Mentre molti suoi colleghi hanno l’agenda piena di esibizioni, Stan Wawrinka sta riuscendo a far parlare di sé anche senza mettere piede in campo nei tornei non ufficiali. Una scelta strategica deliberata, come ha raccontato a fine maggio: allenarsi soltanto senza giocare, puntando a quel che sarà dello swing americano e soprattutto al ritorno in Europa su terra. Nella sua Ginevra, intanto, ha condiviso il campo (e forse anche la piscina) con Garbine Muguruza, alimentando il gossip. La forma fisica, tasto a volte dolente, non sembra disdicevole in vista della ripartenza. Ma a caricarlo in vista di un’estate tennistica anomala (e, perché no, dello sprint finale della carriera) ci ha pensato il suo allenatore Magnus Norman. Riaprendo una finestra sul grande tema di tutto ciò che è altro rispetto ai Fab Four.
SOTTOVALUTATO – “Stan è uno dei migliori di sempre – ha affermato il coach svedese ad ATP Radio -, altrimenti non avrebbe vinto tre Slam nell’epoca di Federer, Nadal, Djokovic e Murray. Di sicuro viene sottovalutato, ha avuto una carriera incredibile“. Il titolo forse rimbomba, considerando che si parla di un giocatore fuori dalla top 10 dal 2018 anche a causa dei guai fisici (oggi è 17 del mondo, nel 2018 era precipitato al 263). Ma che rimane ancora sul pezzo a 35 anni, visto che in tre degli ultimi quattro Major disputati ha raggiunto i quarti di finale. Ma Norman, ex numero due del mondo e al fianco dello svizzero dal 2013, argomenta meglio la sua tesi: “Non ha avuto la costanza di quei quattro, ma ha dimostrato che in una giornata buona può battere chiunque. Stan gioca sempre al limite, può andargli tutto bene o tutto male. Mi ha fatto piacere sentirgli dire che il mio lavoro l’ha reso un vincente, anche se era evidente a tutti che potesse giocare un tennis fantastico. Le mie parole lo tranquillizzano prima di scendere in campo e lo aiutano a focalizzarsi sui momenti decisivi. Se riuscirà a giocare il suo tennis, anche alla ripresa batterlo sarà difficile per tutti“.
LA DISTANZA DA ANDY – Della vita tennistica all’ombra dei big contemporanei (tre o quattro, a seconda delle interpretazioni) aveva parlato lo stesso Wawrinka durante il lockdown, in un’intervista a L’Equipe. “Vorrei tanto che fosse vero quando mi dicono che sono un giocatore dello stesso calibro di Murray – ha raccontato -, ma sarebbe una mancanza di rispetto nei confronti della sua carriera. L’unica cosa che ci avvicina sono i tre titoli Slam. Per il resto, è avanti anni luce rispetto a me. È stato numero uno del mondo, ha vinto più di 40 titoli (46), tantissimi Masters 1000 (14), e giocato non so quante finali Major (8). È pazzesco. Se avesse vinto uno o due Slam in più, ora si parlerebbe ancora di Fab Four”.
Modestie a parte, che contribuiscono a fare di Wawrinka un tennista apprezzato in modo abbastanza trasversale, la carriera dello svizzero può essere descritta come un fulgido esempio di qualità che batte la quantità. I suoi 16 titoli sono gli stessi di Thiem, che certamente lo sorpasserà in virtù degli otto anni di differenza, e sono due in meno di quelli di Tsonga, che però uno Slam non l’ha mai vinto. Stan non è stato sempre ‘Stan the Man‘, per sintetizzare, ma quando lo è stato nessuno ha avuto piacere di trovarselo di fronte. Neanche i tre tennisti più forti di questa epoca.