Nell’edizione 2000 della Coppa Davis, i quarti di finale si giocano nel week-end tra il 7 e il 9 aprile: l’Italia è già stata eliminata dalla Spagna (che dominerà quest’edizione perdendo appena tre punti in tutto il cammino) e le sfide sono Germania-Australia, Slovacchia-Brasile, Spagna-Russia e Stati Uniti-Repubblica Ceca.
La sfida più entusiasmante è proprio quella che si disputa in casa degli statunitensi, sul carpet indoor di Inglewood. Gli alfieri di punta del capitano John McEnroe sono nientemeno che Pete Sampras e André Agassi, già 18 Slam in due. La coppia di doppio è invece composta da Palmer e O’Brien. I cechi schierano invece come singolaristi Jiri Novak e Slava Dosedel e il doppista affiancato a Novak è David Rikl. A sorpresa – ma neanche troppo – gli ospiti si trovano in vantaggio 2-1 al termine delle prime due giornate d’incontri. Tocca proprio a Pete e André salvare la baracca, ma il primo dei due non sembra affatto in condizione tanto che il primo singolare contro Novak l’ha visto soccombere in tre set. André vendica il suo connazionale e fa 2-2, ma adesso è tutto sulle spalle di Pete.
Come se non bastasse al terzo game dell’incontro lo statunitense accusa un infortunio al quadricipite della coscia sinistra. A Inglewood inizia a serpeggiare aria di sfiducia. Sebbene Sampras sia un campionissimo non è mai stato un vero uomo-Davis e questo è il suo primo incontro “decisivo” in carriera. Non era mai sceso in campo per decidere un tie fermo sul 2-2. Al cambio campo subito dopo l’infortunio l’incrocio di sguardi tra Sampras e McEnroe è da copertina: John guarda il suo giocatore con l’aria di chi potrebbe strangolarlo se dovesse sentire le parole “devo ritirarmi“. In realtà Pete non ha la minima intenzione di lasciare il campo. Stringe i denti, vince il primo parziale, fa lo stesso nel secondo. Quasi si dimentica della coscia sinistra e trascina il terzo set al tie-break quando riesce finalmente ad alzare le braccia al cielo.
“L’adrenalina è la droga più potente. Quella e il supporto del pubblico mi hanno permesso di vincere questa partita. Anche se fossi durato soltanto tre Dosedel avrebbe dovuto battermi: non avevo intenzione di regalargli la partita“. Una carriera in cui ha più spesso dominato che sofferto hanno lasciato credere che Pete non fosse in grado di lottare. Quel giorno al “The Forum” di Inglewood ha dimostrato che anche un campione sa stringere i denti, quando serve.