Behind The Racquet, il profilo Instagram creato da Noah Rubin per dar voce a tenniste e tennisti, ha recentemente ospitato la complicata storia di Mary Pierce. La campionessa francese, che vanta due Slam vinti (Australian Open 1995 e Roland Garros 2000) e altre quattro finali, ha raccontato il difficile rapporto con il padre, Jim, che ha condizionato fortemente la sua infanzia, la sua vita e la sua carriera. Un percorso lungo e tortuoso dagli esordi tra pressioni e abusi fisici e verbali (che hanno tra l’altro fruttato a Jim una squalifica da parte della WTA) all’allontanamento fino alla riconciliazione finale, nella quale ha giocato un ruolo primario anche la conversione di Pierce, “cristiana rinata”.
A distanza di anni dalla scomparsa del padre, Mary ripercorre, tappa per tappa, quegli anni così duri, con l’occhio calmo di chi ha seppellito la rabbia ormai da tempo. Una storia che ricorda in modo sinistro quella di Guillermo Pérez Roldan, ex tennista argentino che di recente ha confessato di aver subito pesanti abusi dal padre. Con una sostanziale differenza: Mary ha perdonato suo padre e gli è stata accanto negli ultimi momenti di vita.
“Quando avevo 13 anni, mio padre era il mio allenatore a tempo pieno e mia madre era la mia mamma a tempo pieno. Non c’erano entrate e talvolta vivevamo in macchina. Mio padre mi ha mostrato una borsa con dei soldi ed mi ha detto: ‘Questo è tutto ciò che abbiamo’. E poi: ‘È meglio che inizi a vincere perché abbiamo bisogno di soldi‘. Era parecchia pressione da mettere su una bambina. Ma quando ho preso in mano per la prima volta una racchetta, mi sembrava di giocare da anni, quindi ho sentito che Dio mi aveva fatto questo dono: saper giocare a tennis. Sono diventata professionista a 14 anni.
Mio padre mi ha portato via da scuola ed è stato il mio allenatore fino ai 18 anni. Durante questo periodo, ho giocato a tennis perché non avevo scelta. Ho dovuto vincere perché se non lo avessi fatto, mio padre sarebbe diventato violento e avevo paura di quello che sarebbe successo. La paura era l’emozione trainante.
Sono grata di aver avuto mia madre, che è stata il mio pilastro di sostegno. Mio fratello era il mio compagno di allenamento e successivamente è diventato il mio allenatore nel 2000 e nel 2005 (due dei miei migliori anni). Eravamo molto vicini. Guardando indietro, credo che mio padre abbia fatto del suo meglio. Mi amava e voleva il meglio per me, quindi mi ha insegnato a essere dura. Non ce l’avrei mai fatta sul tour senza essere mentalmente e fisicamente resiliente. La mia infanzia mi ha reso la persona che sono oggi.
Sono stata fortunata ad avere uno sponsor che mi ha supportato per tre anni. Ciò ha permesso alla mia famiglia di mangiare e pagare per il mio tennis. A 16 anni, ho vinto il mio primo torneo a Palermo, in Italia, e sono entrata nella Top 30. Da lì in poi sono stata in grado di sostenere finanziariamente la mia famiglia e il mio tennis”.
La prima parte della carriera di Mary, però, è stata caratterizzata da una difficile condizione psicologica. La giocatrice fu costretta a richiedere un ordine restrittivo per tenere lontano il padre e assumere una guardia del corpo per potersi muovere in sicurezza.
“Dai 18 ai 25 anni, ho visto mio padre una volta, quando ho vinto l’Australian Open a 20 anni (nel 1995, ndr). A parte quella volta, non l’ho mai visto. Lo odiavo, avevo paura di lui e non volevo più vederlo.
A 25 anni, sono diventata una cristiana rinata e la mia vita è completamente cambiata. Il Signore è venuto e ha guarito il mio cuore dalle ferite passate e dalla rabbia e sono stata in grado di perdonare mio padre. Sono stata in grado di amarlo e il nostro rapporto è stato ripristinato.
Alla fine del 2006, mi sono fatta male al ginocchio e ho subito un intervento chirurgico. Dopo due anni di riabilitazione, non sono riuscita a tornare sul tour. Mi sono trasferita alle Mauritius, dove il mio cuore si sentiva a casa con la chiesa. La mia vita spirituale è la cosa più importante per me e le Mauritius erano il posto migliore in cui crescere, coltivarmi e servire.
Ho iniziato ad allenare i due migliori giocatori delle Mauritius. Quando ero nel circuito, non avrei mai pensato di diventare un’allenatrice, ma quando sono diventata cristiana, mi sono reso conto che Dio mi ha dato il dono di giocare a tennis. Ho sentito questo amore per il gioco e volevo usare questa piattaforma per il bene.
Adoro allenare. Adoro stare in campo per aiutare i bambini che vogliono vincere un Grande Slam un giorno. Voglio restituire e aiutare gli altri. Ho un approccio olistico al coaching, vedo il tennista prima di tutto come una persona. Tutto ciò che ho passato può aiutare gli altri e quando li vedo crescere è molto soddisfacente.
A mio padre è stato diagnosticato un cancro alla vescica nel 2016. Sono stata con lui per tutti gli appuntamenti, gli interventi chirurgici e i trattamenti del medico. Quando è morto, ero al suo fianco. Sono molto grata per i momenti speciali che abbiamo condiviso“.