Dopo la decisione della FIT di mettere in cassa integrazione 110 dipendenti e la replica dei sindacati, che hanno precisato di non aver mai avallato questa scelta, sul portale della federazione italiana è comparso un nuovo comunicato volto a sostenere la legittimità del ricorso al ‘Fondo Integrazione Salariale’ messo a disposizione dal governo.
Nel comunicato viene prima contestata “l’eticità di una protesta che mira a difendere alcune decine di lavoratori dipendenti già ampiamente tutelati dalla legislazione del lavoro e dagli ammortizzatori sociali” e successivamente smentito l’assunto delle sigle sindacali, secondo cui i contributi che Sport e Salute eroga alle federazioni sportive (FIT ha ricevuto circa 7 milioni nel 2018) sarebbero destinati alla copertura integrale del costo ordinario dei dipendenti. La federazione tennistica, però, sostiene che le cose non stanno più così.
FIT ritiene errata la posizione dei sindacati in quanto basata su criteri di assegnazione dei contributi che dall’anno in corso sono stati modificati per “incentivare l’obiettivo dell’efficientamento della struttura operativa federale” e dunque “non fanno più riferimento specifico alla copertura del costo del personale“, si legge nel comunicato che cita una delibera di Sport e Salute del dicembre 2019 (ne potete leggere uno stralcio qui). In sintesi, i soldi che Sport e Salute eroga annualmente alle federazioni sono semplicemente ‘a premio dei risultati sportivi’ e vengono incassati da organizzazioni che, FIT ci tiene a precisare citando sempre la suddetta delibera, ‘hanno natura totalmente privatistica‘ e di conseguenza ‘piena autonomia gestionale‘.
In chiusura del comunicato, FIT sostiene che ‘la tesi dei sindacati sarebbe insostenibile anche se valessero ancora i vecchi criteri‘ poiché il contributo statale, sulla base della situazione economica del 2020, coprirebbe solo l’81% dei costi del personale. Il ‘risparmio’ generato dal ricorso al FIS (fondo integrazione salariale, ovvero la cassa integrazione) sarebbe stimabile attorno al 10% del totale e lascerebbe comunque alla FIT un onere di spesa superiore a quanto sarebbe accaduto con i vecchi criteri di erogazione dei contributi.
CONCLUSIONI – Da un lato ci sono le dichiarazioni di Vito Cozzoli, presidente di Sport e Salute, che pur invitando Binaghi e la FIT ad ascoltare le parti sindacali prima di procedere con la cassa integrazione, non ha espresso una condanna netta. Trattandosi del numero uno dell’organismo che nei fatti decide in che termini le federazioni debbano utilizzare i contributi erogati, la sua posizione sfumata lascia emergere come il ricorso alla cassa integrazione non abbia vizi di legittimità, semmai soltanto di opportunità. In soldoni, FIT ha diritto a prendere la decisione che ha preso. Si può soltanto discutere del fatto che sia più o meno giusto, più o meno opportuno farlo – ancor più in questo momento.
Dall’altro lato c’è l’inconciliabilità di ciò che viene dichiarato da FIT e sindacati. La federazione sostiene che la riunione del 9 aprile abbia avuto una ‘serena conclusione’, le sigle sindacali che invece non sia stato raggiunto alcun accordo, né tantomeno un accordo per la cassa integrazione dei dipendenti. Appare ovvio che la verità non può stare da ambo le parti. Una volta assodata – e al momento sembra così – la stretta legittimità della scelta della federazione, il piano di discussione si sposta su quanto la FIT possa aver ‘forzato’ la mano anche in assenza di accordo con i sindacati, il cui compito rimane la tutela dei diritti dei lavoratori.
A.S.