La rubrica “Infosys Beyond the Numbers” è uno dei punti di forza del sito dell’ATP, con Craig O’Shannessy ad esporre ai lettori alcuni dati che possono andare oltre il semplice eye test per aiutarli a capire meglio il gioco. Nella sua ultima fatica, l’uomo dei numeri di Djokovic si è addentrato in un’analisi dei dati cosiddetti “Under Pressure”, che forniscono una sintesi numerica di quattro percentuali: palle break convertite, palle break salvate, tie-break vinti, e set decisivi (terzi o quinti a seconda del format) portati a casa.
Ciò che emerge dai numeri del 2019 è la superiorità del N.1 di fine anno, vale a dire Rafael Nadal, che, pur non vincendo in nessuna categoria, ha prevalso in aggregato con uno score di 253.1. Di seguito la Top 10, con il piccolo caveat che i dati presenti sul sito ATP sono un pochino diversi, ma i nomi sono gli stessi:
- Nadal, 253.1
- Federer, 244.8
- Thiem, 242.8
- Tsonga, 238.7
- Pella, 234.5
- Djokovic, 233.9
- Kyrgios, 233.9
- Garìn, 233.6
- Auger-Aliassime, 232.1
- Fognini, 226.8
Nadal aveva finito al primo posto solo un’altra volta, nel suo annus mirabilis, il 2010 (se ci fosse un limite minimo di partite sarebbe arrivato primo anche nel 2013, quando invece fu un diciassettenne Karen Khachanov a prevalere con un totale di sei partite giocate nel circuito maggiore, tutte in Russia), mentre nel frattempo hanno primeggiato Djokovic e Nishikori (due primati a testa), e la tetrarchia di Ferrer, Federer, Nalbandian e appunto Khachanov. Il serbo è anche al primo posto all-time (o meglio, dal 1990, quando le cifre hanno iniziato a essere conteggiate seriamente), precedendo Sampras, Rafa e Roger.
Nelle categorie singole, Rafa è arrivato terzo nelle palle break convertite (dietro a Nole e a Carballes Baena), settimo in quelle salvate (podio con Isner, Federer e Wawrinka), solo sedicesimo per tie-break vinti (Federer, Djokovic e Tsonga), e terzo per set dirimenti vinti (Dzumhur [!, ndr] e Thiem davanti a lui).
Certamente non sorprende la preminenza del campione del mondo in carica per quanto riguarda i punti decisivi, la consistenza mentale e la tempra di Nadal sono evidenti, verrebbe da dire, dai tempi della meravigliosa finale romana del 2005 contro Coria, quando, diciannovenne e reduce da una rimonta subita a Miami con Federer, recuperò un break nel quinto e la spuntò dopo cinque ore e passa, settando un precedente che si sarebbe ripetuto nei decenni – il suo stile di gioco drenante e la sua resilienza al cospetto degli infortuni sono già di per sé dei simboli della sua presenza immarcescibile in mezzo alle orecchie.
Al di là di questo, però, si possono individuare molteplici fattori tecnici per la sua forza sotto pressione. Dal lato del servizio, non si può non menzionare il vantaggio dei mancini, che servono dal lato dove si giocano quasi tutti i punti decisivi (0/40, 30/40, vantaggio a favore e contro, nonché il primo punto in ogni mini-turno del tie-break, se si eccettua il primo punto assoluto) potendo sfruttare la famigerata curva esterna che butta l’avversario fuori dal campo, con una spruzzata di botta al centro come atout.
A questo elemento universale, quasi apodittico, va aggiunto il miglioramento individuale del maiorchino, che da Melbourne dello scorso anno ha presentato una battuta rimodernata, con lancio di palla più avanzato per mantenere il busto eretto e ricadere maggiormente dentro al campo (così da far imprimere tutti e 85 i chili nel colpo), e con un movimento più asincrono delle braccia, per fornire più spazio di accelerazione alla racchetta – a riprova della bontà degli sforzi fatti, Nadal raggiunse la finale senza perdere la battuta per cinque match di fila [non c’è bisogno che i commenti ricordino come andò il suo servizio in finale con Djokovic, che sui campi rapidi è la kryptonite tecnica dell’iberico grazie alla risposta bimane anticipata, ndr].
In virtù di questi cambiamenti (fortemente voluti da Moyà), non è allora casuale che Nadal abbia guidato questa speciale classifica per la prima volta dal 2010, anno del suo picco assoluto in cui divenne il primo (e unico) uomo a vincere tre Slam su tre superfici diverse nello stesso anno solare. In particolare, fu ingiocabile al servizio per tutto lo US Open, tanto da dichiarare, in un altro articolo dell’ATP sull’argomento, che “[a Flushing Meadows] il mio servizio era fuori da questo mondo”, sottolineando che l’espressione utilizzata simboleggi proprio la natura aliena, da serendipity, di quel tardo agosto, mentre il nuovo servizio “è un approccio più sicuro” che gli consente di “appoggiar[s]i” sul colpo e di fidarsene. Questa prospettiva è confermata in toto da Francisco Roig, l’uomo dietro alla disumana biomeccanica di Nadal, che ancora oggi non si spiega due settimane di puro isnerismo, definendolo “fiore d’estate”, tanto splendido quanto effimero, mentre il lavoro degli ultimi anni è stato molto più rigoroso, e, seppur forse meno romantico, sicuramente più duraturo.
Per quanto riguarda la risposta, invece, ci troviamo di fronte a una sorta di aporia, perché, se con la battuta Nadal mira sempre a prendere in mano lo scambio, quando deve ribattere preferisce adottare una strategia molto più conservativa, che evidentemente funziona, visto che è al primo posto per Return Rating, punti vinti contro la prima e game vinti in risposta, nonché secondo per punti vinti contro la seconda (perdonate la ripetizione) dietro solamente al Peque Schwartzman. L’immagine si staglia ben chiara nella mente di tutti gli appassionati: big server mena al centro, Rafa in braccio al giudice di linea (alla faccia del social distancing), mulinello alto e lento ma che però gli consente di esplodere verso la linea di fondo e di iniziare lo scambio ad armi pari, e se lo scambio inizia ad armi pari il ribattitore è implicitamente favorito.
Ora, il team di Nadal non è mai stato troppo felice della scelta un po’ passiva del loro pupillo, ma a differenza del servizio non hanno mai avuto dell’evidenza a proprio favore. In fondo, rispondere da remoto gli consente di non soffrire il servizio al corpo né il kick sul dritto, ed è di fatto una sfida all’avversario o a salire sulla palla per sfondarlo con il terzo colpo dello scambio (quando la risposta rimane poco profonda, non un’eventualità rara) o a fargli serve-and-volley da destra, scelta che lo obbligherebbe a piegarsi sul rovescio per raggiungere il servizio liftato; va anche sottolineato, però, che quelle braccia caricano la pallina di spin anche le situazioni più complicate (non osiamo immaginare quanto sanguini quando si lava i denti), allargando campo e levando la routine da ogni colpo di volo. Qui però entra in gioco la reputazione: quanti giocatori sanno scrollarsi di dosso il timore reverenziale per cercare una soluzione vincente una volta che il servizio, magari potente e preciso, sta tornando indietro per l’ennesima volta? Presumibilmente non molti.
Quest’ultimo punto ci riporta circolarmente all’inizio, però. Tutte le spiegazioni tecniche non possono prescindere dalla forza mentale del maiorchino, forza che negli anni è stata confermata in tutti i modi (anche se nelle ultime stagioni un po’ di sudditanza nei confronti degli altri due big è emersa, va detto), e che lui ha sintetizzato meglio di tutti al termine della rimonta di novembre contro Daniil Medvedev alle ATP Finals: “La cosa da imparare non è come si fa una rimonta, ma che non bisogna mai arrendersi. Non si deve mai spaccare la racchetta per la rabbia quando si è sotto 5-1. Non perdere il controllo quando le cose vanno male e non scoraggiarsi. Accetta che il tuo avversario stia giocando meglio di te e non considerarti mai troppo bravo da non accettare i tuoi errori”. Facile, no? Forse per lui e pochi altri, per il resto dell’umanità un filo meno, verrebbe da dire.