Behind the Racquet, il blog di Noah Rubin in cui i tennisti possono raccontare sé stessi al di là delle loro maschera di atleti, ci ha regalato storie talvolta molto diverse tra loro e talvolta estremamente toccanti. Quella di Roberto Bautista Agut è senza ombra di dubbio densa di dramma e tragedia personale e, allo stesso tempo, di una forza di volontà ammirabile. La stessa che si scorge ogni volta in cui va in campo per misurarsi con avversari spesso dotati di maggior potenza e atletismo di lui.
Per avere la meglio su di loro, Bautista sa che ci deve mettere tanto cuore e testa. Due qualità innate, ma che si possono forgiare e affinare grazie anche alle esperienze vissute, agli ostacoli che la vita ti mette davanti. E la sorte con lui, ultimamente, è stata oltremodo severa da quel punto di vista, andando a colpire le due persone forse più importanti nella vita di ogni individuo, quelle che non ti puoi scegliere e quelle che spesso fanno di te ciò che sei, il padre e la madre.
Tutto è iniziato nel 2016, giusto quattro anni fa. Roberto all’epoca era stabilmente in top 20, un risultato raggiunto al termine di un processo di maturazione particolarmente lungo. Lo spagnolo era testa di serie in tutti i tornei più importanti del mondo, gli Slam e i Masters 1000. Quell’anno disputò anche le sue prime e finora uniche Olimpiadi, a Rio de Janeiro, sfiorando l’opportunità di andare a medaglia, fermato da Juan Martin del Potro ai quarti di finale. Il 2016 è anche l’anno della sua prima e unica finale in un Masters 1000, quella a Shanghai contro Andy Murray.
Una stagione molto positiva dal punto di vista professionale, insomma. Lo fu molto meno da quello personale. Proprio nel 2016 infatti, il padre Joaquin, di professione dipendente in banca, mentre si dedicava alla cura dei cavalli – la grande passione di famiglia – cadde e rimase paralizzato. Non poteva più muovere né il torso, né le gambe, né le braccia. Una vita distrutta. “Era diventato tetraplegico, non poteva muovere nulla dal collo in giù. Ha avuto bisogno di una macchina per respirare finché non è riuscito a farcela da solo. Due persone, oltre a mia madre, si occupavano di lui 24 ore al giorno”, ha raccontato Baustista Agut.
La seconda tappa di questa via crucis personale è stato il 2018. Una stagione iniziata benissimo per Roberto con i titoli ad Auckland e Dubai, ma che non proseguì altrettanto bene e si concluse con un record di 33 vittorie e 20 sconfitte. La perdita più pesante fu però quella della madre, Esther, una figura diventata ancora più essenziale nella sua vita dopo l’incidente al padre. “Ero ad allenarmi nel mio club. Dopo l’allenamento ho ricevuto una chiamata. Mia mamma si era addormentata e non si era più svegliata. Era tutto completamente inaspettato. Aveva solo 52 anni. Ma era molto stressata dal doversi prendere cura di mio padre. Lui era fermo a letto nell’altra stanza quando lei è morta”, ha proseguito il tennista di Castellon de la Plana.
Oltre alla scomparsa di una figura di riferimento, è venuta a mancare anche la persona che assisteva più da vicino un padre non più autonomo. Altri avrebbero potuto mettere da parte i loro interessi personali per prendersi cura dell’unico genitore rimasto. Ma un atleta di alto livello ha degli orizzonti diversi dal resto della popolazione. Sa che la sua carriera durerà una quindicina di anni e ogni stagione va sfruttata appieno. Soprattutto se hai trent’anni e hai faticato tanto per arrivare ai vertici. “Quando mia mamma se n’è andata, la responsabilità è ricaduta tutta su di me e su mia moglie. Mi allenavo e poi usavo il mio tempo libero per stare con mio padre, all’ospedale o a casa. Sapevo di non poter interrompere la mia attività, non potevo smettere di giocare. E allo stesso tempo dovevo aiutare mio padre. Non avevo idea di quanto costassero i trattamenti o le operazioni a lui necessarie”, ha raccontato ancora il n.12 al mondo.
Bautista Agut non ha mai smesso di giocare. Anzi, ha continuato a lavorare sempre più duramente per diventare un tennista sempre migliore. Per entrare tra i migliori 10 al mondo. Cosa che gli è riuscita alla fine del 2019, in una stagione che lo ha visto anche approdare in semifinale a Wimbledon. Traguardi raggiunti nel nome di due genitori che hanno fatto di tutto affinché i suoi desideri potessero realizzarsi. “Questa è stata la mia maniera di onorarli. Durante questo periodo terribile ho giocato il mio miglior tennis. Ero lì per la mia famiglia, per quanto possibile, ma sapevo che non potevo buttare via tutto quello per il quale avevo lavorato durante la mia vita. Non ho mai mollato”, ha sottolineato l’iberico.
Durante le finals di Davis del 2019, di scena a Madrid, con la Spagna data da molti come la favorita, gli è giunta la notizia dell’aggravarsi delle condizioni del padre, vicino alla morte a un anno di distanza dalla dipartita della consorte che lo aveva accudito quando era rimasto paralizzato. Il padre, poche ore dopo, è deceduto.
Bautista lasciò i compagni. In tanti pensavano che non sarebbe più tornato, distrutto dal dolore di questo altra disgrazia familiare. Senza di lui la formazione iberica aveva perso quel secondo singolarista in grado di alleggerire il gravoso peso sulle spalle di Rafa Nadal. Senza di lui le chance di una vittoria tra le mura di casa nella prima edizione nuova Davis diminuivano drasticamente. Ma Bautista, da mesi e mesi, giocava e vinceva non solo per sé stesso ma anche per i suoi genitori. “È successo durante l’ultima sfida contro il Canada. Sono riuscito a stare con lui nei suoi ultimi atti di vita e poi avevo un match 24 ore dopo. Era quello che voleva che io facessi”. Quel singolare, contro Felix Auger Aliassime, come ben sappiamo, lo ha portato a casa, spianando la strada alla vittoria della sua squadra.
“Queste difficoltà mi hanno reso più forte. Mi hanno dato una forza che altri non hanno. Mi hanno reso più concentrato e motivato. Ho dato tutto per dimostrare a mio padre e mia madre che i loro sacrifici sono serviti a qualcosa”. E immaginiamo che Joaquin e Esther sarebbero fieri di Roberto se fossero ancora in vita.