Nell’intervista in sala stampa, i giornalisti le riportano i complimenti espressi da Azarenka per la qualità di gioco. Jamie dal canto suo sottolinea soprattutto due cose. La prima è: “Al momento non riesco a gioire per la prestazione; prevale il disappunto (per l’infortunio che l’ha ostacolata)”. La seconda è: “Sul 4-2, 4-3 del secondo set, la schiena ha iniziato a farmi male. Ho avuto problemi alla schiena anche l’anno scorso al Roland Garros. È qualcosa che devo fronteggiare giorno dopo giorno. Normalmente quando la schiena inizia a farmi male inizio anche a soffrire di crampi. Forse non dovrei dirlo, ma ho due ernie del disco nella parte bassa della colonna vertebrale”.
In fondo si può interpretare l’indimenticabile match contro Azarenka come l’epitome di tutta la carriera di Jamie: capace di picchi di gioco notevoli, ma con l’infortunio sempre in agguato a impedire il lieto fine.
Ci vorrà qualche mese per ritrovare di nuovo la miglior Hampton. Accade in Europa; raggiunge la semifinale sulla terra rossa di Bruxelles e il quarto turno al Roland Garros 2013 dopo avere sconfitto le due più forti mancine ceche: Petra Kvitova (semifinalista a Parigi nel 2012) e Lucie Safarova (finalista a Parigi nel 2014).
L’ultima impresa della carriera di Hamtpon arriva sull’erba di Eastbourne. Il campo di partecipazione è estremamente qualificato, e Jamie è costretta a giocare tre turni di qualificazione. Entra nel main draw e sconfigge nell’ordine Radwanska (che sarebbe stata semifinalista a Wimbledon qualche settimana dopo), Hsieh, Safarova e Wozniacki.
La semifinale contro Wozniacki (QUI il match per intero) è un altro incontro memorabile: equilibratissimo e disputato con un vento intenso a rendere tutto più difficile. Ricordo che Eastbourne è da sempre il torneo su erba dove Wozniacki gioca meglio: sei semifinali, tre finali e due vittorie in carriera. Jamie vince per 6-7(8), 7-5, 6-3, e raggiunge la finale. Ma all’ottavo impegno consecutivo in otto giorni, arriva svuotata: perde contro Elena Vesnina 6-2, 6-1.
I punti di Eastbourne (torneo Premier) sono fondamentali per compiere l’ultimo salto di qualità: in classifica Hampton conquista la Top 30 dando la sensazione che le manchi pochissimo per entrare definitivamente nell’èlite del tennis femminile. E diventa la numero 3 del tennis USA, dietro a Serena Williams e Sloane Stephens, ma davanti a giocatrici come Venus Williams.
Nei due Slam successivi (Wimbledon e US Open) è sempre Sloane Stephens a sconfiggerla. E, come detto, di nuovo problemi fisici la fermano anzitempo, impedendole di disputare una stagione intera: niente trasferta in Asia. Allora sembrava inimmaginabile, oggi invece suona crudele: dopo quella edizione di Flushing Meadows 2013 Jamie avrebbe giocato solo i tre incontri neozelandesi di inizio 2014. La vittoria di Auckland contro Lauren Davis (6-2, 4-6, 6-4) si rivela quindi il suo ultimo match in assoluto.
Ad appena 23 anni, con alle spalle lunghi periodi di infortuni e operazioni varie, è già tutto finito. In sostanza Hampton ha terminato la carriera senza essere riuscita a giocare una stagione in WTA completa. I suoi picchi di gioco sono emersi fra un malanno e l’altro, in mezzo alla perenne e faticosa ricerca della forma ottimale, quasi impossibile da raggiungere se si compete in una situazione di eterna convalescenza.
E ora che il suo bilancio si è chiuso, possiamo dirlo in via definitiva: Jamie Hampton non è nemmeno riuscita a vincere un torneo WTA. In sostanza è stata una giocatrice incompiuta. Nei risultati, e in parte anche sul piano tecnico: sono convinto sarebbe stata in grado di progredire ancora in certi ambiti di gioco, considerando il talento naturale che possedeva. Cito due aspetti migliorabili: i colpi di contenimento dalla parte del rovescio e le volée. Nell’intervista del 2017 Jamie ha confidato: “Non ero gelosa delle colleghe che avevano più successo, o ricevevano più attenzioni da parte dei media e dei fan. Piuttosto l’attenzione che avrei voluto suscitare era quella dei coach più bravi: ero convinta che con allenatori migliori sarei potuta diventare più forte e progredire ancora”.
Ma in una cosa era già straordinaria e difficilmente migliorabile: nella eleganza del gesto atletico. Hampton era nata con un genio motorio superiore, tanto che dava l’impressione di avere sempre tutto sotto controllo. È difficile descrivere certe qualità innate: il talento ha una componente misteriosa e sfuggente, tanto è vero che certi gesti non si riescono nemmeno a insegnare. La fluidità dei movimenti, la sicurezza con cui colpiva senza strappare, il timing dei suoi swing: erano doti che si vedono raramente su un campo da tennis.
Dopo l’ultimo grave infortunio, Jamie ha atteso più di sei anni prima di decidere che per lei fosse davvero finita. Anni senza una partita, nemmeno in un ITF minore, costellati da una terribile serie di operazioni. Sei anni sembrano una quantità di tempo spropositata, eccessiva. Irrazionale. E invece devo confessare che la capisco.
La mia interpretazione è questa: Hampton sapeva di essere speciale, e per questo era ancora più difficile accettare di non poter mettere a frutto le doti innate che possedeva. È difficile accettarlo per chi, come me, ne parla da semplice osservatore esterno; figuriamoci per lei, che ha vissuto tutto in prima persona, sulla propria pelle. Oggi però siamo costretti a prenderne atto: Jamie è stata una giocatrice straordinaria; una giocatrice di grande talento ma, purtroppo, di una fragilità ancora più grande.
.P.S. La notizia del ritiro di Jamie Hampton ha causato il rinvio della decima puntata della serie di articoli dedicata ai migliori colpi in WTA. La serie riprenderà la prossima settimana.