Una carriera da record, il trionfo al Roland Garros dieci anni fa, i match indimenticabili, la malattia e la passione per la gastronomia. In una lunga intervista a Sport Week, Francesca Schiavone (ex n. 4 WTA, 8 titoli, altre 12 finali e 3 Fed Cup) racconta la sua storia, quella di una donna e di un’atleta di grande carattere, talento e dalle mille risorse, con tanta voglia di amare, sorridere, e rinnovarsi, sempre. Il primo ricordo va ovviamente a quell’indimenticabile 5 giugno 2010, quando, dominando Samantha Stosur 6-4 7-6 in finale al Roland Garros, ha consegnato all’Italia il primo titolo Slam femminile della sua storia.
Che ricordi ha Francesca degli attimi che hanno preceduto quello storico incontro? “Ero sola, dentro uno stanzone immenso. Dall’altra parte c’era la mia avversaria. Non la vedevo. Né la sentivo. Ogni tanto entrava l’addetta dell’organizzazione per controllare che tutto fosse a posto. Io camminavo, camminavo. E poi mi sedevo sui divanetti per cercare la concentrazione. Provavo una sequenza continua di stati d’animo diversi: paura, eccitazione, felicità. Così per una mezz’ora. Poi il riscaldamento in un corridoio stretto stretto con il mio preparatore storico Stefano Barsacchi. […]
Nel tunnel Samantha era davanti a me, di fianco c’era la supervisor del torneo, anche lei australiana.Stavamo per entrare ed è partita la musica del Gladiatore, la canzone di uno dei miei film preferiti, che ho visto decine di volte. È stato un attimo, mi sono connessa immediatamente con le mie emozioni da guerriera, lo stress è sparito“. Grinta da vendere, Francesca, combattente degna, appunto, dei grandi gladiatori del passato. Con, inoltre, la grande dote di saper leggere a meraviglia il campo e l’avversaria, individuando perfettamente armi e punti deboli; abile nel mettere in pratica il piano A, certo, ma anche nel ricorrere, se necessario, a ulteriori strategie.
Sam Stosur, dal gioco potente, sulla carta era la favorita. Come ha fatto Francesca a dominarla? “Con una scelta tattica. Il giorno prima, durante l’allenamento con Corrado Barazzutti, gli ho detto: “Lavoriamo principalmente sulla risposta”. Avevo deciso che contrariamente al solito avrei aggredito il suo servizio. Lei giocava molto bene il kick, soprattutto sul rovescio. La mia scelta è stata fare due passi dentro al campo per colpire la pallina nella fase ascendente, d’anticipo. Sapevo che l’avrei sorpresa, non se lo sarebbe mai aspettato. Perché è molto difficile rispondere in questo modo giocando a una mano. Cosi è stato. Avere uno schema preciso prima di entrare in campo voleva dire aver già fatto più del cinquanta per cento per vincere. E in ogni caso nella mia testa c’erano anche un piano B e un piano C”.
Il famoso piano B, addirittura quello C. Preziosi nel tennis ma, forse, oggi fin troppo snobbati da tante, troppe giovani tenniste che, nonostante le grandi doti tecnico-atletiche, non riescono a staccarsi da uno schema fisso, da un gioco monocorde incentrato sulla pressione da fondocampo.
Indimenticabile l’immagine di Francesca dopo la vittoria contro la Stosur, sdraiata sul campo, mentre bacia la terra del Philippe Chatrier. Si ricorda ancora il sapore di quella terra? “Sì, assolutamente. Per alcuni secondi c’eravamo solo io e lei, la mia terra. Mi sono stesa e l’ho baciata. Bellissimo, indimenticabile. Il rosso è stato il terreno dove sono cresciuta come tennista e dove ho vinto di più“. Un successo storico, che stava per ripetersi anche l’anno successivo, su quello stesso campo, contro la cinese Na Li; non fosse stato per una decisione arbitrale alquanto controversa… “L’arbitro di sedia, Louise Engzell, incredibilmente giudicò dentro una palla della cinese che invece era nettamente fuori, lo dimostrarono anche le immagini televisive. Eravamo sul 6-5 per me, 40 pari nel secondo set. Sarebbe stato il set point e andavamo al terzo. Io ero in crescita, lei in discesa. Insomma me la sarei giocata fino in fondo. Quella scelta sbagliata mi mandò in tilt e persi la partita. Non ho mai chiesto all’arbitro il perché di quella decisione. Spero vivamente fosse convinta della sua chiamata“.
Un’emozione immensa per la tennista azzurra vincere il Roland Garros, ma quella più grande per la Schiavone è “essere in vita“. Negli scorsi mesi, Francesca ha infatti dovuto lottare contro uno degli avversari più ostici e subdoli a cui la vita possa metterci di fronte, un tumore. “Inutile dire che è stata la battaglia più dura della mia vita, non è comparabile con nessun’altra cosa che mi è successa. Alle volte ci penso ancora e so che un po’ sono nelle mani di Dio e un po’ nelle mie. D’altra parte non è che con il tumore chiudi la partita e finisce tutto. Adesso sto bene ma dentro un po’ di paura rimane, in particolare nei momenti in cui mi avvicino agli esami di controllo. E sarà così ancora per qualche anno. Quando ti trovi lì e devi aprire il referto… beh, non è facile. Poi vedi che è tutto ok e allora vai a bere una coppa di champagne“.
La battaglia più dura di tutte per Francesca, affrontata con forza anche grazie all’amore e alle attenzioni degli affetti più cari. Chi ha saputo per primo della malattia? “Mia sorella Virginia, eravamo assieme in quel momento. Anzi, è lei che lo disse a me leggendo il referto dei medici. Poi a papà e mamma che all’epoca stava già combattendo contro un brutto male. E a Sileni. Per molto tempo sono stati gli unici a saperlo. Senza il loro appoggio non so come avrei fatto a superare questa situazione. Attenzioni, amore, coccole, cure. Mi hanno dato davvero tutto“.
E il supporto della religione, alla quale Francesca si è avvicinata ulteriormente nel periodo della malattia: “Nonostante le pazzie che ho fatto durante la mia vita, sono sempre stata una persona che quando aveva la possibilità andava a messa e diceva le sue preghierine prima di andare a dormire. Questa pratica è notevolmente aumentata durante la malattia. Mi ha dato una forza incredibile. Spesso ero da sola in casa con i miei pensieri e in quei momenti ho chiesto tantissimo. E ho fatto un paio di promesse: una la sto portando avanti, l’altra ancora la devo mantenere“. […]
Ma nella carriera strepitosa della “Schiavo” non c’è solo il trionfo parigino. L’ex n. 4 del mondo detiene ancora il record del match femminile più lungo della storia, quello vinto contro Svetlana Kuznetsova all’Australian Open 2011, 6-4 1-6 16-14 al terzo set dopo 4 ore e 44 minuti e dopo aver salvato sei match point: “Ricordo bene quel match, lei tirava a duecento all’ora di dritto e io rispondevo pan per focaccia, incredibile. Giocavamo bene, è stato vero spettacolo. E non finiva più. Basti pensare che gli highlights durano ventisette minuti. Il giorno dopo non riuscivo praticamente a muovermi. Lo sforzo era stato enorme”.
A proposito di colleghe, si dice che nel circuito femminile non sia sempre facile e scontato tessere legami di amicizia; e Francesca conferma di non aver avute amiche nel tour. Ma c’è un’eccezione, Flavia Pennetta: “La conosco da quando era nana e rompiscatole. Negli anni il nostro rapporto si è rafforzato sempre di più. Ma l‘amicizia, quella vera, bellissima, è sbocciata l’anno scorso mentre io ero sotto chemioterapia e lei stava aspettando la bambina, Farah. Avevamo più o meno le stesse reazioni fisiche originate però da qualcosa di diverso”.
Nell’attesa di rivederla in campo come coach, ora Francesca si gode la sua nuova attività, legata al mondo della gastronomia. Da sempre esperta gourmet, ora ‘Schiavo’ ha appena portato a termine il progetto di lanciare il proprio Bistrot, a Milano: “Era un sogno che coltivavo da tanto tempo e sono curiosa di vedere come andrà. Nel frattempo, in attesa che passi questa bufera del coronavirus, il bistrot ospita una bottega di prodotti culinari molto ricercati. Lavoriamo con consegna a domicilio“.
Mai banale la Leonessa, con un cuore grande così, dentro e fuori dal campo. Tra poco più di un mese festeggerà quaranta primavere. Francesca, è solo l’inizio.