Niente di ufficiale, com’è purtroppo normale nell’epoca Covid in cui tutto è estremamente provvisorio, ma qualche concreta speranza di veder partire lo Us Open il prossimo trentuno di agosto adesso se non altro c’è. L’ultimo Slam dell’anno, in procinto di sperimentare il ruolo di Major inaugurale della stagione post-pandemia, è confermato “fino a ulteriori istruzioni”, ma naturalmente le cose rispetto al solito cambieranno radicalmente.
Niente pubblico, niente tifo, questo è scontato, ma la necessità di limitare al minimo i contatti personali e gli ormai celeberrimi assembramenti precluderà ai giocatori, specie a quelli importanti o importantissimi, la possibilità di atterrare a New York con i corposi team al seguito. L’indirizzo del momento, prevalente ma ancora non confermato, sarebbe quello di accettare un solo “accompagnatore” per ognuno dei duecentocinquantasei atleti in lizza nei due tabelloni di singolare.
Tra i primi a storcere il naso Novak Djokovic, pronto a bollare l’idea come “irrealizzabile”, ma non in molti, potete giurarci, saranno sulla stessa lunghezza d’onda. A rispondere per le rime al numero uno del mondo è stato Dan Evans, tizio a cui notoriamente piace poco mandarle a dire. “Non vedo dove stia il problema nel farsi accompagnare da una sola persona,” ha fatto sapere alla BBC il ribelle da Birmingham, “anche perché la stragrande maggioranza dei giocatori andrebbe negli Stati Uniti solo con il coach in ogni caso.”
Secondo la comprensibile visione di Dan il momento imporrebbe anche alle grandi stelle, normalmente coccolate e sostenute da torme di allenatori, fisioterapisti, incordatori, preparatori atletici, mogli, figli, tate e consulenti vari, di fare un passo indietro e adeguarsi alla situazione di emergenza. “L’ATP ha fatto un buon lavoro per sostenere i giocatori messi in ginocchio dall’assenza di tornei, ma il modo migliore per permettere ai tennisti comuni di guadagnare qualcosa è tornare a competere, e tutti sappiamo cosa significhi a livello economico partecipare a un primo turno Slam.”
Questi sono i giorni utili a sondare le opinioni di tutte le parti in causa, prima che la USTA, verosimilmente nel corso della seconda metà di giugno, decida se lo US Open 2020 si giocherà oppure no. “Gli unici ostacoli che non si possono aggirare sono quelli derivanti dalla necessità di tutelare la salute e la sicurezza di tutti i professionisti che lavoreranno a Flushing Meadows. L’obbligo di andarci soli con i propri allenatori non mi sembra un buon motivo per non disputare il torneo.”