Com’è noto, ieri si è svolta la madre di tutte le video-conferenze tennistiche di Zoom, che ha visto coinvolte le facce di ATP e USTA e una larga fetta dei giocatori del circuito maschile per discutere della ripresa dei giochi (il tour è fermo fino al 31 luglio) e in particolare dei tornei americani.
Le proposte principali si possono trovare nel primo pezzo sull’argomento, ma si è parlato di molto altro. Lunedì 15 giugno è ancora la deadline, e, se da un lato la risoluzione di USTA e ATP sembra irremovibile, dall’altro nodi da sciogliere sono veramente tanti, come ha riassunto da un icastico Lukas Lacko:
I partecipanti alla riunione sono stati circa 400 (su 500 invitati), con Andrea Gaudenzi, Massimo Calvelli e Stacey Allaster, Chief Executive per la USTA, nel ruolo di anfitrioni – anche Steve Simon, presidente WTA, ha partecipato, ma solo in veste di ascoltatore, riporta “Marca” – e la durata è stata di tre ore e 36 minuti, diciamo quattro set intensi o cinque rapidi, con interventi di veterani come il nostro Paolo Lorenzi e Kevin Anderson.
Lo swing nord-americano è stato, almeno inizialmente, al centro della chiamata. Diversi i corollari del piano, alcuni dei quali non dipendenti dalla disputa o meno dello US Open: per esempio, Gaudenzi avrebbe detto che l’idea di giocare nella off-season non è stata presa in considerazione, e che non verrebbero presi provvedimenti qualora dei giocatori decidessero di saltare tutti i tornei, o anche solo una parte, per paura del virus.
Altri oggetti di discussione, invece, hanno fatto riferimento alle logistiche del primo 1000, quello di Cincinnati (che verrebbe trasferito a New York) e al primo Slam in programma. C’è il problema della tennis bubble (abbastanza espressamente mutuata dall’analoga decisione presa dalla NBA, che si trasferirà quasi in toto a Disney World, in Florida, per proseguire la stagione), la gabbia dorata che vedrebbe i giocatori come novelli Tom Hanks in “The Terminal“, costretti a dormire in aeroporto e a non interagire con i media e con il pubblico, rimanendo a distanza da Manhattan se non per giocare e allenarsi, una condizione che sembra non andare a genio in particolare a Djokovic, ma più in generarle a molti big, fra cui Milos Raonic, che ha citato la propria condizione di lungodegente bisognoso di assidue cure.
Qualche settimana fa, Vasek Pospisil aveva detto che, quando i Big Three agiscono in concerto, la loro parola è Cassazione, ma stavolta la volontà della maggioranza potrebbe soprassedere le loro volontà, o almeno quelle di Rafa e Nole, essendosi chiamato fuori Roger. Tennis Magazine Italia riporta delle voci (non troppo circostanziate, per la verità) secondo cui la decisione di Federer di non giocare più nel 2020 possa essere stata influenzata dalla direzione che ATP e USTA stanno prendendo contro ai suoi desideri – e a quelli degli altri due mammasantissima.
Già da diversi giorni le polemiche stanno montando nei loro confronti, sostanzialmente perché le loro perplessità sembrano essere percepite come problematiche ‘da primo mondo’: Djokovic ha sì parlato di giocatori che gli avrebbero confidato (in quanto presidente dell’ATP Council) di non voler volare a New York, ma allo stesso tempo ha poi criticato la tennis bubble perché gli impedirebbe di andare a Manhattan, e la restrizione in termini di personale a cui i giocatori sarebbero costretti (ogni giocatore potrebbe portarsi un solo membro del proprio staff), di fatto troncando i vantaggi dei giocatori più abbienti in termini di preparazione. Rafa è parso un pochino più conciliante, ma non si è discostato più di tanto dalle perplessità sollevate dal rivale.
Mentre Raonic, come detto, ha supportato Nole nelle sue critiche contro le limitazioni dello staff, un’altra voce contraria alla trasferta americana è arrivata da Nick Kyrgios, ma per motivi più simili a quelli di Nadal, vale a dire l’opportunità di giocare in un momento in cui, forse, le preoccupazioni dovrebbero essere altre. Resta il fatto che, per i giocatori di livello più basso e per i tanti lavoratori ‘normali’ del tennis, riprendere a lavorare è prioritario e probabilmente è parte integrante delle altre preoccupazioni a cui si riferisce Kyrgios.
Secondo quanto riportato dai diversi organi, il desiderio dei giocatori di ripartire potrebbe aver ragione sull’ipse dixit dei protagonisti, anche perché la USTA sembra decisa a tirare dritto, così come l’ATP. Quest’ultima starebbe però guardando a piani alternativi nel caso di un annullamento dello swing nord-americano, piani che consisterebbero in una stagione sulla terra europea a partire da metà agosto.
Il tema porte chiuse non è stato affrontato, ma a fine mese inizierà il World Team Tennis, che avrà un limite di 500 spettatori a partita, mentre il proprietario del torneo di Washington (in teoria il primo torneo in programma al momento) aveva ipotizzato di contingentare gli spettatori in un range che va dal centinaio al migliaio, e non è quindi da escludere che il torneo con gli stadi più grandi al mondo possa prendere decisioni simili, anzi, potrebbe farlo con il beneficio di maggiori condizioni di sicurezza.
Un altro grosso inconveniente (il più grosso, per certi versi) è stato l’assenza della WTA dalla chiamata – letteralmente, visto che non è proprio stata citata. Come detto, Steve Simon ha fatto da ascoltatore, ma non è intervenuto. La questione è di grande importanza logistica, perché il torneo di Cincinnati è sì un combined, ma con diversi proprietari, visto che il torneo femminile non è sotto l’egida della USTA, ma bensì sotto quella di Octagon. Se si vuole spostare il torneo a New York, dunque, la discussione non potrà essere unilaterale come sembra essere stata finora, e, se il punto di vista del circuito femminile divergesse da quello dell’ATP, dove andrebbero a finire tutti i piani di fusione e collaborazione?
Un punto prettamente maschile riguarda invece il format degli incontri. Molti hanno sottolineato le difficoltà a cui si andrebbe incontro se Flushing Meadows dovesse diventare il primo torneo in calendario, obbligando i giocatori a partire con match tre su cinque – è uno dei motivi per cui la USTA vorrebbe giocare Cincinnati come evento preparatorio. Se però si decidesse di giocare direttamente lo US Open, Allaster avrebbe detto che si potrebbe considerare l’idea di giocare il torneo con il due su tre (e che Slam sarebbe in quel caso?), previa richiesta dei giocatori.
Va anche detto che, su 400 partecipanti, meno di un terzo avrebbe questo problema (gli altri vorrebbero certamente averlo a loro volta), e quindi la discussione non vi si è soffermata più di tanto. Per lo stesso motivo, la questione Finals non ha trovato grande spazio, anche se al momento gli aruspici del torneo (all’ultima edizione londinese) non stanno mandando segnali positivi, visto che un evento indoor ha molte più restrizioni a cui sottostare, e altresì lo swing asiatico non è stato oggetto di dibattito, forse per l’incertezza legata all’effettivo impatto del virus in Cina.
Le vere patate bollenti sono state altre. In primis, diversi atleti hanno proposto di giocare senza punti ATP fino a marzo 2021, per poi riprendere dall’ultima classifica, ma Gaudenzi è stato categorico: è un’idea inattuabile, perché in quel caso i tornei diventerebbero esibizioni e il prize money scenderebbe con il crollo delle sponsorizzazioni, mentre le trattative intraprese finora hanno fatto sì che i portafogli dei tornei non venissero intaccati in maniera sensibile – lo US Open erogherebbe una cifra pari al 95% di quella dello scorso anno, più di quanto pagato a pieno regime nel 2018.
Questo punto si collega a un altro contenzioso economico: la cancellazione dei Challenger fino al prossimo anno, visto che quasi tutti i tornei perderebbero meno soldi a rimanere chiusi. I partecipanti alla chiamata erano per la maggior parte giocatori di bassa classifica e doppisti (Federer e Nadal erano sicuramente assenti), vale a dire giocatori a cui dei grandi tornei interessa relativamente, soprattutto se il numero di coppie in gara a New York dovesse essere tagliato di più della metà.
La preoccupazione di questo gruppo, spalleggiato soprattutto da Marin Cilic, è che senza tornei continuerebbero a non avere introiti, e che se le classifiche non venissero cancellate il divario (non solo economico ma anche di punti) si allargherebbe ulteriormente – un punto su cui sembrano avere ragione, visto che tre quarti del prize money di 75-80 milioni di dollari a disposizione sarebbe distribuito dai due Slam in programma. L’annullamento delle qualificazioni di Cincinnati, inoltre, ridurrebbe ulteriormente il numero di giocatori che potrebbero ricevere denaro dai tornei.
Al momento, l’idea (riportata dal sito canadese Open Court) sarebbe quella di ridistribuire una piccola parte (circa due milioni di dollari) degli introiti di Cincinnati e New York ai giocatori che avrebbero partecipato in normali condizioni e che invece sarebbero tagliati fuori con il nuovo format (una cifra che si unirebbe al sostegno del Relief Fund), oppure di finanziare alcuni Challenger ad hoc in Europa per permettere a un parco più ampio di giocatori di preparare la stagione su terra.
Stando a Marca, l’aspetto più prettamente pecuniario del dibattito avrebbe portato anche a un attacco personale nei confronti di Gaudenzi: infatti, Marco Trungelliti lo ha criticato per non essersi abbassato lo stipendio (a differenza degli omologhi WTA), ma Gaudenzi avrebbe risposto facendo notare di aver lavorato a tempo pieno durante la pandemia.
Come si è visto, dunque, stanno emergendo numerosi punti controversi. L’opinione diffusa, però, è che entro lunedì verrà presa una decisione affermativa, vale a dire che lo US Open si dovrebbe disputare, e con esso il resto del calendario – solo una decisione unanimemente contraria dell’ATP Council potrebbe ribaltare l’esito della contesa. Sarebbe però una sorpresa se la decisione fosse definitiva sotto ogni punto di vista, perciò sarebbe ragionevole aspettarsi altre polemiche e altri aggiustamenti in futuro.