Come tutto il resto d’Italia anche Fabio Fognini è in quarantena forzata nella sua casa ad Arma di Taggia. L’azzurro ha la fortuna di poter condividere questo difficile periodo con la propria dolce metà, Flavia Pennetta, e con i due figli, Federico e Farah (tutti nomi rigorosamente con la “F”, come vuole la tradizione di casa Fognini). L’ultima nata ha poco più di tre mesi per cui, ovviamente, non si rende conto della situazione, mentre Federico che di anni ne ha quasi tre è pieno di energie e nonostante il giardino, a volte sente il peso della reclusione. Lo ammette candidamente Fabio che a Stefano Semeraro de ‘La Stampa’ ha raccontato le proprie tenere difficoltà di padre. “Ha tre anni, vorrebbe correre per il mondo. Provo a spiegargli che è un momento difficile, che non si può uscire. Non sempre ci riesco“.
Lui stesso in prima persona, come un po’ tutti, soffre questo difficile momento. Le giornate improvvisamente si dilatano e si presenta così l’occasione di rispolverare attività da tempo accantonate, non fosse altro che per dare un po’ tregua alla testa che viaggia a mille. “Di mio sono abbastanza ansioso, quando cala il sole mi incupisco un po’. È una situazione surreale, da film, quindi cerco di tenere impegnata la testa. In qualsiasi modo: ho carteggiato delle sedie e le ho passate con l’antiruggine, ho ridipinto un cancello. Cose che mi piace anche fare, ma per cui di solito non ho tempo“.
Spazio anche ad altro tipo di “dolenti note“, ovvero quelle professionali. Il mondo dello sport, enclave felice (il più delle volte) del “mondo vero”, è infatti anch’esso in stallo e i pochi che si muovono creano problemi. Il riferimento è ovviamente alla decisione, arbitraria e unilaterale, di spostare il Roland Garros a fine settembre, mossa che ha sorpreso e scontentato tutti dalle alte sfere dirigenziali ai giocatori. Fabio non fa eccezione e prende posizione in maniera piuttosto chiara. “Non sono d’accordo di giocare il Roland Garros solo una settimana dopo gli US Open. Capisco che serva per recuperare, ma è troppo vicino. Non parlo di me, ma per gente come Nadal e Djokovic, che arriva sempre in fondo, farsi quattro settimane di Slam in un mese non è salutare“.
L’eventualità che Nadal rinunci a New York per giocare a Parigi, non appare verosimile a Fabio. Diverso il caso di Roger invece, che si è sempre riservato molta libertà nel costruire la propria scaletta stagionale. “Non penso che Nadal lo farebbe. L’unico che può pensarlo è Federer, anche perché la Laver Cup è nello stesso periodo. Sono in contatto con l’ATP, so che stanno buttando giù idee per quando migliorerà. Ma non è semplice. Se continua così rischiamo di perdere tutto l’anno. Avevo già deciso che non sarei andato in Cina in ottobre, a prescindere dal contagio, non me la sentivo. Il calendario prevede gli USA, poi l’Oriente, poi di nuovo l’Europa, ma il problema è che la situazione è critica ovunque“.
Fognini è in contatto anche con molti giocatori e tutti sembrano essere dello stesso avviso: non si gioca a porte chiuse. “Ho sentito tanta gente quando l’ATP doveva decidere cosa fare. Feliciano Lopez, che è anche il direttore del torneo di Madrid, Stan Wawrinka, Grigor Dimitrov… Eravamo tutti sulla stessa lunghezza d’onda, nessuno voleva giocare. Neanche a porte chiuse. Perché gli sponsor contano molto, ma noi giochiamo per il pubblico e sono gli spettatori che tengono su i tornei. A spalti vuoti ho giocato la Davis a Cagliari: molto triste“.
Mentre il calcio sembra fortemente intenzionato a trovare un modo per finire il campionato, Fabio propone molta cautela. Meglio forse uno stop più lungo che una ripresa incerta e prematura, con l’aggravante del giocare senza pubblico. “Una cosa è finire il campionato, non metto becco. E capisco anche tutti i soldi che girano attorno al calcio. Ma quest’anno sarà tutta l’economia del nostro paese, non solo il calcio, che prenderà una bella botta. Io sono dell’idea che bisogna remare tutti dalla stessa parte. Le istituzioni decideranno, ma giocare a porte chiuse non è bello“.
Tra le tante difficoltà delle ultime settimane, l’azzurro si è risparmiato almeno l’inutile trasferta negli Stati Uniti, col rischio poi di rimanere bloccato nel limbo del “si gioca, non si gioca” come capitato a molti altri. “Sono l’unico che l’ha sfangata. Avevo deciso di prendermi un giorno di più, accompagnare la famiglia a Barcellona e partire da lì. Avevo il volo alle 5 di mattina. La sera prima Flavia stava stirando, io ero sul divano, le ho detto che andavo a riposare un po’ ma all’una e mezzo è suonato il cellulare: ‘Aspetta’. Poi è uscita la notizia che il torneo era stato cancellato. Ho avuto fortuna“.
A casa ora, Fabio, che per sua stessa ammissione non tocca racchetta dal 7 marzo (ovvero dal tie di Coppa Davis contro la Corea del Sud) si limita ad un’oretta al giorno di esercizi fisici. “L’obiettivo è non superare gli 80 chili: per ora tutto okay“. Le priorità comunque al momento non riguardano certo il tennis, non più. Il focus vero è un altro. “La salute: non solo mia, di tutta la mia famiglia. Il tennis mi ha fatto girare il mondo e guadagnare tanti soldi, ma ora l’ho messo in secondo piano“.