Scartabellando vecchi appunti, vecchie idee e pezzi mai pubblicati per un motivo o per un altro, ci siamo imbattuti in questo articolo scritto da un nostro collaboratore sul finire della stagione 2017. Ha (ri)catturato la nostra attenzione sia per il tema – si parla di viaggi, in un momento in cui quasi nessuno nel mondo ha la possibilità di spostarsi, figurarsi per giocare a tennis – che per il suo intento, quello di raccontare la difficile e chimerica rincorsa verso i grandi palcoscenici del tennis. Abbiamo deciso di pubblicarlo così com’era, perché ci sembra una bella storia da raccontare oggi. Un bell’inno di speranza, anche se velato di tristezza. Se qualcosa è stato superato dagli eventi, ricordate che il pezzo è stato scritto a ottobre 2017. Buona Pasqua a tutti.
La strada per realizzare il sogno di diventare un tennista professionista è davvero molto lunga, tortuosa e solitaria. L’immagine romantica del giocatore che gira il mondo visitando posti esotici, inseguendo l’estate e facendo la bella vita con il borsone delle racchette in spalla sembra ormai un miraggio… almeno per la maggior parte di quelli che provano a diventare professionisti.
La vita di un tennista che naviga nell’inferno del circuito Future prima e di quello Challenger poi – sperando che si tratti solo di un trampolino di lancio destinato a non durare troppo a lungo – è in un certo senso affascinante, ma è prima di tutto rischiosa. Lo è sicuramente dal punto di vista della salute. Agli appassionati “indie” di questo sport, desiderosi di scoprire i nuovi nomi del tennis internazionale, non saranno sfuggite le località predilette dai nostri giovani portacolori per quanto riguarda i Future, oltre ovviamente a quelli organizzati in Italia (circa 30 all’anno): Tunisia, Israele, Turchia ed Egitto sono le destinazioni che vanno per la maggiore. Le città dove si tengono questi tornei sono comunque piuttosto lontane dalle zone politicamente a rischio. Hammamet ad esempio, una delle mete turistiche principali della Tunisia, si trova nella parte nord del paese, mentre le aree più “movimentate” sono quelle più vicine ai confini. Da qualche anno ospita decine di Future che si svolgono presso l’hotel quattro stelle Sentido Phenicia, un luogo dunque rinomato e piuttosto sicuro.
Ci sono poi alcuni coraggiosi che scelgono mete ancora più lontane e forse più improbabili. Uno di questi è Alessandro Bega, classe ’92 numero 329 del mondo, che a maggio ha deciso di giocare tre tornei con 25.000$ di montepremi ad Abuja, capitale della Nigeria. Altri invece, in particolare Davide Galoppini, Fabrizio Ornago e Alessandro Petrone (tutti con una classifica intorno alla 600esima posizione) a giugno sono andati in Sri Lanka per giocare due future da 15.000$.
Impossibile nascondere il fascino che deriva dalla possibilità di viaggiare, entrando in contatto con culture diverse, facendo quello che più si ama – anche se il tempo da dedicare al ‘turismo’ è molto limitato – e incamerando esperienze di vita che potrebbero tornare utili anche in campo. Allo stesso tempo dal punto di vista della salute balzano alla mente alcuni rischi soprattutto legati al cibo e ai virus con cui è possibile venire a contatto. A molti di voi lettori sarà forse capitato di andare anche solo in villeggiatura in alcuni di questi paesi esotici e di beccarsi una piccola intossicazione alimentare, semplicemente perché il nostro corpo non è abituato a certi alimenti o ai modi di trattare e conservare il cibo di questi luoghi (sebbene nella maggior parte dei casi i tornei vengano disputati in hotel di un certo livello), dove le norme igieniche sono meno rigide rispetto alle nostre.
Come detto c’è anche il rischio di giocare in paesi turbati dallo svolgimento di conflitti, ma in fin dei conti è un rischio incalcolabile, imprevedibile. Inoltre per essere ancor più fatalisti, in questo particolare momento storico abbiamo imparato quanto trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato sia la reale cifra del pericolo in molti casi, e ciò può succedere ad Abuja o Hammamet, così come a Londra, Parigi o Barcellona.
La risposta alla domanda iniziale “ne vale la pena?”, ancora prima che per la questione della salute, passa inevitabilmente attraverso il filtro dei calcoli economici. Prendiamo ancora una volta come esempio Bega – sperando che ci perdoni per avergli fatto i conti in tasca. In tutti e tre i tornei, il milanese ha ottenuto i quarti di finale (perdendo sempre da giocatori inferiori a lui in classifica) che corrispondono a un totale di circa 1900€, a cui vanno aggiunti altri 1200€ che ha incassato con il doppio (due finali, una vinta e una persa in coppia con il giovane norvegese Durasovic, un quarto di finale insieme a Krstin).
Da questi Bega dovrà detrarre tutti i vari costi, a partire dalle tasse ovviamente, ma anche il volo, i pasti, le incordature, il fisioterapista ecc.. In questo caso non ha dovuto pagare l’alloggio poiché si trattava di tornei che offrivano l’ospitalità. Facendo un giro sui più famosi motori di ricerca di voli si scopre che, prenotando con tre mesi di anticipo (ma non sempre l’imprevidibilità della stagione tennistica lo consente), il costo andata e ritorno da Milano Malpensa ad Abuja va dai 550€ ai 600€, mentre un pasto a buon mercato può costare dai 3€ ai 5€. Insomma una scelta oculata quella dell’allievo di Laura Golarsa che forse non avrà guadagnato quanto sperava, ma potrebbe non averci perso troppo e, stando a quanto dicono i giocatori, è già un risultato.
Se però guardiamo i punti ATP che ha messo in cascina, Bega probabilmente non sarà estremamente soddisfatto: un bottino totale di 12 punti – 4 per ogni quarto di finale raggiunto – che, considerando quelli in uscita, non sono poi un granché. In fin dei conti il motivo per cui i giocatori scelgono le destinazioni più remote del globo è per cercare di ottenere “punti facili” (poiché il livello è più basso rispetto a quello dei future italiani), così poi da poter entrare nei tabelloni dei Challenger e quindi guadagnare di più e costruirsi un ranking migliore.
Che dire dunque di Ornago, Galoppini e Petrone che hanno scelto dei tornei con montepremi da 15.000$ senza ospitalità, e forse sapevano già che non sarebbero riusciti a trattenere troppo nelle loro tasche, a meno di arrivare sempre in fondo. Uno di loro ci è riuscito: Petrone ha infatti sfiorato la vittoria del secondo dei due tornei disputati – perdendo 7-6 al terzo contro la quasi ex promessa del tennis spagnolo Carlos Boluda-Purkiss – mentre nel primo aveva purtroppo perso al primo turno. Con i suoi 1255€ e 10 punti ATP Petrone è stato il migliore dei tre; dal punto di vista della classifica può essere soddisfatto (nuovo best ranking: 548), mentre da quello economico difficile che sia riuscito a pareggiare i costi, molto simili a quelli calcolati in precedenza per il viaggio di Bega in Nigeria, con la differenza che l’alloggio non era compreso. Galoppini e Ornago hanno avuto meno fortuna: il primo lascia lo Sri Lanka con 522€ e 2 punti ATP frutto di un quarto di finale e un primo turno (quest’ultimo viziato dal ritiro del livornese nel terzo set); il secondo, che è rimasto poi per disputare un terzo Future, nelle prime due settimane ha intascato 800€ e 6 punti ATP.
D’altro canto però rimanere in Italia non è poi così conveniente come sembra. Il “circuito” di Future combined che si tengono al Forte Village di Santa Margherita di Pula in provincia di Cagliari garantisce al nostro paese un numero molto alto di tornei, molto simile a quello di paesi con ben altre dimensioni e strutture come gli Stati Uniti. Allo stesso tempo una notte in una singola al Forte Village per gli atleti costa 100€; se invece si decide di alloggiare al di fuori della struttura nel tentativo di risparmiare sul costo dell’alloggio, i giocatori sono costretti a pagare cifre esorbitanti solo per parcheggiare la propria vettura e per entrare nel resort, pareggiando così i costi di una stanza.
Se il sacrificio economico è quantificabile, quello che prevede la lontananza dalla famiglia, dagli amici, in giro per il mondo in solitudine per la maggior parte dell’anno, non è di certo stimabile con qualche cifra. Investire su se stessi per diventare tennisti professionisti non significa soltanto spendere migliaia di euro all’anno, ma anche sapersela cavare da soli in situazioni non necessariamente legate al tennis, cosa che invece non succede negli sport di squadra dove la società di appartenenza si occupa di molti aspetti della vita del giocatore, anche extrasportiva.
Qualche piccolo passo in avanti per migliorare le condizioni di questi atleti solitari è stato fatto, a partire dall’abolizione dei future da 10.000$, così come la creazione dei 25.000$, fino all’aumento dei montepremi nei primi turni degli Slam. D’altronde i soldi sono il discrimine principale per continuare a cullare questo sogno. Dal 2019 in poi le cose cambieranno ulteriormente con la drastica riforma dell’ITF che ridurrà il numero dei giocatori professionisti a 750 uomini e 750 donne, creando un nuovo circuito per i giovani, chiamato Transition Tour. (la riforma sarebbe stata poi abolita, ndf – dove ‘f’ sta per futuro!).
Se il gioco vale la candela? Al momento questa è l’unica strada per realizzare il sogno dei grandi palcoscenici. Bega e gli altri sono solo alcuni dei tanti esempi ed è grazie al grande spirito di sacrificio e alla voglia di arrivare in alto di questi ragazzi che il tennis esiste.