L’aggrovigliatissimo dibattito prosegue e proseguirà, pochi dubbi a riguardo: tennis sì o tennis no? E se sì, quando? E quando verrà finalmente fissata la data della ripartenza, porte aperte o porte chiuse? Non se ne esce, anzi, non se ne entra, a quanto pare: le speranze che gli impianti aprano al pubblico prima dell’autunno sono purtroppo poche, ma il periodo e i governi impongono cautele comprensibili.
Chi normalmente bazzica le periferie della racchetta, abituato a esibirsi davanti a poche decine di spettatori, forse non pagherebbe lo scotto dello stop al pubblico, ma chi la transizione da tennista a star planetaria l’ha compiuta da parecchi anni non vede di buon occhio la soluzione. Roger Federer, peraltro in buona e nutrita compagnia, ha notoriamente fatto sapere che il tennis senza il tifo dagli spalti è pratica che ha poco senso mandare in scena. Per ora il campione non si allena in attesa di buone novelle, ma se la soluzione per riprendere presto è quella di esibirsi nel deserto, allora meglio aspettare un po’ più a lungo.
Purtroppo c’è chi di tempo da perdere lontano dal luogo di lavoro ne ha ancora poco, e tifosi o non tifosi è pronto a ripartire non appena il Governo del tennis darà in qualsiasi maniera il nullaosta. Il caso, immaginiamo non l’unico, è quello di Andrew Harris, australiano, ventisei anni, numero duecentodue delle classifiche mondiali con un best ranking alla centocinquantanove ATP, tre finali Challenger in carriera, tutte perse. Secondo il suo comprensibile punto di vista, le grandi stelle del tennis hanno perso il contatto con la realtà: “Vuole tornare solo se sarà possibile farlo davanti al pubblico? Cosa ne direbbe se ricominciassimo a giocare, ovviamente rispettando i protocolli di sicurezza, in modo da permettere a chi in questo momento soffre di tornare a guadagnare qualche soldo? Questo è il solito egoismo di Federer, nulla di strano“.
Una riflessione condivisibile, quella di Harris, che nella circostanza rappresenta la stragrande maggioranza dei tennisti: quelli che se non giocano, non pagano le bollette. Occorre anche dire che il punto di vista opposto non è privo di motivazioni giustificate: qualsiasi evento sportivo privo di pubblico visto in tv perde gran parte del proprio appeal, come dimostrano i primi vagiti della Bundesliga post-confinamento. Se l’intenzione è quella di evitare che molti professionisti a breve si cerchino un altro mestiere bisognerà farsene una ragione, tuttavia.