È tutto dedicato agli affetti e alle passioni il cameo di Fabio Fognini su Behind the Racquet, la popolare pagina creata dal tennista statunitense Noah Rubin per dare spazio ai propri colleghi di parlare di sé, delle proprie esperienze dentro e fuori il campo da tennis. Lo si può intuire dalla seconda foto presente nel post, oltre all’immancabile posa con la racchetta davanti alla faccia. Uno splendido quadretto di famiglia, con Fabio che gioca felicemente insieme al primogenito Federico, sotto lo sguardo premuroso di Flavia, che a sua volta tiene in braccio la piccola Farah. Un’immagine che il tennista ligure, una volta iniziata la stagione, con tutti i suoi viaggi da una città all’altra del pianeta, a rincorrere palle, risultati, punti in classifica e anche denaro, è spesso costretto a doversi tenere impressa nella mente (o nella memoria del cellullare) per settimane.
E su questo aspetto si concentra la riflessione del n.2 d’Italia. Sulla nostalgia di casa, della famiglia, degli amici, durante i mesi passati sul circuito. Un malessere con cui ha iniziato a dover convivere ben prima del matrimonio con Flavia e della nascita dei due figli. “Per me il periodo è quello tra dicembre e gennaio quando sono vicino a ricominciare a viaggiare”, scrive Fabio. “Dopo una pausa lunga, le uscite con gli amici, le cene fuori, devo tornare a viaggiare. Mi ammalo sempre quando sto per ripartire. Qualche linea di febbre o un po’ di raffreddore. Mi dico che passerà. È la stessa cosa da dieci anni. Succede perché dopo aver avuto l’occasione di stare a casa, con la mia famiglia e i miei amici, mi sento come se facessi parte di un’altra vita.
Tutto però è diventato naturalmente più difficile quando Fabio, arrivati al fatidico momento dell’inizio della stagione, non si è dovuto più separare “solamente” da famiglia e amici ma dalla moglie e dal primo figlio. L’idea di perdersi settimane e settimane della sua crescita, condivise insieme alla propria compagna, era impossibile da sopportare. “Mi ricordo quando il mio primo figlio aveva otto mesi e Flavia ed io eravamo a Miami per la off-season. È stato un periodo fantastico. Quando stavo per imbarcarmi per l’Australia ho cominciato a piangere come un bambino. Non riuscivo a lasciarli”, prosegue il post.
E se non sei a posto mentalmente è difficile riuscire a dare il massimo in campo. Inevitabile quindi che le sue prestazioni all’inizio dello scorso anno ne abbiano risentito parecchio. “Ho cominciato la stagione molto male”, continua. “Sono arrivato alla stagione su terra rossa con due sconfitte al primo turno e zero fiducia (una in realtà a Marrakech contro Vesely ma erano stati tre le eliminazioni al primo turno in Sudamerica ndr). Nei mesi precedenti mi dicevo che avevo bisogno di riposo. Che mi dovevo preparare ed essere pronto per Montecarlo. Ero da solo durante lo swing in America Latina e a Miami. Ho sofferto molto di solitudine in quel periodo e sentivo che il tempo passato con la mia famiglia non era abbastanza. Mi continuavo a chiedere perché lo stessi facendo”.
Una domanda a cui ha trovato la risposta da solo. Perché è un giocatore di tennis, perché è quello per il quale si allena da una vita, perché, come sintetizzato dalla sigla “NMM” sulla collanina che si porta dietro, non bisogna mollare mai. E, come ben sappiamo, arrivato al principato, in quello che per lui, nato a pochi chilometri di distanza, è forse il torneo di casa ancora più degli Internazionali d’Italia, ha ritrovato lo spirito giusto. “Ero sotto 6-4 4-1 e palla break per il mio avversario (Rublev ndr) al primo turno di Montecarlo. Non solo sono riuscito a ribaltare il match ma a vincere il torneo. Ho dato fondo a tutte le mie energie in quel primo match e la settimana si è conclusa con la vittoria più importante della mia vita”, scrive ancora. Un trionfo straordinario per lui e storico per il tennis azzurro. Era da oltre quarant’anni che un italiano non vinceva a Montecarlo.
Oltre alla famiglia, l’altro punto fermo nella vita di Fabio è ovviamente lo sport. Ma non tutti quello che tutti pensano. O quantomeno non solo. Prima di essere un tennista, Fognini è stato, come tanti ragazzini in Italia, un calciatore e un “calciofilo”. Ancora oggi il n.11 del ranking ATP è appassionatissimo e cerca di guardare tutte le partite che riesce. “La mia prima passione è stata il calcio. Spesso preferivo giocare a calcio che a tennis. Ma dirlo è difficile dato che il tennis mi ha permesso di fare questa vita”, afferma Fabio. “È difficile perché il tennis è un lavoro, non uno sport. Il calcio è il mio sport preferito e lo guardo ogni volta che posso. Quando ero giovane ho deciso che il tennis era però lo sport giusto per me. Mi dava molta più responsabilità. Se perdo è colpa mia e se vinco è merito mio”.
Insomma, l’aspetto più difficile della vita da tennista è passare tanto tempo lontano da casa e se potesse il nostro Fabio probabilmente preferirebbe mettere un pallone dentro la rete piuttosto che una pallina al di là di essa. Due concetti, seppur con alcune differenze rispetto alle responsabilità genitoriali e al “secondo sport”, espressi in diverse circostanze anche da Nick Kyrgios. Con modi forse persino meno sfumati nel caso dell’australiano e che forse per questo hanno fatto discutere. E forse non è un caso che due dei personaggi più genuini, nel bene e nel male, del circuito ATP, abbiano punti di vista così simili.