William Carlos Williams, grande poeta americano del secolo scorso, parla della “rare occurrence of the expected” in ‘At Kenneth Burke’s place‘, il raro verificarsi del preventivabile che si sta verificando in Australia in queste settimane, con gli incendi che hanno devastato la costa orientale del Paese e messo a rischio lo svolgimento degli Australian Open per l’insalubrità dell’aria, guadagnandosi il dubbio titolo di tema più rilevante della manifestazione, forse per la prima volta non legata al gioco in sé, e spazzando via il famigerato nickname di “Happy Slam”.
Come denunciato, fra gli altri, dai nostri corrispondenti, la situazione a Melbourne è oltre la soglia d’allarme con mascherina d’obbligo, bambini e anziani invitati a non uscire di casa, e temperature che non scendono mai sotto i 30°C, tant’è che anche Novak Djokovic nei giorni scorsi si era espresso su un potenziale rinvio: “Credo che le cose dovrebbero migliorare, ma se non dovesse succedere e la qualità dell’aria dovesse essere compromessa a Melbourne o Sydney, credo che Tennis Australia dovrà creare delle regole specifiche in proposito. Ovviamente si tratta di decisioni molto difficili da prendere, c’è un programma da rispettare per l’Australian Open, ma la salute deve venire prima di tutto per quel che mi riguarda. […] Ovviamente se la situazione dovesse essere estrema si prenderanno in considerazione tutte le ipotesi, ma in questo momento credo si farà di tutto per rispettare il programma previsto”.
Va sottolineato che molte star sono state criticate per il proprio silenzio, a detta di alcuni fragoroso: il canadese Brayden Schnur, in particolare, ha attaccato Federer e Nadal durante il torneo di qualificazione (accusa poi ritirata), segnato da ritiri e malori dovuti all’aria irrespirabile, accusandoli di pensare solo alle proprie carriere mentre il mondo è in una condizione escatologica. La critica di fondo è che i fuoriclasse pensino solo al numero di Slam, quello che Schnur ha definito “la loro eredità”, non toccati da condizioni che influenzeranno solo chi non avrà il privilegio di campi con il tetto, e che non sfruttino la propria figura politicamente, magari boicottando il torneo come Cruijff e Breitner ai mondiali di Argentina ’78.
Sicuramente da parte dei giocatori l’input non è stato dei più decisi (e per Federer questa non è la prima critica su temi ambientali), ma allo stesso tempo lo Slam australiano, che continua a battere record di affluenza (780.000 biglietti venduti lo scorso anno) ed è agli inizi di un accordo televisivo quinquennale con Nine Entertainment da 346 milioni di dollari australiani, è, come tutti gli Slam, una questione di economia nazionale, e difficilmente presterebbe ascolto a rimostranze che non provengano dalla totalità del gotha tennistico, ma un novello Wimbledon 73 (l’edizione del grande boicottaggio per l’affaire- Pilić) non sembra un’opzione. I giocatori più in vista hanno nel frattempo cercato di fare la loro parte (forse anche per placare le polemiche, in misura minore), partecipando a un evento benefico, “Rally for Relief”, che ha raccolto quasi 5 milioni di dollari, mentre l’iniziativa “Aces for Bushfire Relief” della ATP Cup ne ha raccolti 725.000.
Ma veniamo al tennis giocato, che è in fondo ciò a cui ci si aggrappa, anche se l’escapismo dovrebbe forse lasciare spazio alle problematiche del reale.
a Pagina 2 la prima storia: i soliti Novak, Rafa e Roger