Oggi ricorre il quarantesimo anniversario della partita di tennis più famosa dell’Era Open, o quantomeno una delle più iconiche: parliamo della finale di Wimbledon ’80 tra Bjorn Borg e John McEnroe.
Di quella partita ho un ricordo particolare e straordinariamente nitido, costituito dalla frase che mi disse mio padre all’inizio del terzo set: “Vado a fare due passi, tanto questi due vanno avanti almeno altre due ore“. Mio papà ebbe molta fortuna, perché un’ora dopo – lui assente – Borg, complice un ispirato McEnroe, sprecò due match point consecutivi al servizio dandogli così modo di aggiudicarsi il tie-break del quarto set – forse il più memorabile squarcio di tennis di tutti i tempi – e di portare il match al quinto – che di memorabile invece ebbe solo il punteggio, perché Borg offrì un esempio di forza mentale straordinario e lo dominò, concedendo al suo avversario solo tre punti nei suoi sette turni di servizio, due dei quali nel primo.
Spero che i lettori mi perdoneranno ma su cotanta partita non aggiungerò altro. In fondo, penne ben più nobili e meritevoli della mia se ne sono a più riprese occupate e io rischierei quindi solo di fare brutta figura, producendo uno scontato esercizio di retorica sportiva. Pochi invece si sono occupati di un altro incontro che si disputò a Wimbledon quell’anno e che solo per pochissimi punti non impedì lo svolgimento della finale così come noi la conosciamo.
Si tratta di un incontro nel quale mi sono imbattuto per puro caso nel momento in cui – per preparare l’introduzione all’articolo celebrativo – ho analizzato il tabellone per ripercorrere il percorso fatto da Borg e McEnroe per raggiungere la finale; sono rimasto così colpito dal punteggio di questo incontro che ho prima deciso di saperne qualche cosa di più e – dopo averlo fatto – di compiere… un ammutinamento giornalistico. Mi riferisco al match di secondo turno che vide John McEnroe opposto a Terry Rocavert.
Alzi la mano chi – oltre al nostro Direttore – ricorda questo carneade australiano nato a Sidney nel 1955, più esattamente il 21 ottobre (come l’autore dell’articolo, nda). Il sito dell’ATP su di lui dice soltanto che raggiunse nel maggio del 1980 la sua miglior posizione assoluta – la novantaduesima– e nel medesimo anno sul cemento outdoor di Columbus l’unica finale della carriera. Aggiungiamo a queste informazioni che suo padre – Don Rocavert – fu un discreto giocatore agli inizi degli anni 50.
Al primo turno dei Championships l’australiano battè in rimonta in cinque set un ottimo “quasi ex” giocatore, il trentanovenne inglese Roger Taylor al quale era stata offerta una wild card e al secondo si trovò di fronte McEnroe reduce da una facile vittoria in tre set contro il connazionale Butch Walts. Nessuno si aspettava quindi che il numero due del mondo potesse faticare per arrivare al terzo turno. Nessuno tranne (forse) Terry Rocavert.
La partita fu sospesa per pioggia sul punteggio di 2-2 nel primo set e riprese il giorno successivo. Rocavert rischiò seriamente di non arrivare in tempo per ricominciare a giocare a causa di una serie di rocamboleschi contrattempi stradali ma alla fine, fortunatamente per lui e per la nostra storia, ci riuscì. Quella che segue è la traduzione di un’intervista che Rocavert rilasciò anni dopo a un sito australiano, Theage.com.
“Quel giorno arrivai a Wimbledon in abiti civili; corsi a cambiarmi, presi le mie racchette e iniziai a giocare meravigliosamente. Vinsi così il primo set e persi il secondo ingiustamente, perché a mio parere giocai meglio io di lui. Il mio colpo migliore era il rovescio e pertanto il servizio a uscire dei mancini non mi dava fastidio, anzi, era il contrario. A un certo punto la pallina iniziò a sembrarmi grande come una palla da basket e a venirmi incontro al rallentatore; ero in stato di grazia al punto che vinsi il tie-break del terzo set per 7 punti a 0.
Anche il quarto set giunse al tie-break (che per la prima volta a Wimbledon si disputava sul punteggio di 6-6 e non più sull’8-8, nda) e sull’1-1 McEnroe commise un doppio fallo regalandomi così un mini-break; lo vidi scrollare le spalle subito dopo quell’errore e in quel momento si spezzò l’incantesimo. Pensai alle conseguenze di una mia possibile vittoria e a quello che mi avrebbero chiesto in conferenza stampa e fu la fine“.
McEnroe si aggiudicò infatti il tie-break e il set decisivo dell’incontro. Risultato finale: J. McEnroe b. T. Rocavert 4-6 7-5 6-7 7-6 6-3. Il rischio corso ebbe l’effetto di una scarica elettrica positiva su McEnroe, che nelle successive quattro partite perse solo un set in semifinale contro Connors.
A Rocavert il destino invece non riservò più momenti di gloria sul campo, ma non gli precluse una buona carriera di allenatore in Australia durante la quale tenne a battesimo il debutto nel circuito professionistico di giocatori del calibro di Todd Woodbridge e Jason Stoltenberg.
Un’ultima curiosità su Rocavert: alcuni anni fa, in collaborazione con la federazione australiana, ha importato in Australia dall’Italia il materiale con il quale vengono preparati i terreni in terra rossa del Foro Italico per ricreare nel suo Paese campi da tennis con una superficie identica a quello in cui si disputano gli Internazionali d’Italia. Questo perché – a suo avviso – il dominio dei giocatori europei e sudamericani dipende dal fatto che crescono giocando sul mattone tritato. Detto da uno che giunse ad un passo dal battere McEnroe sull’erba fa sicuramente un certo effetto.