A volte la scintilla per scrivere un pezzo può scoccare a partire dalla segnalazione di un utente. Anche per questo ci piace l’idea di nutrire – e quindi essere nutriti da – una community costruttiva, al cui interno il dibattito sia tanto stimolante da stimolare talvolta anche gli appetiti redazionali. Per questo ringraziamo l’imbeccata di Unforgiven79, che qualche giorno fa (in calce a questo articolo sui videogiochi di tennis) ha citato le dichiarazioni Augustin Pichot, candidato alla presidenza di World Rugby – l’organo di governance internazionale della palla ovale.
Secondo l’ex rugbista argentino, “gli E-sports sono cruciali per sviluppare il nostro sport, non solo in tempi come questi – ci auguriamo che non capiti di nuovo – ma in generale, vederci giocare i nostri atleti sarebbe grandioso. Vedo i miei figli e realizzo l’importanza degli E–sports per le nuove generazioni. Tutti i principali mercati sportivi sono connessi con un gioco digitale, un mezzo potentissimo per attrarre un pubblico giovane”.
A conferma del fatto che queste affermazioni non sono soltanto molto condivisibili, ma anche estremamente applicabili al tennis, ci viene in soccorso un passaggio dell’intervista rilasciata da Andrea Gaudenzi, a cui oggi spetta l’onere di tenere a galla l’ATP. “I nostri competitor non sono soltanto gli altri sport, ma tutte le piattaforme di entertainment. Oggi competi con il tempo, il portafoglio e l’attenzione della gente“. Questo brillante ammonimento fa da corollario al proposito – di cui è permeata tutta l’intervista – di trascinare il tennis con tutte le scarpe nell’era del ‘direct to consumer’, ovvero l’epoca in cui la distribuzione classica del contenuto basata sugli intermediari sta lasciando il posto alla distribuzione diretta al consumatore. Che sceglie esattamente quello che gli interessa, senza che sia il palinsesto di un canale televisivo a decidere per lui. Il problema è che oggi può scegliere tra tantissime cose, tutte accessibili con relativa facilità.
Mettiamola così. Se oggi abbiamo un po’ di tempo libero in più rispetto a trent’anni fa (ci spostiamo più rapidamente, spesso possiamo lavorare da casa, in generale curiamo di più la nostra routine extra-lavorativa), abbiamo anche tante opportunità in più per occuparlo. Queste opportunità aumentano ulteriormente al diminuire dell’età del consumatore, poiché è inevitabile che alcuni codici di comunicazione risultino ostici – ove non addirittura indecifrabili – per chi è entrato negli -anta e invece siano il terreno elettivo degli under 21. La cui abitudine ad accedere rapidamente a tutto li rende da un lato meno abituati alla complessità e dall’altro terribilmente capaci di dedicarsi a diverse attività, spesso contemporaneamente.
Checché se ne dica, questa partita riguarda anche il tennis. Uno sport che non ha un forte ricambio generazionale tra gli appassionati, è uno sport che rischia di vedere erosa la sua fetta di mercato. E con essa i suoi introiti. Le frammentarie indagini di mercato che orbitano attorno alla racchetta ci suggeriscono che gli under 35, tra gli appassionati di tennis, sono meno di un terzo. Secondo un’analisi condotta da Sports Business Journal con i dati Nielsen, negli Stati Uniti l’età media del telespettatore di incontri ATP era di 51 anni nel 2000 ed è diventata di 61 anni nel 2016. Per fare un raffronto, l’età media dell’appassionato di NBA è diciannove anni più bassa, ma soprattutto il telespettatore medio della palla a spicchi è invecchiato di soli due anni nel nuovo millennio, un lasso di tempo in cui il mondo è stato letteralmente (s)travolto dalla rivoluzione digitale.
Quindi perché i videogiochi? Torniamo alle dichiarazioni di Pichot, perché adesso il cerchio si è chiuso. Si tratta di andare a esplorare l’habitat naturale delle nuove generazioni e in qualche modo cercare di far germogliare il seme della passione. Incuriosire un ventenne con un videogioco di tennis ben costruito, potrebbe arricchire il tennis di uno spettatore.
Oggi la pratica del gaming trova il suo sfogo pubblico su Twitch, una piattaforma che conta quindici milioni di utenti attivi al giorno e sulla quale videogiocatori professionisti e amatori condividono in diretta le proprie sessioni di gioco, attirando migliaia di spettatori. Gli appassionati di videogiochi (ma anche di giochi di carte strategici, come Hearthstone e Magic) passano molto tempo su Twitch per imparare nuove tattiche di gioco; i più bravi, quelli più seguiti, riescono persino a guadagnare grazie alle donazioni degli utenti. Oltre ai (molti) soldi che guadagnano disputando tornei che hanno montepremi sempre più ricchi. Non si tratta del futuro semplicemente perché è già il presente: il giro d’affari degli e-sports ha toccato il miliardo di dollari nel 2019 e si stima possa raggiungere quota 1,5 nel 2020. Sono cifre comparabili alla somma dei fatturati dei quattro Slam.
Mentre le dirette di partite giocate a FIFA 2020, il videogioco di calcio sul quale sono basate anche competizioni ufficiali, collezionano migliaia e migliaia di spettatori, del tennis su Twitch non c’è traccia perché un buon videogioco di tennis non esiste. Lo spettacolo offerto dal Mutua Madrid Open Virtual Pro, cominciato oggi poco dopo pranzo, non sembra molto appassionante. La pur lodevole iniziativa di Feliciano Lopez – il montepremi di 150.000 euro andrà a ingrossare il fondo di sostegno per i tennisti meno abbienti – viene percepita più come un riempitivo in attesa del tennis vero che come una competizione vera e propria. E in effetti è così, perché i partecipanti sono professionisti del tennis vero, non di quello virtuale.
Certo è divertente vedere Murray gigioneggiare al momento del match point contro Paire, tanto da collezionare un warning per time violation, così come assistere alla lotta mancina tra Nadal e Shapovalov, che su un campo vero, proprio a Madrid (era la finale di Davis), qualche mese fa avevano dato vita a una grande partita. L’esito è stato lo stesso, anche col joypad ha vinto Rafa – figurati se molla un osso che sia uno, lo spagnolo. Il divario generazionale ha fatto gioco a Tsitsipas, che ha battuto nettamente Fognini. La risposta di pubblico non è malvagia, perché la diretta Facebook ha toccato punte di diecimila spettatori. Il punto è che questa attività di promozione del videogioco può funzionare soltanto se si rivolge a una platea di appassionati, che a sua volta può esistere soltanto ‘coltivando’ il pubblico per mezzo di un titolo di gioco ben realizzato, appassionante e realistico. Ed è forse questo l’obiettivo ultimo a cui dovrebbe tendere l’iniziativa del torneo virtuale spagnolo. Lo stesso suggerito da Augustin Pichot, il tizio del rugby. Sarà pure un gioco, ma non è soltanto un gioco.