Soltanto tre anni fa, Illya Marchenko raggiungeva i top-50 ATP dopo una fantastica cavalcata allo Us Open, un ottavo di finale culminato in una bella partita contro Stan Wawrinka, che da lì a poco avrebbe vinto il torneo. Da allora, la carriera dell’ucraino si è infilata in un tunnel di guai fisici che lo avevano portato a tanto così dal ritiro. “Se certi infortuni li avessi avuti dieci anni fa, mi sarei dovuto ritirare” sospira nella players lounge del Pala Agnelli di Bergamo, reduce da una gran battaglia che gli ha permesso di artigliare un posto in semifinale al Challenger di Bergamo (46.600€, Greenset). Sotto 7-6 6-5 e servizio contro il francese Baptiste Crepatte, si è detto di provare a lottare fino all’ultimo punto. A un passo dal successo, il francese ha annusato la possibilità di cogliere la prima semifinale Challenger e ha bruciato l’occasione. Illya ne ha approfittato e si è imposto col punteggio di 6-7 7-6 6-0.
Per un posto in finale (non prima delle 18.30, diretta sul canale Youtube del torneo) se la vedrà con un altro francese, il giovane Hugo Gaston, che nel primo match di giornata aveva superato Cem Ilkel. “È stato il miglior match della settimana, ho tenuto un ottimo livello a parte alcuni game, specie quando ho servito per chiudere il primo set – racconta l’ucraino – dopo averlo perso è stata dura mantenere la giusta mentalità, mi sono concentrato soprattutto sui turni di servizio ma sul 5-5 ho patito grande pressione e ho sbagliato quattro colpi, permettendo al mio avversario di andare a servire per il match”. A quel punto, la pressione si è riversata su Crepatte: per lui era la prima apparizione nei quarti di un Challenger, e l’ha pagata. “Nel terzo non era più le stesso giocatore, l’ho brekkato tre volte ed è calato fisicamente. Io non ero sicuro di reggere così a lungo, invece sono contento del modo in cui ne sono uscito”. Uscire dai guai è un po’ la specialità di Marchenko, specie dopo il calvario vissuto negli ultimi tre anni. Quando gli si fa presente la differenza tra la 49esima posizione del settembre 2016 e quella attuale (n.253) si lancia in un’accurata descrizione delle sue sventure.
Ricorda alla perfezione fatti e circostanze. “Quando ero top-50 ho avuto qualche piccolo infortunio, ma ero comunque rimasto tra i top-100. Poi ne ero uscito, ma avevo giocato bene a Wimbledon. Dopo quel torneo mi sono procurato uno strappo al menisco già operato. Mi dissero che avrei potuto operarmi, ma che se non avesse fatto toppo male avrei potuto andare avanti. Ok. Due settimane dopo, mentre giocavo le qualificazioni ad Atlanta, mi sono dovuto fermare per un’infiammazione alla spalla. Mi sono fermato un mese, mi sono sottoposto a una serie di iniezioni, ma quando sono tornato non stavo bene. A fine 2017 avevo anche vinto un torneo, poi mi sono storto la caviglia. L’anno dopo avrei dovuto giocare in Davis, ma mi sono sottoposto a una risonanza magnetica e mi hanno detto che l’operazione alla spalla era inevitabile. A quel punto mi sono fermato per diversi mesi, e il rientro è stato terribile”.
LA SOLITUDINE DI ILLYA – Ha dovuto perdere undici partite di fila prima di vincere qualche match. “Semplicemente ho avuto dolore per tutta la stagione, il servizio e il dritto non erano più gli stessi. Nel 2019 ho cambiato alcuni dettagli alla racchetta e anche le corde, ma ho continuato a giocare male. A metà anno, per fortuna, le cose sono migliorate e adesso ho di nuovo fiducia. Il controllo della spalla non è più lo stesso, ma almeno non ho più dolore. Sono contento del mio livello e credo di poter battere buoni giocatori”. A 32 anni e mezzo, con una moglie e un figlio, Marchenko è un giocatore ormai formato. Per questo, riesce a gestire la vita in solitudine. Cinque anni fa, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, si è trasferito in Slovacchia, dove si allena con Filip Havaj (già coach di Lukas Lacko e Rebecca Sramkova). In giro per il mondo, tuttavia, viaggia da solo.
“Prima abitavo a Donetsk, ma in Ucraina la situazione non è sempre sotto controllo. Viaggiare da solo? Scelta puramente economica: è meglio viaggiare con qualcuno, ma vengo da due stagioni di nulla ed è difficile trovare sponsor. Nessuno si aspetta che io possa fare grandi cose, ma ho la giusta esperienza per gestire la vita nel tour. Non è bello viaggiare da solo, ma nella mia situazione attuale è la cosa migliore. Non sono un grande fan della solitudine: è bello avere qualcuno con cui pranzare, che ti capisca, che creda in te. Un coach aiuta a migliorare, ma per me è complicato: non sono sicuro che tanti coach possano darmi qualcosa, perché ho le mie convinzioni e a 32 anni è difficile che un tecnico riesca ad abbatterle. Insomma, allenare un 32enne è diverso che farlo con un 20enne”. Parlare con Marchenko è piacevole perché ha una visione molto lucida su diversi argomenti. Per esempio, sullo stato di salute del tennis ucraino: molto bene tra le donne, un po’ meno tra gli uomini.
UCRAINA, UN PAESE “ROSA” –“Il nostro Paese non è ricco a sufficienza per preparare un tennista uomo. Preparare una donna è diverso: costa meno e iniziano prima ad alti livelli. Per questo, per uno sponsor è più facile investire. Io sono entrato tra i top-100 intorno ai 24 anni, un po’ tardi per gli interessi di un investitore. La situazione per i tennisti ucraini è complicata, ma ovviamente siamo orgogliosi dei risultati delle donne. Lavorano molto e si meritano tutti i successi”. Sul sito ATP c’è scritto che è diventato professionista nel 2006: quando gli chiediamo come è cambiato il tennis rispetto ad allora, tiene a fare una premessa. “Non mi piace che si dica così: l’ATP ti considera professionista quando ottieni il primo punto, ma per me non significa essere tale. Lo diventi soltanto quando inizi a guadagnare soldi. Per me, questo è arrivato molto dopo. Più in generale, le palle sono cambiate e Wimbledon è molto più lento. Dieci anni fa non era così. Ci sono tanti giocatori over 30 molto forti, ed è complicato batterli sul piano tattico. Ci sono molti più soldi in palio negli Slam e tutti vogliono arrivarci. In generale, come ogni cosa, tutto va meglio. I giovani di oggi sono più forti rispetto a quelli di un tempo, poi fisioterapia e riabilitazione hanno fatto passi da gigante. Adesso Federer, Nadal e Djokovic hanno ottenuto risultati che sembrano imbattibili, ma si diceva lo stesso anche di Sampras. Magari arriverà qualcuno più bravo”.
Dalla sua posizione attuale, Marchenko è sereno. Sa di aver fatto bene o male la sua carriera, quindi non ha fissato particolari obiettivi. “Tutti vogliono i top-100 ATP, ma io non ho pianificato niente. Non sarò deluso se non ce la farò, mi piace essere in grado di giocare e stare bene. La salute è la cosa più importante”. Sembrano quasi le parole di un giocatore prossimo al ritiro, invece sul campo mostra ancora una grande voglia. E non ha ancora le idee chiare su cosa fare quando si sarà ritirato. “Non ci ho pensato molto. Probabilmente farò l’allenatore, non so se in Ucraina o altrove. Ogni nazione ha pro e contro, dipenderà dalle offerte: dovrò essere pagato il giusto per vivere bene in un determinato paese. Per fortuna ho un bel vantaggio: mia moglie e mio figlio mi seguiranno, ovunque deciderò di andare”.
MARCORA SI FERMA SUL “MURO” COUACAUD – Non fosse stato per Marchenko, il torneo avrebbe avuto tre semifinalisti francesi. Nell’ultimo match della sessione pomeridiana, è terminata l’avventura di Roberto Marcora, sconfitto 7-6 6-3 da Enzo Couacaud. Nato alle Mauritius, il (quasi) 25enne francese ha rappresentato un vero e proprio “muro di gomma” per l’italiano. Aiutato dalla superficie piuttosto lenta, Couacaud ha messo in atto una fase difensiva notevolissima, costringendo Marcora a prendere 3,4,5 rischi per ogni punto. Nel primo set si arrivava al tie-break, poi Marcora sciupava un minibreak di vantaggio. E pensare che era stato lui l’unico ad aver avuto palle break nel parziale. Nel secondo, lo strappo arrivava al terzo game.
Un Marcora un po’ stanco dopo le fatiche delle scorse settimane le ha provate tutte per restare a galla, spinto dagli oltre 1000 appassionati in tribuna, compresi i suoi familiari. Per fare il punto, tuttavia, doveva fare molta più fatica del suo avversario e prendere troppi rischi. Restava a galla sul 2-4, in un game eterno, di ben 26 punti. Nel successivo aveva le ultime chance, tre palle break che avrebbero rimesso in discussione il tutto: Coaucaud le giocava tutte da campione, senza lasciare particolari rimpianti al lombardo. Persa l’occasione, si è disunito e ha chiuso con un doppio fallo. Per il francese, numero 208 ATP, un risultato meritato in virtù di un tennis davvero puntuale e una condizione atletica impressionante: ha rispedito al mittente gli assalti di Marcora con una naturalezza davvero sorprendente.
Non ci saranno italiani nelle semifinali. L’ultima speranza era affidata ad Andrea Arnaboldi. Il canturino ce l’ha messa tutta, ma non ha potuto nulla contro la baby-star Chun-hsin “Jason” Tseng, classe 2001 ed ex numero 1 junior. La sensazione è che fosse un’occasione irripetibile per battere il taiwanese, destinato a comparire in palcoscenici ben più prestigiosi, peraltro in tempi brevi. È finita 6-4 6-4 e sono bastati due break, uno per set, a sigillare il punteggio finale. Tseng ha l’aria del predestinato: in caso contrario, difficilmente un coach affermato come Patrick Mouratoglou lo avrebbe messo nella sua ala protettrice sin da ragazzino. Non è particolarmente alto, ma è dotato di un tennis di pressione davvero notevole, sublimato da un rovescio bimane che è in grado di giocare a occhi chiusi.
Nel primo set, lo strappo è arrivato già al primo game. Nel secondo doveva attendere l’1-1 per scappare via. E Arnaboldi? Ha giocato una buonissima partita, fatta di scambi mozzafiato e tantissime soluzioni spettacolari. Forse ha esagerato nell’accettare il dialogo da fondocampo, però non era facile togliersi dal bombardamento del taiwanese, comunque bravissimo a non farsi irretire dagli slice radenti di “Arna”, che peraltro ha anche cercato di “sporcare” la palla con il dritto. L’azzurro ha lottato fino alla fine e si è anche procurato qualche chance nell’ultimo game. Ha avuto tre palle break, ma Tseng le ha giocate da campione. Per certi versi, è sorprendente che un giocatore così forte sia ancora intorno al numero 300 ATP. Crescerà in fretta. In semifinale (non prima delle 20.30) sfiderà il francese Enzo Couacaud. Rimane un po’ d’Italia in doppio: il programma di sabato inizierà alle 16.30 con la finale tra Kolar-Ocleppo e Vavassori-Margaroli. Match intrigante, perché Andrea Vavassori e Julian Ocleppo hanno giocato parecchio insieme, vincendo ben tre Challenger prima di separare le loro strade: sarà curioso vederli uno contro l’altro.
L’intera programmazione delle ultime due giornate godrà della trasmissione in diretta su Youtube, sul canale ufficiale del torneo, ricalcando l’offerta predisposta da tornei molto importanti, come l’Australian Open (che offre su Youtube i propri play-off, e per anni ha trasmesso le qualificazioni).La finestra streaming è già stata predisposta ed è visibile a questo link.
Ufficio stampa ATP Challenger Bergamo