invitata dalla campionessa nipponica a fare l’intervista di bordo campo insieme a lei. Un grande gesto, prima ancora che di amicizia, di grande leadership da parte di un personaggio che potrebbe diventare l’ambasciatrice del tennis rosa nel prossimo futuro. Sempre che Bianca Andreescu non abbia qualcosa da dire in proposito. La canadese ha completato a New York un’annata allo stesso tempo sfavillante e schizofrenica, che l’ha vista rimanere per oltre quattro mesi fuori dalle competizioni a causa di un infortunio alla spalla, ma che l’ha portata a conquistare il suo primo titolo dello Slam in una finale ad elevatissimo contenuto emotivo. Quella Serena Williams che si era dovuta ritirare contro di lei nella finale di Toronto poche settimane prima era più che mai intenzionata a vincere il suo ventiquattresimo torneo dello Slam, eguagliando il record di Margaret Court. Ma in finale è stata letteralmente sculacciata da Andreescu, fino al 6-3, 5-1, quando è accaduto l’imponderabile. Sospinta dai quasi 24mila dell’Arthur Ashe, la grande campionessa americana è riuscita a rimontare punto su punto, fino ad arrivare sul 5-5, quando Andreescu ha dato prova di grande carattere resettando il suo gioco e portando a casa i rimanenti due game. Il boato del pubblico sul cambio di campo del 4-5 è stato da pelle d’oca, il momento più intenso dell’anno.
Il resto del mese ha visto il circuito femminile sprintare subito in Cina per iniziare la parte conclusiva della stagione con il “WTAsia swing”, dove è riapparsa una delle “desaparecide” del 2019, Aryna Sabalenka, confermatasi campionessa al Premier 5 di Wuhan. Il circuito maschile invece si è preso un po’ più di tempo prima di sorvolare il Pacifico e iniziare a giocare in Cina con una settimana di pausa (originariamente dedicata alla Davis ma che ora vede solamente gli incontri dei gruppi zonali) e l’ormai tradizionale appuntamento della Laver Cup, quest’anno ospitata dal Palexpo di Ginevra, nella Svizzera di Roger Federer. Un’altra vittoria per l’Europa, un altro clamoroso successo commerciale, un altro fantastico spettacolo televisivo offerto dalle quasi 50 telecamere dispiegate a coprire ogni dettaglio dell’evento, dalla palestra per il riscaldamento al corridoio per gli spogliatoi all’interno del quale Federer e Nadal hanno prodotto il discorso dell’anno arringando Sasha Zverev prima che il tedesco vincesse il match tie-break contro Raonic. La Laver Cup non sarà tennis vero, ma piace tremendamente.