Negli ultimi tre mesi si è trattato di portare a spasso il cane, completare complessi puzzle e studiare per ottenere l’attestato da coach. Anche il training per affinare i balletti da servire alla platea di Instagram hanno richiesto il loro buon tempo ma insomma, la pandemia ha limitato all’osso le attività di chiunque, e dunque anche il lavoro quotidiano di Greet Minnen e Alison Van Uytvanck. Le due ragazze fiamminghe, che da ormai quattro anni fanno coppia fissa nella vita e da qualche mese anche nel circuito, hanno concesso una bella intervista al sito ufficiale della WTA in occasione del Pride Month, il mese dell’orgoglio LGBT che ogni anno, in centinaia di città del mondo, celebra all’alba dell’estate i fondamentali fatti di Stonewall 1969.
La storia d’amore tra le due tenniste belghe è nota a pubblico e tabloid da un po’ di tempo, avendo peraltro vissuto il momento di massima celebrità un anno fa durante il 125K di Karlsruhe, quando un beffardo sorteggio le mise l’una contro l’altra al primo turno: non capita tutti i giorni di dover affrontare in un torneo professionistico vostra moglie, la fidanzata, il marito, un famigliare, o almeno non crediamo. Vinse Alison, la favorita, in tre set, e al momento in cui di norma gli sfidanti dichiarano finita la tenzone con una stretta di mano le due si scambiarono un tenero bacio, cosa che dovrebbe essere normale al punto da non scatenare alcuna curiosità e che invece ha fatto saltare i contatori delle visualizzazioni social con somma sorpresa delle interessate.
“Ci siamo chieste cosa stesse succedendo,” ha sommessamente dichiarato Van Uytvanck, “perché in una sola giornata ci siamo ritrovate con un migliaio di followers in più a testa. Non capivamo il perché di tutta quell’esposizione mediatica per un semplice bacio, ma l’incredibile trambusto ha anche avuto risvolti positivi: circa un mese dopo, a New York, un uomo si è avvicinato per ringraziarci, facendoci sapere che il nostro gesto l’aveva incoraggiato a dichiarare pubblicamente la propria omosessualità, togliendogli un gran peso dalle spalle.”
Non essendo le relazioni sentimentali fatte per peggiorare l’esistenza di chi se ne immerge, anche la vita di Alison e Greet ha preso una piega decisamente migliore da quando, più di quattro anni fa, è andato in archivio il loro primo appuntamento. “Per noi è stato tutto in discesa, fortunatamente. Non avevamo nessun timore della reazione che avrebbero potuto avere le colleghe, perché l’argomento è stato dibattuto per anni nell’ambiente e così come non siamo state le prime a fare questa scelta non saremo le ultime. Forse eravamo più preoccupate per la reazione che avrebbero potuto avere i nostri amici, i nostri genitori, ma erano timori infondati”.
Insieme. In quarantena, nella vita di tutti i giorni e da qualche tempo, sempre più spesso, diciamo da quando gli ottimi risultati di Greet ne hanno innalzato la classifica, anche nei quattro angoli del circuito. “Ripenso al periodo dei nostri primi appuntamenti, non mi piaceva l’andazzo della mia carriera,” ha confessato Minnen, “ma adesso devo dire che le cose sono notevolmente migliorate.” E in effetti: in gennaio è arrivata la prima qualificazione al tabellone principale di uno Slam, con tanto di vittoria al primo turno di Melbourne contro Aliaksandra Sasnovich, e un conseguente balzo fino agli immediati pressi della top cento.
“Quando Alison era già tra le prime cinquanta e io ancora fuori dalle trecento non potevamo frequentare gli stessi tornei. A volte la seguivo comunque, e ho imparato molto osservando da vicino le grandi giocatrici negli eventi più importanti, ma adesso che anch’io ho la classifica per competere le cose vanno molto meglio. Senza considerare che possiamo trascorrere molto più tempo insieme!” E le due, insieme, hanno già centrato un discreto bersaglio, alzando il trofeo dedicato al doppio lo scorso ottobre in Lussemburgo, che per Minnen è stato il primo assoluto nel Tour maggiore.
Ma se per i risultati ottenuti all’interno del rettangolo di gioco non ci si può certo lamentare, là fuori Van Uytvanck e Minnen si sentono in qualche modo di rappresentare un simbolo, un modello da cui trarre ispirazione? Le ragazze, idealmente in coro, perché “su certi argomenti tendiamo a pensarla in modo piuttosto simile“, hanno recisamente negato, com’è perfettamente normale che sia. “Non siamo Billie Jean King e Martina Navratilova, loro hanno aperto la strada, cambiato in meglio il modo di pensare di milioni di persone. Hanno fatto cose incredibili per il nostro sport, per il sociale, per la difesa dei diritti di tutti. Noi semplicemente stiamo bene insieme, in campo e fuori, e possiamo solo dire che ognuno dovrebbe avere il sacrosanto diritto di essere sé stesso, e di essere onesto.” Magari con lo scintillante contorno di qualche trofeo sempre più importante, nel caso di Alison e Greet.