L’emergenza Coronavirus dura in Italia da più di un mese e ogni istituzione ripete con insistenza la necessità di fare sacrifici, i quali in misura più o meno differente devono essere accettati da tutti. Anche dai 110 dipendenti FIT che da ieri sono stati messi in cassa integrazione. La decisione è stata subito impugnata dai sindacati, i quali hanno annunciato uno stato di agitazione di tutto il personale dipendente da CONI, ‘Sport e Salute’ e tutte le Federazioni Sportive nazionali, azione che ha lasciato apparentemente basiti i dirigenti FIT.
Nella dichiarazione congiunta di Fp Cgil, Cisl FP, Uilpa e Cisal Fialp si legge che durante la discussione per giungere ad un accordo, tutte le sigle “hanno manifestato forte contrarietà” verso questa decisione che, stando invece al comunicato ufficiale della FIT, sarebbe la diretta conseguenza della necessità di tutelare le risorse utili a sostenere tutte le società sportive in difficoltà. Partendo da questo punto di vista, secondo i vertici del tennis italiano la protesta imbastita dalle sigle sindacali “sembra riflettere la totale mancanza di considerazione per il quadro all’interno del quale la FIT ha preso le sue difficili decisioni“.
Il comunicato congiunto dei sindacati dipinge invece uno scenario totalmente differente e descrive la video conferenza tra il management della FIT e le rappresentanze sindacali come “un incontro surreale e oltremodo deludente, che ha reso fin da subito evidente la fredda determinazione con la quale una federazione sportiva decide di porre in cassa integrazione i propri dipendenti, senza tenere in alcun conto le rilevanti argomentazioni opposte nel corso della discussione“.
L’accusa principale che viene rivolta alla FIT riguarda l’incongruenza della scelta di richiedere lo strumento della cassa integrazione dal momento che è il CONI, con i contributi erogati alle federazioni, a farsi carico di questi stipendi: la FIT ha in cassa abbastanza soldi da continuare a pagarli, come tutte le federazioni. Se questi soldi in cassa non ci sono, si potrebbe supporre che siano stati utilizzati per altri scopi. Nello specifico, secondo quanto ufficializzato dal conto economico dell’esercizio 2018, la federazione tennis riceve circa 7 milioni dal CONI e ne utilizza 2,5 per pagare i dipendenti. Su un valore produttivo di circa 58 milioni.
Angelo Binaghi ha puntualmente specificato che l’87% del bilancio è frutto di autofinanziamento, in (larga) parte grazie agli introiti del Masters 1000 di Roma – che quest’anno rischiano di venire a mancare: si tratta di quasi 37 milioni – e in misura minore grazie a tesseramenti e tornei regionali. Questa esposizione finanziaria della FIT renderebbe necessario, secondo il presidente, il ricorso alla cassa integrazione. Nella giornata di venerdì, Binaghi aveva altresì parlato all’ANSA della situazione infelice del bilancio della Federtennis, definendolo “di guerra”. Per questa ragione è stata fatta una variazione di bilancio epocale. Sono stati revocati tutti i contributi agli atleti, dai ragazzi a giocatori tra il numero 100 e 200 dei ranking mondiali”. Resta ancora aperta la questione sul rimborso dei biglietti già venduti, i quali a prescindere dall’eventuale riprogrammazione del torneo costituiscono un ‘tesoretto’ attualmente presente in cassa.
A causa della sospensione del torneo romano è stato necessario ricorrere a tagli che hanno coinvolto anche gli stipendi di Corrado Barazzutti, capitano della nazionale di Coppa Davis, Sergio Palmieri, direttore degli Internazionali, Tathiana Garbin, capitano della nazionale femminile e Nicola Pietrangeli, ambasciatore nel mondo della federazione. Quest’ultimo ha commentato la riduzione del suo salario al ‘Corriere della Sera’ facendo sapere di esser stato preventivamente informato: “Binaghi mi aveva anticipato questo provvedimento specificandomi che si tratta di una cosa momentanea e non personale. Non c’è assolutamente nessuna polemica: speriamo soltanto che questo virus mascalzone possa andarsene presto.” Non sono rintracciabili ufficialità dell’eventuale decurtazione del compenso percepito da Lea Pericoli.
Tutto questo è stato necessario “per trovare le risorse necessarie a sostenere le nostre società sportive, senza le quali non ci siamo noi, non ci sono gli atleti e soprattutto non ci sono i 10mila istruttori di tennis che rappresentano la categoria più penalizzata”. Precedentemente, la FIT aveva già stanziato 3 milioni di euro in favore dei circoli affiliati. Binaghi stesso ha sottolineato che “siamo la prima, forse l’unica, federazione ad aver fatto immediatamente una manovra da 3 milioni di euro“. Questo primato però, del quale gli va riconosciuto il merito, si affianca a quello riportato in precedenza: la FIT è anche la prima federazione sportiva italiana a mettere in cassa integrazione i dipendenti.
Le decisioni prese dalle altre federazioni infatti non sono state così drastiche, almeno per il momento. La Federbasket di Gianni Petrucci aveva per prima annunciato il taglio degli stipendi ai collaboratori tecnici, mentre quella di rugby da ieri ha iniziato a tagliare compensi ai dirigenti per formare un fondo di oltre 1.5 milioni di euro per venire in aiuto delle società. Pallavolo e atletica invece sono ancora in fase di trattativa con i dipendenti per seguire l’accordo sindacale del 6 marzo che prevede smart working, smaltimento ferie e recupero arretrati.
Le scelte vanno però inquadrate nel contesto del potere finanziario di ogni federazione e del numero di dipendenti. Dal bilancio 2017 della FIPAV (federazione italiana pallavolo) si apprende un valore produttivo di circa 45 milioni – contro i 58 della FIT nel 2018 – con 84 dipendenti, laddove invece il personale a libro paga del gruppo FIT ammonta a 186 dipendenti, 26 quali impiegati da Sportcast (la società che gestisce Supertennis). Non si può fare a meno di notare che il delta dei dipendenti è molto più alto di quello che intercorre tra i due ‘giri di affari’.
A latere rispetto a quanto emerge da questa analisi, che pure è significativa, c’è la cifra del ‘risparmio’ che la cassa integrazione consentirebbe alla FIT: secondo il comunicato sindacale si parla di circa 350.000 euro. “Non si comprende perché il suo management si ostina a voler risparmiare poche centinaia di migliaia di euro quando il costo ordinario del personale risulta quasi interamente a carico delle finanze pubbliche“. Visto da questo punto di vista, il ricorso alla cassa integrazione potrebbe essere interpretato come un aggrapparsi a una ulteriore sovvenzione pubblica che si va a sovrapporre a quella già percepita a mezzo dei contributi CONI. Sempre secondo le sigle sindacali, tutto questo non può non “sollevare seri dubbi sulla liceità del ricorso a simili forme di integrazione salariale”.
Ha collaborato Alessandro Stella