È uno dei dieci protagonisti dell’Ultimate Tennis Showdown, l’evento esibizione creato da Patrick Mouratoglou nella sua Academy in Costa Azzurra. Lui è “The Virtuoso”. Touché! Per Richard Gasquet non avrebbero potuto scegliere un soprannome migliore. Il francese (che il 18 giugno ha compiuto 34 anni), ex n. 7 del mondo e con 15 sigilli in bacheca, è stato l’ospite del nuovo podcast Dip Talk di Eurosport France, condotto da Arnaud Di Pasquale e, tra i vari argomenti trattati, Richard ha espresso sensazioni e considerazioni sul format dell’UTS, perfetto, secondo lui, per ritrovare il campo e la sensazione della gara:
“Per quanto mi riguarda, dal lockdown ho preso gli aspetti positivi. Mi ha fatto bene avere tempo per me, per far riposare il corpo e ho potuto recuperare fisicamente. Quest’inverno ero infortunato al ginocchio e mi sono mancati l’allenamento e la competizione. Poi, nei mesi di marzo e aprile mi sono allenato, ho fatto molta bicicletta, molta ginnastica ma mi sono anche riposato. La cosa più importante è che ho avuto il tempo per superare i dolori fisici e ora da Mouratoglou ho ricominciato a gareggiare, è fondamentale poter ricominciare le gare“.
Com’è nata la decisione di partecipare all’UTS? “Mi ha contattato Patrick direttamente, conosco l’Accademia. È un posto incredibile, per allenarsi è perfetto. L’evento è organizzato in modo impeccabile ma quando lui fa qualcosa l’organizzazione è sempre perfetta! Questa competizione è ottima per riprendere ed è molto piacevole da giocare. È molto intensa ma non troppo lunga. È chiaro che se oggi si dovessero disputare cinque set sarebbe impossibile. Nessun giocatore, dopo tre mesi di stop, potrebbe subito vincere tre set. È davvero piacevole e anche l’ATP potrebbe sperimentare alcuni aspetti che caratterizzano l’UTS . Lo scopo è di riprendere a giocare. Anche se non è una gara ufficiale, c’è comunque l’adrenalina che ti fa avere voglia di vincere e sai che un avversario che incontri qui lo puoi incontrare presto nel circuito“.
Gasquet sarà impegnato all’Ultimate Tennis Showdown per cinque fine settimana. Nella prima giornata ha conquistato il match che lo opponeva a “The Wall” David Goffin (3-2), mentre nel day 2 è stato sconfitto di un’incollatura da Stefanos Tsitsipas.
Quali sono gli elementi che potrebbero venire applicati anche nel circuito? “Il fatto di poter uscire un po’ dagli schemi classici e dalle regole più rigide” afferma ‘Richie’. “Non sono un giocatore dal carattere difficile in campo ma se lanci una palla in mezzo al pubblico hai una multa di 5000 dollari; o se dici una parolaccia o spacchi una racchetta, sei sanzionato, è peccato non potersi esprimere in campo. Il circuito è un po’ troppo “rigido”, è importante potersi esprimere. Bisogna trovare una via di mezzo, certo, ma ci sono troppe restrizioni. Eppure il pubblico adora queste cose, basti pensare a quando giocava John McEnroe ma anche oggi, quando Kyrgios fa una minima cosa in campo tutti ne parlano e tutti vogliono vederlo. Anche i match sono molto lunghi. Al Roland Garros, per esempio, gli incontri possono durare 3-4 ore, ci sono molti tempi morti. Bisognerebbe rendere le regole un po’ meno rigide per poter liberare le proprie emozioni e lasciar esprimere la personalità di ognuno. Ma i giocatori non hanno molto peso in queste decisioni“.
“Per quanto riguarda l’UTS, ci sono meno tempi morti…” continua il 34enne di Béziers, “non è previsto l’asciugamano per esempio e io, in effetti, sono uno di quelli che lo chiedono molto spesso. Poi, certo, i match al quinto set in Coppa Davis o negli slam sono quelli che danno le più grandi emozioni. Anche per me, tra i ricordi più belli, ci sono delle partite al quinto in Davis. Mi chiedo se, in generale, gli incontri di tennis non siano un po’ troppo lunghi, per il pubblico o per le televisioni… Certamente, non bisogna dimenticare la storia del nostro gioco, ci sono match epici, che si sono risolti al quinto set e diventati memorabili per questo. Del resto ora, nonostante la situazione complicata, si cerca di salvare lo US Open...”.
Patrick Mouratoglou auspica che questo “campionato” possa durare nel tempo, parallelamente al circuito ATP, nonostante un calendario molto denso e intenso: “Spero che in futuro si possa fare” dice Gasquet, “per esempio verso novembre o dicembre, di solito a Nizza è sempre bel tempo anche in inverno“… Patrick cerca di cambiare un po’ le cose, poi, capisco che non bisogna dimenticare la storia del tennis… Come dicevo, bisogna sempre trovare la giusta via di mezzo, senza arrivare agli estremi”.
E cosa pensa “The Virtuoso” del coaching in campo? “Se ne parla tanto. In generale, si riesce comunque un po’ a comunicare con il coach in tribuna, con qualche frase. Però, anche in quel caso, se l’arbitro se ne accorge applica la sanzione. Io, personalmente, ho preso tante volte una multa per coaching, soprattutto quando mi seguiva Bruguera perché Sergi ha l’abitudine di parlare tanto. Sarebbe bene che venisse tollerato un minimo scambio di battute. Penso che il coaching sia importante. Dipende dai giocatori, ma penso sia positivo poter comunicare con il proprio team durante una partita”.
“Ma questo forse sarebbe a discapito dei tennisti più forti mentalmente. Il tennis è uno sport individuale. Non è un po’ come se l’insegnante andasse a passare l’esame al posto del proprio allievo?” fa notare Di Pasquale: “Certo, infatti non sono d’accordo che il coach possa venire direttamente in campo. Il tennis è, appunto, uno sport individuale e so che siamo molto rispettati anche per questo; me ne accorgo, per esempio, quando ne parlo con i calciatori, che ci ammirano per il fatto che in campo con noi non ci sia nessuno, né allenatore, né compagni di squadra. Quindi non dico che il coach debba poter entrare in campo. È sempre lo stesso discorso. Bisogna trovare la giusta via di mezzo. Si potrebbe per esempio poter concedere di poter comunicare un po’ dalla tribuna, potrebbe essere anche divertente per vivacizzare un po’ la situazione“.