Questo articolo racchiude estratti da due pezzi di Adam Lincoln, uno del 2017 e uno del 2020. Qui il link alla versione originale del primo, e qui quello del secondo. Seguiranno nelle prossime settimane le storie di questi nove personaggi cruciali per la storia della WTA
Il primo articolo – Original 9: un retaggio di indipendenza ed emancipazione
Jane “Peaches” Bartkowicz aveva 21 anni quando firmò il contratto da un dollaro per giocare a Houston. Dopo una stellare carriera juniores che l’aveva vista vincere innumerevoli titoli, fra cui Wimbledon a soli 15 anni, Bartkowicz ottenne scalpi importanti quali Virginia Wade e Evonne Goolagong, raggiungendo i quarti allo US Open nel 1968 e nel 1969 e vincendo l’Open del Canada nel 1968. Parte della squadra americana che vinse la Fed Cup nel 1969, si ritirò nel 1971 per poi tornare brevemente a giocare nel tour e nel World Team Tennis nel 1974.
“Era fuor di dubbio che qualcosa andasse fatto, così quando venne organizzato il torneo di Houston non esitai, soprattutto perché sapevo che c’era Gladys Heldman dietro l’iniziativa”, racconta. “Era la proprietaria di una rivista di tennis, era una donna, e sua figlia Julie avrebbe partecipato al torneo, perciò sapevo che era interessata a noi. Onestamente, Gladys mi intimidiva, era una donna molto decisa, ma era anche molto gentile, ed ero sicura che sapesse cosa stava facendo. Capii che se si riesce a fare qualcosa del genere nel tennis, nel mondo degli affari, o in qualunque altro campo, può esserci un effetto domino che alla lunga porterà benefici a tutti”.
Terza miglior giocatrice del mondo nel 1970 (suo best ranking), Rosie Casals aveva 22 anni quando sconfisse Judy Dalton nella finale del Virginia Slims Invitational. Vincitrice di 11 tornei professionistici, raggiunse due finali Slam, entrambe a Forest Hills, perdendo da Court nel 1970 e da King nel 1971. Il suo bottino di 112 tornei vinti in doppio, che include cinque Wimbledon in coppia con King e nove Slam totali, è secondo solo a quello di Martina Navratilova – ha anche vinto tre Slam in doppio misto. Sette volte campionessa in Fed Cup, fa parte della Hall of Fame di Newport dal 1996.
“La parte più rischiosa nell’affrontare l’establishment era probabilmente il mettere a repentaglio la possibilità di giocare gli Slam”, dice Casals. “Che altri rischi c’erano? Eravamo già delle cittadine di Serie B quando giocavamo negli stessi eventi degli uomini. Da questo punto non avevamo molto da perdere, mentre gli Slam erano tutto per noi all’epoca. Non era solo una questione di soldi, ma di riconoscimento, era questione di avere posti dove giocare e di essere pagate equamente per qualcosa che sapevamo fare bene”.
Judy Dalton (Tegart il cognome da nubile) aveva 32 anni quando perse quella finale. Nel corso della sua carriera realizzò il Career Grand Slam in doppio, vincendone nove in totale (cinque in coppia con Margaret Court). In singolare fece finale a Wimbledon nel 1968, eliminando a sorpresa Court e Nancy Richey prima di perdere contro Billie Jean King. Nel periodo che va da Wimbledon 1967 al suo ritiro (avvenuto all’Australian Open 1977, a 40 anni), Dalton raggiunse almeno i quarti in 10 Slam sui 20 a cui prese parte, vincendo anche due Fed Cup.
“Addentrarsi nella politica del tennis era veramente difficile, ma quando firmammo quel contratto sapevamo che era la cosa giusta da fare”, dice oggi. “Avevo aiutato a far circolare i questionari sul gradimento del tennis femminile allo US Open, e alcuni uomini mi dissero addirittura di preferirlo a quello maschile, perché si identificavano maggiormente con scambi più lunghi. Penso che sia fantastico vedere giocatrici provenienti da così tanti Paesi diversi ora. Non credo che all’epoca potessimo anche solo sognarci che il tennis sarebbe diventato uno sport tanto globale”.
Julie Heldman, la figlia di Gladys, aveva 25 anni all’epoca. Vinse 25 tornei in carriera, fra cui Roma, e raggiunse tre semifinali Slam, divenendo la N.2 americana (N.5 del mondo) nel 1969. Fu parte di tre squadre capaci di vincere la Fed Cup prima di ritirarsi nel 1975.
“La tensione era palpabile – le vite di ciascuna di noi stavano per essere stravolte”, è il suo ricordo. “I giocatori erano contro di noi e i dirigenti erano contro di noi – va tenuto a mente che allora non c’erano donne ai piani alti del tennis”.
Affettuosamente chiamata “the Old Lady”, Billie Jean King non aveva ancora compiuto 27 anni quando si prese la responsabilità di guidare le sue colleghe a Houston. A quel punto aveva già vinto cinque dei suoi 12 Slam in singolare (39 includendo le varie specialità) ed era già stata in cima alle classifiche di singolare e di doppio. Nonostante questo, aveva ancora tanto da fare, sia in campo che fuori. Mentre il suo ruolo politico si rafforzava durante i primi anni Settanta, King stava anche raggiungendo il proprio picco di tennista. Solo nel 1971 (la prima stagione disputata per intero sotto l’egida della Virginia Slims) vinse 17 tornei in singolare e divenne la prima atleta donna a guadagnare più di 100.000 dollari in una sola stagione. Nel 1973 sconfisse Bobby Riggs nella Battaglia dei Sessi e divenne fondatrice e presidente della WTA.
“Sapevamo che per garantirci un futuro dovevamo avere un circuito, o quantomeno una serie di tornei”, racconta. “Non avevamo idea di cosa sarebbe successo, ma avevamo il sogno, la visione”.
Nel 1970, Nancy Richey aveva 28 anni e aveva vinto due Slam in singolare, l’Australia Open 1967 e il Roland Garros 1968 – il primo Slam dell’Era Open. In una carriera durata vent’anni, la texana vinse 69 tornei di singolare, raggiunse il N.2 delle classifiche nel 1969, e vinse anche quattro Slam in doppio. Si ritirò a 36 anni, allo US Open 1978, e venne ammessa nella Hall of Fame nel 2003.
“Mi ricordo il tennis nei giorni del dilettantismo, quando dovevamo prendere la metro da Midtown a Forest Hills portandoci le borse, per poi tornare indietro con 20 chili di vestiti bagnati in più”, dice Richey. “Niente soldi, niente mensa, niente di niente. Adesso si gioca per milioni di dollari, il prize money è lo stesso per gli uomini e per le donne, e il gioco è cresciuto – penso che sia assolutamente fantastico. Ogni volta che vado a Flushing Meadows mi abbraccio da sola, perché è tutto ciò che sognavamo per il gioco”.
Kerry Melville Reid aveva 23 anni quando giocò a Houston nel 1970. Fra i 22 titoli in singolare che conquistò durante la sua carriera c’è anche lo Slam di casa, l’Australian Open 1977. Fra le altre 40 finali giocate si annoverano Melbourne 1970 e lo US Open 1972, anno in cui raggiunse l’ultimo atto anche nella prima edizione del torneo conclusivo del Virginia Slims Tour – le odierne WTA Finals. Presenza fissa nella Top 10 per tutti gli anni Settanta, vinse tre Slam di doppio, fra cui Wimbledon 1978 con Wendy Turnbull.
“Volevo delle condizioni migliori per noi, certo, ma non mi considero una femminista”, dice oggi. “Credo che i miei genitori fossero un po’ preoccupati, ma sentivo che avevamo una leader molto forte in Billie Jean – era una top player ed era potente. Io e l’altra australiana del gruppo, Judy Dalton, non potemmo giocare in patria per un po’, ma alla fine tutto si sistemò. Alcune delle altre ragazze ci misero un po’ a convincersi, e lo capisco – era una decisione importante per il futuro di una carriera”.
Kristy Pigeon era il membro più giovane delle Original 9, visto che aveva solo 20 anni all’epoca del Virginia Slims Invitational. Dopo aver vinto Wimbledon e US Open a livello juniores, Pigeon fece due volte gli ottavi all’All England Club nel 1968 e nel 1969, ed entrò fra le dieci migliori statunitensi. Si ritirò nel 1975 dopo aver giocato per la nazionale americana e dopo aver vinto l’Open del Galles.
“Ero andata a scuola a Oakland e Berkeley, dove i valori femministi erano promossi con forza… Ricordo che Betty Friedan [attivista scomparsa nel 2006, ndr] venne a farci lezione. Penso però che molte delle prime femministe non avessero approcciato la questione dalla giusta prospettiva”, racconta. “In un certo senso non fecero tanto rumore quanto ne facemmo noi tenniste, perché noi riuscimmo a dimostrare che come atlete eravamo interessanti quanto gli uomini. Le nostre partite erano stimolanti da guardare e potevano coinvolgere il pubblico – per quanto mi riguarda, questo è un modo più efficace di raggiungere la parità di genere”.
Valerie Ziegenfuss aveva 21 anni nel 1970. In singolare, raggiunse gli ottavi in tre Slam e una finale nel nascente circuito, al torneo Virginia Slims dell’Oklahoma, nel 1972. Fu anche la settima miglior giocatrice americana in singolare, mentre raggiunse il N.1 delle classifiche di doppio nel 1967.
“Giocai per 14 settimane su 16, ma non mi posso certo lamentare – volevamo il nostro circuito, quindi qualcuno doveva pur farlo!” racconta. “Avevamo la responsabilità di promuovere il tour, ma onestamente mi divertii a farlo, e penso di essere stata brava. Contribuimmo tutte in qualche modo, facendo tutto ciò che potevamo per far progredire il circuito, e tutte potemmo goderci qualche abito alla moda grazie a Teddy Tinling [stilista e player liaison, una sorta di factotum, per il tour femminile, ndr]. Mi fece un abito di velluto nero con strass sul collo da abbinare a una gonna di lamé color argento. Era pensato per le luci di un’arena ed era strepitoso”.