Questo articolo è stato pubblicato tre anni fa; viene riproposto oggi con delle piccole integrazioni
Ricordate la Battle of Surfaces? Sì, esatto, quell’evento mediatico del maggio 2007 in cui i due giocatori più famosi – grossomodo – del sistema solare si scontrarono in un rettangolo di gioco diviso in due metà campo di superfici differenti: una in terra battuta, il terreno di conquista di Rafael Nadal, una in erba, il giardino preferito di Roger Federer. Furono necessari 19 giorni e oltre un milione e mezzo di dollari per preparare il campo di gioco. Si trattò con buona approssimazione della prima partita di tennis giocata su due manti diversi, e siccome si giocava a Palma di Maiorca finì per vincere il padrone di casa. La trovata mediatica aveva un’origine abbastanza evidente. Federer non perdeva un incontro su erba da cinque anni e Nadal aveva una serie – ancora in corso – di 72 vittorie di fila sulla terra battuta. Robetta.
Sì, ma tecnicamente non si trattava della prima partita di tennis disputata su due superfici diverse. C’era stata una finale, ben 26 anni prima, che aveva deciso il vincitore del British Hard Court Championships 1981. Il torneo si disputava a Bournemouth, Inghilterra, su campi in terra battuta; gli stessi che avevano ospitato il primo torneo dell’Era Open. Ma quel 26 aprile il meteo decise che a tennis non si sarebbe giocato, o che comunque sarebbe stato molto complicato riuscirci. La finale tra il paraguaiano Victor Pecci e l’ungherese Balzs Taroczy iniziava ufficialmente su terra battuta, o meglio, su terra battuta condita con neve, per poi concludersi sul carpet indoor. Fuori non si poteva decisamente più giocare.
I giocatori abbandonarono il campo circondato dalla neve al termine del nono game del primo set, quando persino la pioggia aveva deciso di imperversare, scegliendo di comune accordo di proseguire l’incontro al coperto per evitare il rischio di portare la finale al giorno successivo. La superficie però sarebbe cambiata, non c’erano a disposizione altri campi in terra nelle vicinanze. Taroczy, l’ungherese, era sicuro di sé. “Il mio avversario dovrà cambiare modo di giocare, inoltre io ho un ottimo record indoor“. Ovviamente, come spesso accade quando le bizzarrie si impossessano dello sport, a vincere fu l’altro, Victor Pecci. “Per carità, vorrei anche tornare il prossimo anno a difendere il titolo, amo giocare sulla terra, ma se il clima sarà di nuovo come quest’anno ci penserò su seriamente“. Si presentò ai nastri di partenza l’anno successivo, da testa di serie n.2. Perse al primo turno.
Victor Pecci, quello che una volta faceva brillare al sole dei campi il suo orecchino di diamante, ha avuto la sua discreta carriera. Due anni prima di questa bizzarra finale raggiunse l’ultimo atto del Roland Garros, sconfitto ovviamente da Borg, e due anni dopo avrebbe vinto l’ultimo dei suoi dieci titoli (nove dei quali sulla terra, tra i quali conteggiamo quello di Bournemouth; anche se…) a Viña del Mar. A carriera professionistica ben conclusa, ricoprirà il ruolo di ministro dello sport nel governo del Paraguay.