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Il piano dei Bryan era perfetto. Un ultimo giro del mondo, incassando qualche assegno di premi e levandosi il cappellino di fronte alle platee di Melbourne, Parigi e Wimbledon, per poi chiudere con un ultimo abbraccio collettivo allo US Open, a New York, in quello stesso stadio che li ha visti vincere lo Slam di casa per cinque volte. Ebbene, tutto questo non accadrà. Perlomeno non quest’anno. I gemelli Bryan sono ora di fronte alla decisione che attende tutti gli atleti professionisti quando arrivano ad una certa età. Avevano pianificato il 2020 come il loro canto del cigno, una stagione che, con un pizzico di fortuna, avrebbe potuto scrivere quel finale di carriera da favola che ogni sportivo anela, ma che è riservato soltanto a pochissimi – gente come Pete Sampras, Peyton Manning, David Ross. Nella peggiore delle ipotesi, avrebbero avuto modo di dire addio.
E così ora i gemelli Bryan sono costretti a chiedersi se vorranno, e potranno, rimettere assieme i pezzi per tentare nuovamente il tour d’addio nel 2021. In realtà, non sono nemmeno convinti di giocare lo US Open di questo settembre, qualora dovessero effettivamente svolgersi. Vivere in una sorta di bolla in un hotel di un aeroporto del Queens? Giocare in stadi vuoti senza alcuna folla adorante ad accompagnare la loro tipica esultanza petto contro petto sulla linea del servizio? Che senso avrebbe? “Non penso che giocheremo uno US Open ‘sterile’, senza tifosi”, ha di recente dichiarato Mike Bryan durante una video chat dalla sua casa di Los Angeles. Bob, anche lui sullo schermo ma in collegamento dalla Florida, concordava con il fratello sulla possibilità di giocare la loro ultima partita in condizioni più simili a un allenamento, anche nel caso in cui dovesse esserci in palio un titolo del Grande Slam: “Non è quello che avevamo in mente”.
Sono iscritti, invece, al World Team Tennis, competizione mista che mette di fronte avversari appartenenti a differenti franchigie in partite piuttosto brevi. La lega, composta da nove squadre, solitamente va in scena nel periodo estivo in diverse città degli Stati Uniti; quest’anno avrà luogo al resort “The Greenbier” in West Virginia, in un ambiente ristretto e, si spera, libero dal coronavirus, dove i giocatori soggiorneranno e giocheranno i loro match davanti ad un pubblico di massimo 500 persone. Con l’aumento della percentuale di contagi e la riscontrata positività di diversi atleti di altri sport, non è ancora certo che la manifestazione tennistica potrà disputarsi [l’evento è iniziato regolarmente ed è tuttora in corso, ndr]; tuttavia, il WTT ha l’innegabile vantaggio di essere una competizione veloce, che si tiene in un luogo unico ed isolato, nulla a che vedere con il circo itinerante di durata trimestrale che si sta valutando nel baseball.
Per i gemelli Bryan, il World Team Tennis rappresenta un vero e proprio banco di prova. Compiranno 42 anni ad agosto, ben oltre il consueto per i tennisti, anche per quelli che coprono soltanto metà del campo. Bob si è sottoposto ad un intervento all’anca sinistra due anni fa. La competizione a squadre li vedrà in campo più di una dozzina di volte in venti giorni, il che permetterà loro di capire se i rispettivi corpi potranno essere in grado di reggere gli sforzi di altri 14 mesi sull’ATP Tour.
La prima parte di quest’anno sembrava piuttosto promettente. Hanno perso al terzo turno degli Australian Open e poi vinto il torneo di Delray Beach, Florida, il loro centodiciannovesimo trionfo assieme. Hanno anche vinto il match di doppio in Coppa Davis contro l’Uzbekistan, disputatosi ad Honolulu. Subito dopo, si sono diretti a Indian Wells, California, casa di quello che è informalmente noto come il quinto Slam, per concedersi l’ultimo giro di giostra in uno dei loro tornei preferiti. Ed è proprio lì che il tennis si è fermato, seguito, pochi giorni dopo, da tutto il mondo dello sport. “Avevamo vinto cinque partite, ci sentivamo molto bene”, ha dichiarato Bob.
Dopodiché, per un lungo periodo, non hanno più avuto idea di come si sentivano. Il loro compagno di allenamenti è diventato Slinger Bag, una macchina sparapalle trasportabile prodotta da una compagnia che ha iniziato a sponsorizzare i gemelli l’anno scorso. Mike ne ha montata una nel giardino della sua villa in California per allenare le volée, mentre Bob ha installato la propria in un campo vicino alla sua abitazione in Florida e ha imparato a farsela bastare. Da un punto di vista tennistico, hanno certamente rimpianto gli anni in cui hanno vissuto sotto lo stesso tetto e, per trovare un compagno di allenamenti, non dovevano far altro che bussare alla porta della camera da letto in fondo al corridoio. Quelli come loro vengono definiti “gemelli speculari”, una sottocategoria dei gemelli omozigoti. Messi uno di fronte all’altro, sembrano speculari. Mike, ad esempio, è destro, Bob è mancino, il che li rende compagni di allenamenti e partner di gioco ideali. Poi la vita ha fatto il suo corso, Bob si è sposato e si è trasferito in Florida nel 2010; ha tre bambini, che probabilmente li seguiranno nel loro tour d’addio.
Oggi, con gli sport professionistici che cercano di riprendere, i fratelli Bryan tenteranno di capire se saranno in grado di far ripartire le loro carriere dopo lo stop forzato e se valga la pena di prolungarle fino al prossimo anno. “Amiamo ancora moltissimo giocare”, ha detto Bob. Ma l’amore non basta. Serve la salute. I fedelissimi del tennis che seguono il doppio – la parte più appassionata dei tifosi – sapranno molto presto se i fratelli Bryan ritengono di potercela fare. Se si presenteranno allo US Open, non sarà per dare l’addio o per i soldi. Hanno già vinto 16 titoli dello Slam in coppia, Mike ne ha conquistati altri due con Jack Sock, e sono tra i pochissimi specialisti del doppio divenuti abbastanza popolari da attrarre cospicui contratti di sponsorizzazione.
Hanno denaro a sufficienza. Ciò di cui hanno bisogno, se intendono provare a dire addio al tennis negli stadi pieni l’anno prossimo, è un solido bottino di punti questo autunno, così da guadagnarsi un ranking migliore e probabilità più alte di progredire nei tornei. Per come il sistema funziona, l’unico modo in cui possono massimizzare il loro punteggio è facendo bene allo US Open, al Roland Garros e in diversi altri tornei programmati per il prossimo autunno. Se, ovviamente, ne saranno in grado. “Dipende tutto da come reggono i nostri corpi, ora” ha dichiarato Mike. “A 42 anni, dipende tutto da come si recupera”.
Tradotto da Filippo Ambrosi