Christopher Rungkat è soprannominato “Il bandito”, ma parla in questi termini, non proprio banditeschi: “Ho deciso di cambiare le mie priorità. Metto Dio al primo posto, la famiglia al secondo e il tennis al terzo. Fino a qualche tempo fa il tennis occupava tutte e tre le posizioni“. Contraddittorio biglietto da visita di chi è stato numero uno d’Indonesia, ma comunque costretto a navigare nei bassifondi del tennis mondiale. Perché primeggiare in un Paese da 300 milioni di abitanti non garantisce in automatico competitività una volta varcati i confini.
Il trentenne di Giacarta, nella scorsa settimana, ha conquistato all’ATP 250 di Pune il primo trofeo della sua carriera nel circuito maggiore. In coppia con lo svedese Andre Goransson, è riuscito a superare nella finale del doppio Erlich e Vasilevski. “Da quando ho apportato alcuni cambiamenti alla mia vita – ha spiegato al sito ATP -, ho scoperto una pace interiore che mi permette di riposare meglio e accettare l’esistenza di cose che non si possono controllare. Mi sono sposato a gennaio e il matrimonio mi ha dato equilibrio. Il tennis ora è di nuovo divertente, anche quando non vinco“.
PARIGI 2008 – Fila tutto. Ma perché “Il bandito”? Nulla di romanzesco, a quanto pare. Ma solo la storia di una promessa del doppio in gran parte mancata. Perché Rungkat, da giovane, ha addirittura vinto il Roland Garros Junior del 2008 insieme a Henri Kontinen. Pare sia stato sempre bravo a recuperare punti improbabili nella spazzatura, andando a lottare su palle che altri giocatori avrebbero giudicato perse. Rubandosi, in qualche modo, giochi e set che sembravano già nelle mani degli avversari. “Il bandito”, semplicemente così. Nell’affascinante e confusionario universo del tennis asiatico, le sue gesta giovanili avevano innescato una (troppo) precoce designazione a successore di Leander Paes.
Per i colpi e per la capacità di integrarsi alla perfezione con il compagno di turno, valorizzandolo. Ma nonostante i successi a livello Futures, in Davis e ai Giochi asiatici, la consacrazione di Rungkat non è mai arrivata. “Mahesh Bhupathi da giovane mi disse che il talento non vale nulla, fin quando si vince un titolo ATP“. Parole che non hanno mai smesso di risuonargli in testa.
SALI E SCENDI – Rungkat, come tanti, si era fatalmente perso per strada. Infortuni, mancanza di risultati, sponsorizzazioni che venivano meno. “Devo molto ai gemelli Ratiwatana (doppisti thailandesi, ndr) per avermi insegnato non solo a giocare, ma anche a essere un professionista“, ha voluto precisare. L’ultimo giro sulle montagne russe è recente: tre titoli Challenger tra il 2018 e il 2019 conquistati in coppia con Jeevan Nedunchezhiyan, Cheng-Peng Hsieh e proprio Sanchai Ratiwatana, fino a raggiungere il best ranking nel doppio (69). Da giugno in poi, però, nove eliminazioni consecutive al primo turno (US Open compreso) che sembravano avergli fatto imboccare definitivamente il viale del tramonto alla soglia dei 30 anni. Il bandito, però, è caduto ancora in piedi.
Il “bandito” Rungkat realizza il suo sogno: in doppio a Pune il primo titolo ATP
L'indonesiano ha vinto in coppia con Goransson coronando il sogno di una carriera che sembrava promettere bene, dopo il successo al Roland Garros Junior insieme a Kontinen
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