Guillermo Vilas, il più grande tennista argentino di tutti i tempi, è malato. Una malattia crudele, che lo renderà immemore della sua grandezza, se già non lo ha fatto.
Una grandezza che trascende la sfera tennistica. Vilas è un uomo che ha vissuto intensamente la sua vita e anche in piena attività ha fatto parlare di sé al di là delle sue imprese sportive. Se sul campo da tennis nello stile di gioco fu certamente più simile a Borg che non a Gerulaitis, al di fuori crediamo gli fosse più congeniale la compagnia del tennista/playboy statunitense che non quella dello svedese.
Celebri furono i suoi amori con donne bellissime e famose: su tutte Caroline di Monaco a metà degli anni ‘70. L’interesse per le donne belle e famose non è comunque una caratteristica esclusiva di Vilas. Molto di più lo è la passione che gli valse lo pseudonimo con il quale è universalmente conosciuto: “il poeta”. Uno pseudonimo non riconducibile al suo tennis – che era prosa e non poesia; fatica e non levità di tocco – bensì al suo amore per la composizione poetica.
Siamo consapevoli che questo non sia uno scoop giornalistico, ma alzi la mano chi ha mai letta una poesia di Vilas. Gianni Clerici, anni fa, ne fece un misurato elogio asserendo che egli – tra un allenamento massacrante e l’altro – componeva “poesie non vili”. Una definizione elegante ma vaga, che ha fatto nascere in noi il desiderio di capire come sia una “poesia non vile” e, dopo un lungo girovagare in rete alla ricerca del Graal, alla fine abbiamo trovato l’oggetto della nostra ricerca all’interno di un articolo apparso nell’agosto del 2012 sul quotidiano argentino “La Nacion” a firma del critico letterario Maximiliano Tomas.
In questo articolo Tomas commenta la seconda raccolta di poesie di Vilas, “125”, pubblicata nel 1981 e lo fa trascrivendo 4 componimenti e l’inizio di un quinto. Vilas fece pubblicare l’opera a sue spese e si incaricò anche di scriverne la prefazione: “Mano a mano che i miei giorni si succedono devo essere più cauto, poiché il passato deve essere un’esperienza introiettata e moralmente valida, dal momento che il mio futuro dipende dalla sua consistenza. Scrivere è un’espressione di questa completezza… Non è stato un lavoro facile dato che non ho potuto ricevere né consigli né guida a causa del mio continuo peregrinare per il mondo. Inoltre non ho voluto leggere molto per non farmi influenzare dallo stile altrui”.
Un po’ ingenuamente Vilas sembra quasi voler mettere in guardia il lettore sul valore artistico del suo lavoro. Oppure ne è pienamente consapevole. Ma, afferma Tomas, se gli si dà fiducia e si inizia la lettura, ci si troverà di fronte a un’opera coraggiosa e sincera che, a fianco di componimenti oggettivamente melensi e intrisi di romanticismo di maniera, ne pone altri che contengono qualche pregevole intuizione lirica.
La traduzione è opera di chi scrive. Perdonatelo.
“Facendo l’amore”
“Scende la luna con i suoi petali/ambasciatori della sua luce/illuminando in pieno i tuoi seni e i miei occhi/L’erba si muove soave/perché il vento la eccita/ e il nostro via vai d’amore /riempie tutto di passione”.
“Voglio fuggire da te”
“Voglio fuggire da te/che ti credi un rocker perché indossi i jeans/che sei bohemien per moda, per meschinità, per vanità/e ti credi un hippy perché vai a Tahiti”
“Mostrami” (incipit)
“Mostrami il tuo fiore/non nasconderlo lascia che lo veda/che non c’è orgoglio nel nascondere….”
“Da quando ti ho persa”
“Quando mi desti la tua bocca assetata/il mio corpo desideroso di corpi vibrò/ e quando il mio pene perse il suo miele/pianse la mia anima assetata d’amore”
“Innocenza”:
“Un bimbo scavò un pozzo nella rena / con il suo secchiello cominciò a cambiare di posto il mare / Volevo ridere, ma mi rattristai / Seppi così che ero cresciuto”
Non si può giudicare il valore di un’opera composta da 125 poesie sulla base di un campione così limitato. Se il livello delle restanti 120 è simile, ci sentiamo però autorizzati ad affermare che Guillermo fu un tennista molto superiore al poeta. Condividiamo però l’opinione del critico letterario quando afferma che “Innocenza” ha la grazia di un haiku o – aggiungiamo noi – di una volèe di rovescio di Edberg.
Nota a margine: versi scritti da Guillermo furono raccolti anche dalla rivista poetica francese ‘Vagabondage’, che nell’uscita bimestrale del luglio/agosto 1980 inserì alcune sue poesie accanto agli scritti di Françoise Sagan e Paul Verlaine, ben più noto poeta francese dell’Ottocento. Il direttore Scanagatta conserva una copia di quel Vagabondage e ci ha inviato una foto del retro di copertina, che ritrae Guillermo mentre regge – a sua volta – una rivista su cui campeggia il volto sorridente di Caroline di Monaco. Entrambi indossano un cappellino Ellesse, storico marchio perugino (venduto negli anni Novanta a una holding inglese) oggi indossato sui campi da Johanna Konta.