C’è un passaggio dell’articolo di Esquire che potrebbe apparire quasi superfluo per chi non ha seguito Naomi sin da ragazzina, ma che invece risulta fondamentale per inquadrare sul piano emotivo le sue recenti prese di posizione. Osaka scrive: “Ho deciso che era ora di dire la mia, cosa che non avrei mai immaginato di fare due anni fa, quando ho vinto lo US Open e la mia vita è improvvisamente cambiata. Immagino che, quando mi ritroverò a leggere questo pezzo in futuro, sarò una persona ancora diversa. Ma qui e ora sono così, e questi sono i miei pensieri”.
Questo passaggio, secondo me, è in un certo senso la replica preventiva a chi volesse sottolineare criticamente la differenza di comportamento tra la Osaka del 2017-8 e quella di oggi. Naomi ha ripensato a se stessa, a quando ha cominciato a vincere i primi titoli in WTA. Per esempio aveva colpito molti osservatori il discorso fatto durante la premiazione a Indian Wells 2018. Allora c’era chi l’aveva definita “svagata”:
Personalmente non ero d’accordo con quel giudizio, tanto che l’avevo definita “finta svagata”. Questo perché avevo cominciato a seguire le sue conferenze stampa già da qualche tempo, e mi ero reso conto che Osaka non era per nulla un tipo svampito.
Quell’atteggiamento durante la premiazione, a mio avviso, significava qualcosa di diverso. Innanzitutto un comportamento autoironico (e per essere autoironici ci vuole una buona dose di intelligenza). Ma nello stesso tempo era anche una presa di distanza nei confronti della routine del cerimoniale. Noi appassionati di tennis abbiamo sentito centinaia di discorsi di premiazione, e sappiamo che al 99% sono sempre uguali. Potremmo ripeterne uno impeccabile seduta stante, e attribuirlo a qualsiasi giocatrice a nostra scelta: i complimenti all’avversaria, il ringraziamento al proprio team, agli sponsor, agli organizzatori, ai raccattapalle, per concludere che si tornerà l’anno prossimo con grande gioia. Sempre la stessa storia.
Per carità non ne faccio una colpa ai protagonisti, semplicemente è una parte del mestiere della tennista di successo, e tanto basta. Non a Osaka, evidentemente, visto che Naomi tende ad affrontare anche questi aspetti della professione in modo personale. Premiazioni, ma anche conferenze stampa. Situazioni in cui evita le frasi fatte.
Avevo scritto lo scorso anno, dopo la sua vittoria all’Australian Open: “Quello che oggi rende speciali le conferenze stampa di Osaka è che, anche da campionessa Slam, continua a non rinnegare la trasparenza di analisi, raccontando senza filtri i pensieri che attraversano la sua mente durante il match; sia per quanto riguarda gli aspetti tecnico-tattici che psicologici. Di fronte alle domande giuste, Naomi arriva a spiegare nel dettaglio che cosa ha funzionato e che cosa no, e le contromisura adottate. Per questo le sue conferenze stampa sono, in questo momento, di gran lunga le più interessanti che il circuito femminile possa offrire”.
A un primo sguardo i contenuti dell’articolo su Esquire risultano lontanissimi dall’atteggiamento svagato (finto svagato) e dai discorsi vagamente nerd di qualche anno fa, quando raccontava la sua passione per i videogiochi mischiata alle difficoltà relazionali di una teenager che si sente a disagio nelle occasioni pubbliche. Poi però nello stesso articolo emergono aspetti personali che lasciano trasparire punti di contatto significativi: “Sono orgogliosa del ruolo, seppur piccolo, che ho avuto nell’abbattere alcuni preconcetti. Mi esalta l’idea che, nella sua classe in Giappone, una ragazzina di razza mista possa essere orgogliosa quando vinco un torneo dello Slam. Spero che il cortile della scuola possa essere un luogo più accogliente per lei, ora che ha un modello di riferimento, e spero che possa essere orgogliosa di chi è, e sognare in grande”.
Ecco, se facciamo un passo indietro, e consideriamo il quadro della situazione in termini più generali, ci accorgiamo che, pur su aspetti diversi dalle recenti questioni politiche, Osaka in passato aveva già dato prova di essere una giocatrice alla ricerca di una consapevolezza più profonda della media. Diretta nell’esprimere i propri pensieri, aperta alla critica, e sempre pronta a riflettere sulla propria condizione, di tennista e di essere umano. Insomma, una personalità originale, che nel tempo si è evoluta, come quasi sempre accade a una ragazza intelligente fra i 17 e i 23 anni.
Questa la situazione sino a oggi. E per il futuro? Questo impegno politico produrrà conseguenze con gli sponsor? Come la prenderà il pubblico, giapponese e non? In che modo se ne occuperanno i media una volta ripreso il tennis agonistico? Per quanto mi riguarda, ci sono due aspetti che mi incuriosiscono in particolare: uno più prosaico e uno più “sentimentale”. Il primo è come reagiranno gli sponsor giapponesi. Il secondo è come evolverà Osaka nei prossimi anni sul piano caratteriale, visto che, come lei stessa ha scritto “Immagino che, quando mi ritroverò a leggere questo pezzo in futuro, sarò una persona ancora diversa”. Al momento però, non possiamo avere certezze: solo il tempo ci darà risposte definitive. Occorrerà attendere, così come attendiamo che ricominci il tennis giocato.