Roberson reclutò arbitri per le sue scuole di addestramento a Dallas, Parigi, Sydney, e Hong Kong. Nel 1980, il numero di ufficiale formati e certificati scollinò le 100 unità, stando a quanto riportato dal Christian Science Monitor, che li chiamo “gli ispettori generali del tennis”. Muovendosi all’interno del circuito, Roberson assunse tre supervisori per dargli una mano, fra cui il danese Kurt Nielsen, finalista a Wimbledon nel 1955. Insieme cercarono uomini e donne che fossero in grado di far rispettare un nuovo codice di condotta. Nel frattempo, Roberson convinse l’establishment di vari Paesi (USA, Australia, Regno Unito, e Francia) ad adottare i suoi metodi, e presto altre nazioni fecero altrettanto.
Una delle sue prime reclute, Rich Kaufman, un giudice di linea dal nord-ovest degli Stati Uniti che viveva in Inghilterra, si guadagnò la sua fiducia, e fu scelto per arbitrare la finale maschile di Wimbledon 1983. Kaufman divenne poi il Chief Umpire dello US Open.
A uno dei primi incontri, Kaufman ricorda di essersi distratto. Roberson reagì enfaticamente: “Stavo ascoltando senza prestare troppa attenzione, e Roberson mi afferrò per il bavero chiedendomi, ‘Rich, ho la tua attenzione adesso?‘ Aveva in mano un foglio di carta, su cui erano scritte una decina di cose. Io risposi, ‘Certo, Dick. Certo, signore’.Lui continuò a tenermi per il bavero, non troppo stretto, ma abbastanza da farmi stare attento. Allora iniziò ad elencare 8-9-10 cose su cui voleva che mi concentrassi per la partita successiva. Alla fine mi chiese, ‘Allora, hai capito?’ e io risposi, ‘Certo, signore’. Lui disse, ‘OK, allora sarai il prossimo ad andare in campo, cerca di non fare errori’“.
Brian Earley, che ha lasciato la posizione di Chief Referee dello US Open nel 2018, considera vitale il ruolo di Roberson nel rendere la condotta del gioco più professionale nell’universo ristretto dell’arbitraggio tennistico. “Era noto per la sua equanimità, e anche per la sua abitudine di condividere le sue idee sul Codice di Condotta con i colleghi, che poi riferivano agli arbitri e ai giudici di sedia. Ed era anche un grande sostegno per i giudici di sedia, perché capiva che il principio dell’over-rule era necessario“, ha detto Earley in un’intervista del 2011 con il New York Times.
Era necessario che i giudici di sedia avessero l’autorità di cambiare le decisioni dei giudici di linea, così da poter correggere eventuali errori. Roberson spinse per avere un approccio uniforme da questo punto di vista, ha detto Earley.
“Fu lui a dire, ‘OK, facciamo questa cosa allo stesso modo. Ci sono molti modi diversi per farlo e voi potete decidere qual è quello più giusto, ma facciamolo tutti allo stesso modo‘. Dick Roberson ha rappresentato il vero inizio dell’arbritraggio professionistico“, ha detto Phyllis “Woodie” Hoffman, 84 anni, che ha lavorato per 46 anni allo US Open, iniziando come giudice di linea e andando in pensione nel 2014 da Chief Umpire. “Roberson è la cosa migliore che sia mai capitata [allo US Open”, ha detto al New York Times.
Sedici mesi fa, allo US Open 2018, il concetto di arbitraggio professionistico ha affrontato il più grande test degli ultimi anni. Durante la finale femminile, una furente Serena Williams e uno zelante giudice di sedia, Carlos Ramos, sono rimasti coinvolti in una disputa aspra e tesa.
L’accesso di rabbia di Williams, in cui ha dato del ladro e del bugiardo a Ramos mentre continuava a pretendere le sue scuse, è avvenuto in un tono iroso che è stato sentito da milioni di fan di tutto il mondo. La scenata ha portato a una serie di scambi verbali che hanno di fatto chiuso il match, lasciando attonito l’universo tennistico come poche volte in passato.
Il casus belli fu l’accorgersi da parte di Ramos che il coach di Williams [Patrick Mouratoglou, Ndr] le stesse mandando dei segnali dal box. Williams, che sembrava inconsapevole delle indicazioni ricevute, esplose d’indignazione. Dopo ripetute proteste, le furono comminati dei penalty points come da regolamento. Presto si trovò ad affrontare dei match point, troppo tardi per recuperare. Williams cadde, battuta da Naomi Osaka.
Arrivarono condanne da tutte le parti. La presidentessa della USTA, Katrina Adams, criticò Ramos per la sua inflessibilità, per poi rivolgergli delle scuse un po’ flebili, che fecero infuriare tutti i giudici di sedia e di linea. Un arbitro di lungo corso esclamò che Adams aveva lanciato Ramos e i suoi colleghi “in pasto ai lupi”.
Roberson concordò con l’arbitro, e respinse un’accusa parallela di Williams, che si chiese in pubblico se per caso lei e altre donne non stessero venendo trattate ingiustamente, e sottoposte a uno standard più rigido rispetto a quello degli uomini. Al picco della controversia, un’editoriale del New York Times uscì con il titolo “Serena Williams fa la domanda giusta al momento sbagliato”.
Secondo Roberson, il tennis femminile adottò lo stesso standard sui comportamenti anti-sportivi negli anni 70, nonostante le donne avessero notoriamente un atteggiamento più consono. “Fino ad allora“, ha scritto a World Tennis Gazette, “il tennis femminile non aveva lo stesso problema di quello maschile. La WTA non aveva bisogno di occuparsi della condotta delle giocatrici. Non c’erano ‘bad women‘”. La tecnologia di Occhio di Falco ha sicuramente dei meriti per la relativa tranquillità del tennis odierno, avendo drasticamente diminuito il numero di discussioni legate a chiamate dubbie che una volta esplodevano fra giocatori e arbitri.
Roberson si prende – giustamente – il merito per aver creato un sistema di regole e certificazioni per gli uomini e le donne che tengono i punteggi e governano le chiamate in tutto il mondo. Dalla sua casa di Phoenix, dove trascorre la pensione, Roberson scrive: “Il mio programma è ancora in uso, con giusto qualche modifica nella formazione degli arbitri di campo. Il comportamento dei giocatori è sotto controllo, così come l’integrità del gioco, gestita da arbitri formati come si deve“.