7 – i tennisti che sono riusciti a guadagnare almeno 200 punti partecipando alla ATP Cup. Ai numeri uno delle finaliste Serbia e Spagna, Djokovic e Nadal, vanno infatti aggiunti i nomi di Medvedev, Bautista Agut, Goffin, Lajovic e Evans come giocatori capaci di ritoccare in positivo la loro classifica con la partecipazione all’esordio di questa manifestazione. Per capire meglio l’impatto sul ranking da parte della ATP Cup – alla quale hanno partecipato otto top ten (mancavano Federer e Berrettini) e complessivi sedici top 20 – basti pensare che diventano nove (si devono aggiungere Khachanov e Shapovalov) i tennisti che hanno incamerato almeno 150 punti, il bottino assegnato a chi raggiunge la finale in un ATP 250. La nuova competizione a squadre nazionali inventata dal sindacato giocatori a differenza dell’analoga Coppa Davis, ha dalla sua il grosso vantaggio di distribuire punti pesanti (sino a un massimo di 750 a giocatore) e anche tanti soldi (il montepremi complessivo di ben 15 milioni permetteva di far vincere a un singolo tennista potenzialmente oltre 800.000 dollari). Inoltre, sebbene posizionata in un momento della stagione in cui il vero obiettivo dei big è trovare la migliore forma in vista degli Australian Open, tecnicamente l’ATP Cup ha anche saputo fornire utili indicazioni in vista di Melbourne.
Ci ha detto che Nadal e soprattutto Djokovic sono in gran forma, così come lo è anche Medvedev (il russo ha perso solo uno dei suoi cinque incontri, cedendo al fotofinish contro il numero 2 del mondo e da questa settimana è al best career ranking di 4 ATP). Almeno quattro incontri (sebbene giocando da numero 2 delle loro rappresentative e quindi contro avversari meno forti) sono stati vinti anche da Khachanov e Bautista Agut, con quest’ultimo che ha, come Djokovic, vinto tutte le sue sei partite giocate. Tra le delusioni, spicca Sasha Zverev: il tedesco ha rimediato un solo set complessivo nelle tre partite in cui è stato impegnato contro De Minaur, Shapovalov (nel rendimento uno dei migliori della ATP Cup) e Tsitsipas (anche il greco ha però deluso, perdendo gli altri due incontri con Kyrgios e Shapovalov). Analogo mediocre bottino tra i top ten lo ha raccolto Dominic Thiem, capace di sconfiggere Schwartzman, ma incappato in due sconfitte contro Hurkacz e Coric.
15 – i tornei giocati da Serena Williams prima di tornare a vincere un titolo e interrompere un’astinenza iniziata nel gennaio 2017. La ventitrè volte campionessa Slam – quando tre anni fa aveva lasciato temporanenamente l’attività per dare alla luce la figlia Alexis Olympia – era numero 1 al mondo, una posizione riconquistata con la vittoria degli Australian Open 2017 in finale sulla sorella Venus e che ha complessivamente occupato per 319 settimane (meglio hanno fatto solo Graf con 377 e Navratilova con 331). Serena, almeno sinora, non è più riuscita a trovare la forma e la continuità necessarie per tornare ai livelli ai quali aveva abituato: una serie di fastidi fisici (che l’hanno costretta anche a ritirarsi in tre dei tornei iniziati in questi due anni) non le hanno comunque impedito di raggiungere l’atto conclusivo del Premier 5 di Toronto la scorsa estate e soprattutto, di agguantare quattro finali nei Major (nelle ultime due edizioni di Wimbledon e US Open) e di risalire in classifica sino a stazionare con continuità nella top ten, a partire dallo scorso luglio.
Assente dal circuito dallo scorso settembre, quando aveva perso contro Andreescu nell’atto conclusivo del Major newyorkese, si è ripresentata per la seconda volta (aveva perso al secondo turno nel 2017) a Auckland per giocare il locale torneo della categoria International, per la prima volta da quando è diventata mamma. Una scelta fatta per trovare il giusto ritmo partita e che ha pagato doppiamente, regalandole anche fiducia in vista degli Australian Open: ha infatti incamerato il 73° titolo della carriera, un passaggio importante più dal punto di vista psicologico che tecnico. In Nuova Zelanda ha affrontato solo una top 30 (Anisimova, sconfitta in semifinale con un duplice 6-1), mentre le altre quattro vittorie sono arrivate contro tenniste comprese tra la 71° e la 100° posizione del ranking: nell’ordine ha infatti superato Giorgi (6-3 6-2), McHale (3-6 6-2 6-3), Siegemund (6-4 6-3) e, in finale, Pegula (6-4 6-3).
41- la posizione in classifica corrispondente sino alla scorsa settimana al best career ranking di Daniel Evans. Il giocatore britannico, reduce da una ATP Cup in cui si è imposto su Albot, Goffin e De Minaur (perdendo al terzo solo da Dimitrov), grazie ai 200 punti guadagnati in questa manifestazione ha fatto nella prima nuova classifica del 2020 il balzo in avanti più grande tra i tennisti presenti nella top 50, passando dalla 42° al 33° posto. E dire che quando nell’aprile del 2017 in seguito a un controllo dell’antidoping veniva trovato positivo alla cocaina e prima sospeso e poi squalificato per un anno, la sua carriera ad alti livelli sembrava conclusa. Pochissimi sembravano credere che a ventotto anni Evans avrebbe avuto la forza psicologica per tornare a buoni livelli, figuriamoci chi poteva immaginare sarebbe tornato più forte di prima.
Daniel, dotato di un gran talento tennistico, non aveva mai totalmente dedicato la sua vita alla sua professione, anzi nella sua “prima” carriera aveva terminato solo un anno nella top 100 (più che per i risultati, si era fatto notare per l’aforisma di Oscar Wilde “Ogni santo ha un passato, ogni peccatore ha un futuro” fattosi tatuare sull’avambraccio per ricordare di non giudicarlo). Proprio il 2017, l’anno della squalifica, era stata la sua migliore stagione in termini di risultati: la prima finale a livello ATP arrivava a Sydney (battendo per la prima volta un top ten, Thiem), seguita dai primi (e ancora unici) ottavi a livello Slam, conquistati a Melbourne. Terminata la squalifica e tornato nel circuito nel giugno 2018 senza classifica, è stato bravo a chiudere già nella top 200 quella stagione. L’anno scorso con la finale raggiunta all’ATP 250 di Delray Beach è rientrato nei primi 100, sino a trovare la continuità per chiudere al 42° posto del ranking. Il 2020 è partito per lui benissimo e ora (a maggio compirà 30 anni) il meglio sembra dover ancora venire.
60 – le posizioni scalate da Andrei Rublev in meno di sei mesi per raggiungere questa settimana il suo best career ranking. Il ventiduenne tennista russo era scivolato alla 78° posizione, a seguito di un periodo di involuzione- e di un infortunio al polso che lo aveva tenuto lontano dai campi per un mese e mezzo nella scorsa primavera- nel quale aveva raccolto appena undici vittorie negli ultimi diciotto tornei giocati in quel periodo. Allo storico e decadente torneo di Amburgo lo scorso luglio arrivava per lui la svolta: sconfiggeva nei quarti per la seconda volta un top ten (tra l’altro il verosimilmente secondo miglior giocatore al mondo sul ro cadjjbosso, Thiem) e arrivava sino in finale, dove si arrendeva in tre set a Basilashvili. Per colui che nel febbraio 2018 era stato sulla soglia della top 30 – grazie alla vittoria da lucky loser del torneo di Umago ed ai quarti agli Us Open 2017, più giovane tennista a riuscirci dal 2001 in poi – quella era la necessaria iniezione di fiducia per raggiungere i primi quarti di finale in un Masters 1000 a Cincinnati (sconfiggendo Wawrinka e, soprattutto, Federer), superare Tsitsipas a New York e vincere il secondo titolo della carriera a Mosca (in finale su Mannarino). La degna chiusura del 2019 era per lui rappresentata dalle quattro vittorie in altrettanti incontri di singolare alle Davis Cup Finals, dove ha aiutato la sua Russia a sfiorare la vittoria in semi contro il Canada. Avendo una classifica già molto buona, ma comunque da terzo giocatore russo, Andrei non ha potuto disputare l’ATP Cup e ha iniziato il 2020 partecipando per la terza volta consecutiva al ricco ATP 250 di Doha, dove nel 2018 aveva raggiunto la finale, persa contro Monfils. Per vincere -senza perdere un set- il terzo torneo in carriera Rublev non ha affrontato nessun top 60: nell’ordine ha prevalso su Kukhushkin(6-4 6-2), Herbert (6-4 6-3) e Kecmanovic (6-3 6-1) e, in finale, su Moutet (6-2 7-6).
89 – il numero percentuale di partite vinte in carriera in Australia da Novak Djokovic nel circuito maggiore. Il campione serbo, vincitore di sedici Slam e primatista assoluto agli Australian Open con ben sette successi (sei volte sono stati vinti da Roger Federer e Roy Emerson) ha confermato la scorsa settimana la sua grande capacità di arrivare in buonissima condizione a inizio anno e la grande adattabilità al clima e alla superficie di gioco australiana. Se a Melbourne vanta un invidiabile record di sessantotto vittorie e otto sconfitte, il suo bottino down under in partite ufficiali comprende anche i cinque match vinti -a fronte di nessuna sconfitta – ad Adelaide nel 2007 (quando vinse il terzo titolo della carriera, il primo sul cemento all’aperto) e i meno buoni bottini raccolti a Sydney (2W-1L) e Brisbane (sconfitta all’esordio), entrambi datati 2009.
Non sorprende il suo grande rendimento nella prima edizione della ATP Cup, dove è stato trascinatore della Serbia nella conquista della prima edizione di questa nuova competizione, grazie alla vittoria dei dei due doppi giocati (tra cui quello decisivo in finale contro la Spagna, in cui affinancato da Troicki ha affrontato Carreno Busta e Feliciano Lopez) e di tutti e sei gli incontri di singolare nei quali è stato impegnato (avendo tra l’altro la meglio su due top 5, un top 10 e un top 20). Non ha perso nemmeno un set nel girone preliminare giocato a Brisbane contro Garin (duplice 6-3), Anderson (in due tie-break) e Monfils (6-3 6-2) e a Sydney ha ulteriormente alzato il livello di gioco per uscire da due battaglie di oltre due ore e mezza contro Shapovalov (4-6 6-1 7-6) e Medvedev (6-1 5-7 6-4) e per superare in due parziali il numero 1 al mondo, Rafael Nadal (6-2 7-6). Un autentico trascinatore per una Serbia che per vincere l’ATP Cup nei sei tie necessari per il successo ha perso appena tre incontri (i due singolari di Lajovic contro Paire e Bautista Agut e il doppio, a risultato acquisito, contro il Cile). Per Nole anche preziosi 660 punti in classifica, che gli permettono di accorciare a 520 quelli di distanza da Nadal.